Racconti, canzoni, riflessioni sull'attualità e sulla storia, su musica e film, su personaggi, società, filosofia...
La mia quotidianità cerebrale da condividere con chi vuole leggere.. e che magari un giorno ascolterà o vedrà.
Il tutto con estrema passione, senza filtro, bandendo ogni moderazione.
Mattina presto, inizio ottobre, gli sguardi dei passanti ancora alternano immagini oniriche alla realtà. Il tram si ferma e mi permette di sfuggire per un po' ai primi freddi; cerco posto svogliatamente, non lo trovo, mi appoggio allo scheletro del vagone, intento a sciogliere i nodi delle cuffie che qualche folletto dispettoso ogni notte accuraramente tesse con le sue tanto piccole quanto abili dita.
Fa freddo ma c'è il sole, i passeggeri cercano nel giornale e nel cellulare un po' di compagnia e qualche emozione. Premo play e mi abbandono alla musica, mi guardo attorno e tengo il tempo ticchettando su una delle sbarre del tram.
All'improvviso vedo lei, qualche metro più in là, raccolta nei suoi capelli rossi e nel giubbotto dello stesso colore. Mi vede, distogliamo lo sguardo, ma non passa una canzone che siamo di nuovo lì, a metà strada. I nostri occhi di incontrano tra la madre col passeggino e l'impiegato che guarda l'orologio sbuffando periodicamente. Noto il filo degli auricolari, abilmente nascosti dalla sua chioma color tramonto, vedo il suo piede che batte sul pavimento e va a ritmo con le mie dita... chissà se stiamo ascoltando la stessa canzone!? Sorrido pensandoci, ed intanto lei ancora non scende. Andrà dove vado io?
Mancano sempre meno fermate, lei è impassibile al suo posto, io mi sposto ma ci vediamo ancora. E ancora cinque fermate, ho il 20% di possibilità, non male. Scenderemo insieme e forse faremo qualche passo insieme... ma non è così, si avvicina alle porte, prenota la fermata. Il mio sguardo si aggrappa ad ogni suo gesto, quasi a supplicarla. Non vorrebbe dirle addio. Ma è un tentativo vano. Il tram si ferma, Torino si riapre a noi e lei è già per strada.
La cerco per un'ultima volta, si gira per attraversare e per commiato gli sguardi si incrociano per lasciarsi in un attimo.
Sarà per un'altra vita, pendolare dai capelli color del tramonto...
Ma se ci penso, dopo tutto, un breve tratto del lungo percorso che si chiama Vita l'abbiamo condiviso.
Per riuscire a collocare
nella mia infanzia ciò che sto per andare a raccontare ho dovuto
snocciolare le tante carriere lavorative che da piccolo si erano
alternate nei miei desideri. A cinque anni, prima delle elementari,
volevo fare il veterinario: ero circondato da animali, e poterli
assistere, curarli e star loro vicino mi sembrava una bellissima
prospettiva! Poi, a sei anni, complici alcune letture sui dinosauri e
sullo spazio, desideravo diventare paleontologo o astronauta. Sai che
spettacolo andare nel deserto e cercare i resti di un dinosauro,
oppure salire su una navicella spaziale e poter guardare la terra
dall'esterno?
Ad otto anni, visto che
il veterinario sarebbe stato un casino perché ero allergico al pelo
del gatto (e sarebbe stato brutto fare il veterinario solo per altri
animali, quasi razzista!), visto che i dinosauri avevano un po' perso
di fascino e visto che la carriera di astronauta mi dava alcune
preoccupazioni visto il mio terrore, allora, nei confronti degli
alieni, ripiegai sul costruire ponti. Non so perché volevo costruire
ponti, e forse questo tarlo dei ponti si è “metaforizzato” e,
con gli studi che poi effettivamente ho fatto, qualche “ponte”
potrei anche riuscire a costruirlo...
Chiesi a mia mamma che
cosa sarei dovuto diventare, e lei mi disse: “Ingegnere o
architetto. Ma meglio ingegnere, tu ami la matematica (amore poi non
più corrisposto), saresti bravissimo e ti toglieresti tante
soddisfazioni!” “Ma mamma, hanno tanti soldi gli ingegneri?”
