sabato 6 giugno 2015

Occhi e cuore a Berlino: finale di Champions League

La seconda Coppa dei Campioni vinta dalla Juventus, nel '96 a Roma, contro l'Ajax.





Inutile nascondersi, inutile fare tanti giri di parole. Stasera, alle 20:45, i miei occhi fisseranno il prato dell'Olympiastadion di Berlino: c'è Juventus - Barcellona, finale della sessantesima Coppa dei Campioni. Sarà la quinta finale della coppa dalle grande orecchie che vedrò giocare dalla squadra della quale sono tifoso da sempre, o meglio, da quando ho ammirato da piccolissimo le gesta di Baggio in televisione. Ma paradossalmente Baggio non giocò nemmeno una di queste finali: a giocarle fu colui che ereditò il mio cuore di juventino, quell'Alessandro Del Piero che ha fatto la storia della Juventus e che è sempre stato in campo, fino a tre anni fa, con la numero di 10 che fu di Platini sulle spalle. 

Il mio primo ricordo calcistico fu però la finale di Coppa del Mondo del '94, quella maledetta finale persa ai rigori con il Brasile negli Stati Uniti: ci eravamo da poco trasferiti qui a Villafranca da Torino, era una serata di luglio non molto afosa ed i miei portarono fuori la televisione per guardarla all'aperto. C'erano loro, mio zio, mia nonna, i miei zii di Torino e mia cugina. Tutto quello che allora era il mio mondo era con me a guardare quella partita, e la stessa cosa capitò molte altre volte da allora: il quarto di finale con la Francia nel '98, la finale degli Europei del 2000, la finale degli Europei del 2012 sono le partite più importanti viste con loro. Mia nonna era quella che mi "cissava" di più durante le partite, e lei è in un ricordo molto vivo della mia infanzia legata al calcio: lei mi trasmise oltre alla passione per il pallone anche quella per le parole crociate, ed un giorno d'estate di almeno diciassette-diciotto anni fa, facendo con lei un cruciverba, c'era la definizione "Soprannome di Alessandro Del Piero". Io non lo sapevo, ma lei ovviamente sì: PINTURICCHIO. Ed ora, ogni volta che sento questo appellativo, o semplicemente mi capita di vedere delle opere del pittore, non posso che pensare a lei. Mio zio invece mi ha insegnato la storia della Juve, oltre che quella del campionato in generale, con lui ho visto decine di partite e con lui son stato allo stadio per la prima volta in vita mia. Con mio padre invece non può che esserci forte rivalità: lui viola-granata, io bianconero, e per cui inevitabilmente gli scontri verbali non potevano e non possono assolutamente mancare. Ma è una sana rivalità, intrisa di rispetto, tant'è che alla fine, tolte le sfide tra la mia squadra e le sue, Torino e Fiorentina mi stanno comunque molto a cuore. Infine, mia cugina, quando Baggio fu venduto al Milan, non restò fedele alla maglia: restò fedele a lui, diventando anche lei prima del Milan e poi, quando il Divin Codino passò all'Inter, complice la presenza di Zanetti nella rosa neroazzurra, si innamorò della squadra di Milano. Ora, per altri motivi, è della Sampdoria, ma da quando ha lasciato la Juve non perde occasione di gufarla!!!! 

Stasera, almeno per il primo tempo, la formazione qui a casa mia non cambierà di molto: non c'è più mia nonna (che comunque c'è.....), mio zio è al mare, ma per il resto siamo noi.. anzi, ci sarà anche la piccola Selene, la figlia di mia cugina, la mia "nipotina"...

Parlando invece del campo, mi ricordo come accolsi la notizia dell'approdo di Allegri alla Juventus. Parlandone con mio zio, dissi: "Sai cosa? Quest'anno probabilmente non faremo molto bene in campionato, però la Roma ed il Napoli hanno le coppe e per cui facilmente anche loro non faranno grandi exploit... in Champions, invece, non mi stupirei se andassimo avanti... Conte aveva grinta, ma Allegri c'ha testa...". Quando dissi tutto ciò pensavo più che altro ai quarti di finale, e come la stragrande maggioranza degli appassionati di calcio non mi sarei mai immaginato la Juve in finale. Ho cominciato a crederci quando la Juve vinse tre a zero a Dortmund, perché sì, avremmo potuto incontrare altre squadre anziché il Monaco ai quarti, ma vedevo che la squadra sapeva reagire, e soprattutto non perdere la testa; sapeva colpire non dovendo per forza correre per novantacinque minuti; sapeva gestire, senza comunque rinunciare ad attaccare. Quando fu la volta del Real Madrid ero certo che saremmo andati in finale: niente scaramanzia, niente storie, per me eravamo già a Berlino, ed anche sull'1-0 al Bernabeu non ebbi assolutamente paura. Ero appena arrivato all'Orso quando segnarono i madridisti, ma avevo la certezza che non sarebbe finita così, e che se ci fossero eventualmente stati i supplementari ad uscire indenni dallo scontro saremmo stati noi. Tant'è che al 90' me ne fregai dello sterile forcing del Madrid: "Ivan, vado a fumare una sigaretta"... 