“Sì, Stefano“Ah sì??” “Eh sì, gli ingegneri guadagnano
tanto perché le cose che fanno servono a tante persone!” Subito
pensai che avesse ragione: un ponte deve stare in piedi per tanti
anni, deve essere funzionale, deve dare la possibilità a migliaia di
automobili, di camion, di trattori, di mietitrebbie (non potevo non
citare le mietitrebbie, amavo le mietitrebbie da bambino) di andare
dove devono andare. Poi però pensai: “Ok, ma anche gli ingegneri
devono mangiare. E mangiano quanto i miei genitori. Anche gli
ingegneri hanno bisogno di una casa, di vestiti, di tutto ciò di cui
ha bisogno la mia famiglia e che la mia famiglia si può permettere.
E non gliene servono di più che a papà!” Poi pensai che alla fin
fine, se un ingegnere non può andare a lavorare, viene licenziato e
non guadagna più. E per andare a lavorare necessità di strade, e
ok, può farle lui, ma chi le costruisce? Ha bisogno di una macchina,
e chi costruisce la macchina? Chi lavora i materiali necessari per
costruire la macchina? E poi la macchina non va da sola, serve la
benzina, servono i benzinai.
E tra l'altro l'ingegnere
deve mangiare, c'è bisogno che qualcuno coltivi il cibo, allevi il
bestiame, prepari il pane, i dolci (anche gli ingegneri mangiano
dolci, no?). L'ingegnere ha bisogno che un sacco di persone lavorino
“per” lui, e queste persone potrebbero sfruttare il suo ponte per
i loro spostamenti. Non è uno scambio questo? “Mamma, ma i soldi,
se tutti lavorano e tutti fanno qualcosa per gli altri, in un modo o
nell'altro, a che cosa servono? Papà fa le macchine, se una persona
usa una macchina che lui ha fatto gratuitamente, e questa persona è
un insegnante, potrebbe insegnare a me gratuitamente, no? E se fosse
un panettiere potrebbe darci il pane, cose così”... “Sì
Stefano, ma ogni cosa ha un suo valore e per cui più soldi hai e più
cose di valore puoi comprare!!” “Ok mamma, ma anche per fare le
cose che valgono di più serve qualcuno che lavori, quindi alla fine
i soldi non servono! Mamma, i soldi non servono. Ma si potrà vivere
senza soldi prima o poi?” “Non credo, Stefano. Ma è già una
bella cosa pensarlo, sperarlo.”
“Mamma, ma i soldi sono
sempre esistiti?” “No Stefano, li ha inventati l'uomo."“E prima
come facevano?” “Eh, si scambiavano le cose” “Ecco, non è
uno scambio anche il MIO?” “Sì...” “E non erano più
tranquilli gli antichi?” “Sì, forse sì, Stefano...”
Ora, non so se la
conversazione andò propriamente così, sicuramente non usai questo
tipo di linguaggio, ma quel giorno mi si aprì un mondo. Pensavo al
mio paese, a 5000 persone che, senza aver bisogno di guidare, di
utilizzare particolari strumenti, senza avere troppe pretese potevano
vivere tranquillamente mangiando ciò che veniva coltivato,
costruendo con i materiali che qui si producono, allevare il bestiame
e mangiarne la carne, imparare ed insegnare, curarsi e farsi
curare... e per 5000 persone ci sarebbe stato fin troppo cibo, fin
troppa sabbia, fin troppa ghiaia, che si sarebbe potuta scambiare...
e questa cosa con non troppe difficoltà, questa microsocietà
insomma, si sarebbe potuta espandere a livello provinciale,
regionale, nazionale, mondiale.. tutti ovviamente dovevano lavorare
per poter avere a disposizione ciò che reputavano necessario, tutti
avrebbero potuto tranquillamente godere di ogni cosa figlia del
lavoro degli altri perché il loro lavoro dava altre cose che
avrebbero soddisfatto le altre persone. Senza la mediazione dei
soldi, senza capitali fermi e quindi inutili, senza evasioni, senza
menate... E quel che sarebbe mancato in un posto si sarebbe scambiato
con ciò che avanzava, dando la possibilità ad altri di avere ciò
che da soli non potevano produrre o reperire...