Stasera sarà difficile, difficilissima, ma ho buone sensazioni, sogni premonitori mi han detto che andrà bene, e poi Berlino va conquistata un'altra volta. Dopo l'Armata Rossa nel '45, gli Azzurri nel 2006, ora tocca al battaglione bianco-nero. E poi ho già visto perdere la Juve tre volte in finale, delle quali due in modo assolutamente immeritato... stavolta sarebbe bello che le parti si invertissero: vincerla, da sfavoriti, magari nemmeno meritando... l'importante è portarla a casa. 

Primo tempo a casa, il secondo all'Orso. Primo tempo con la famiglia naturale, secondo con quella che mi sono scelto. Io voglio crederci, e, comunque vada, saranno gli eroi del giorno... anzi, della stagione.



Stefano Tortelli


mercoledì 3 giugno 2015

I Blues Brothers ed i cerchi che si chiudono



Non avevo ancora sei anni quando per la prima vidi il film "The Blues Brothers". In verità con l'universo correlato a questo capolavoro della cinematografia ebbi alcuni contatti già in precedenza, quando ancora abitavo a Torino: probabilmente ne vidi solo alcune scene, ma qualche flash che ha come ambientazione la casa dove ho vissuto per i miei primi quattro anni di vita c'è, anche perché negli anni seguenti avevo spesso il desiderio di vederlo, sebbene logicamente capissi ben poco la trama ed i contenuti. Ma mi piaceva la musica, mi facevano ridere Jack ed Elwood, e poi era sempre un piacere immenso vederlo in casa, sul divano, con i miei genitori. 

Ricordo che durante la famosa scena introduttiva del film, quando Jack sta per uscire di prigione e l'agente incaricato di dargli i suoi effetti personali fa l'elenco di tutti gli oggetti dei quali Jack era in possesso quando fu arrestato, mi soffermai sulla parola "profilattico": la mia genuina curiosità, tipica di un bambino di sei anni, mi portò a chiedere ai miei cosa fosse... "E' un cerotto, tesoro!!": fu la risposta di mia madre, che nonostante fosse stata presa in contropiede seppe rifugiarsi abilmente in corner, lasciando che fossero gli anni e l'esperienza ad insegnarmi il vero significato di quella parola. Ciò che poi ha sempre contraddistinto le visioni familiari della pellicola di John Landis furono le risate, i balletti (spesso da seduti ma talvolta da in piedi) improvvisati, le citazioni del film che venivano riproposte ad ogni ora per almeno tutta la settimana successiva. The Blues Brothers ha rappresentato quindi un forte legante tra i miei genitori e me, e crescendo, comprendendo ancora di più certe battute, contestualizzandole, ed apprezzando ulteriormente la colonna sonora, il discorso Blues Brothers è spesso stato trattato con mamma e papà, come è successo per altri film che con loro ho visto ed imparato ad apprezzare. 

I Blues Brothers però, forse più di tutti gli altri, oltre a rappresentare un legante è diventato anche un legame tra i miei ed io, per una molteplicità di fattori: innanzi tutto i miei andarono a vedere il film al cinema quando uscì, ed io, venti anni dopo, andai a vederlo nel 2012 al Reposi di Torino con quella che allora era la mia ragazza, ripercorrendo più o meno gli stessi passi che fecero loro due decenni prima; i Blues Brothers è uno di quei film dei quali ho spesso parlato ai miei amici, ad alcuni di loro l'ho fatto vedere e con alcuni di loro mi sono ritrovato a ridere a crepapelle non solo guardandolo ma riproponendo le varie scene per strada, al pub, nei ristoranti. Quando con i miei amici andai a Roma a vedere Roger Waters ovviamente c'erano tante suore per le strade della capitale, e si faticava a trattenere un "Ed allora sono cavoli tuoi, sorella!" ogni volta che ne avvistavamo una! Oppure per fare gli scemi ordinare "Quattro polli fritti ed una coca!", ricevendo sguardi alquanto perplessi dei ristoratori di turno... ma era più forte di noi, e soprattutto con il Biondo una celebrazione settimanale di qualche scena o canzone dei Blues Brothers non può assolutamente mancare. E se poi quando tutto ciò avviene è presente anche mio padre, allora apriti cielo, perché se è vero che il Biondo ed io conosciamo a memoria il film, papà è come se lo avesse scritto, come se fosse stato lui a consigliare a Dan Aykroyd l'intera sceneggiatura.

Si aprì un cerchio diciannove anni fa, quella sera in salotto, mentre la mia famiglia ed io guardavamo i Blues Brothers... e diciannove anni dopo, ieri sera, ci siamo nuovamente ritrovati mamma, papà ed io per gustarci i Blues Brothers: stavolta però erano su un palco, della formazione originale erano rimasti Blue Lou Marini (il sassofonista) e Steve Cropper (il chitarrista col barbone), ma le canzoni erano le stesse, le emozioni erano le stesse, e Piazza San Carlo era diventato il nostro salotto di casa: decisamente affollato con quelle 35000 persone a farci compagnia, ma comunque il senso era lo stesso. 

Si è chiuso un cerchio ieri sera in Piazza San Carlo, ma il fatto che la penna abbia compiuto un intero giro non significa che la musica sia finita... le puntine su un vinile fanno centinaia di giri prima che la musica cessi di riecheggiare dalle casse.

E poi, come se non bastasse, c'è sempre il lato B. 




Stefano Tortelli