E così tutti avremmo
avuto da mangiare, tutti avremmo avuto da bere, tutti avremmo remato
nella stessa direzione per uno sviluppo sempre maggiore, funzionale
al bene comune... non ci sarebbero stati problemi legati al nucleare
o ai carboni fossili perché già ora avremmo auto ad idrogeno,
elettriche, ad impatto zero... e magari sarebbero state meno
performanti rispetto a quelle attuali, ma pace, perché i ritardi non
sarebbero stati un problema, non ci sarebbe stato il timore di
rimanere senza soldi a causa di un licenziamento... tutti vivremmo
più sereni, più tranquilli, più sani, in armonia.
Certo, per fare tutto
questo sarebbe necessaria una rettitudine morale di ogni individuo,
ma questa rettitudine secondo me è andata a perdersi proprio a causa
della creazione del denaro, portando gli individui a cercare
escamotage per averne di più con uno sforzo sempre minore...
Togli il denaro a questo
pianeta, e lo salverai. Togli il potere a chi lo brama soltanto per
fare i propri comodi economicamente, e vedrai che, in assenza di
denaro, chi prima desiderava potere sarà l'ultimo a volerlo, perché
dovrà fare senza un rendiconto visibile al bancomat.
La nostra è una società
malata di tumore, un tumore che ha colpito ognuno di noi, e dal quale
ci si può curare soltanto eliminando le cellule tumorali. Le cellule
tumorali sono i soldi.
Ci vorrà un cataclisma
di dimensioni epiche per poter avere le condizioni necessarie ad
attuare tutto ciò, l'intervento di un'entità extraterrestre, una
tempesta elettrica che resetta ogni conto in banca esistente...
nell'eventualità queste cose non succedessero, siamo, ahimè,
condannati all'estinzione... e, la cosa buffa, e che non sarò
neppure soddisfatto nel poter dire, in punto di morte “Però,
c'avevo visto lungo...”
Leggo sul numero odierno de L'Eco del Chisone che in tutta la Val Chisone non c'è stato un comune che abbia dato la propria disponibilità per ospitare la fiaccolata del 25 aprile, organizzata ogni anno dall'Anpi territoriale.
Ora, non so come siano orientate politicamente le giunte di codesti comuni, né credo che, ora come ora, faccia poi tanta differenza (visti gli attacchi nei confronti dell'Anpi sulle colonne dell'Unità, roba che Antonio Gramsci si starà non solo rivoltando nella tomba, ma peggio), ma il fatto che la gente di quella valle, popolata principalmente da persone anziane, non senta l'esigenza di dire: "Beh, ma per il 25 aprile qui nessuno organizza niente?" mi lascia alquanto perplesso, oltre che farmi piuttosto incazzare.
Tra l'altro potrei capire una cosa del genere in quelle zone dove la Resistenza, intesa come lotta di liberazione armata da parte dei partigiani, è un elemento che non ha caratterizzato il post 8 settembre, ma qui, in Piemonte, sulle nostre montagne, a pochi chilometri da Torino, mi sembra non solo un'assurdità ma un'enorme bestemmia: una bestemmia nei confronti di chi per la liberazione dell'Italia ha versato sangue, una bestemmia nei confronti di chi in quelle valli era sfollato durante la guerra, una bestemmia nei confronti di chi ha dovuto assistere ai crimini nazifascisti, una bestemmia nei confronti della nostra Nazione, nei confronti dell'Italia.
La storia della Resistenza italiana è uno dei capitoli più romantici dell'epica italiana, è quella più ricca di eroi, di atti meravigliosi, di schiene spezzate ma mai piegate. La Resistenza italiana è il punto più alto toccato dall'umanità tricolore nel '900...
...ma appunto è una storia, in Italia non si legge più, non ci si parla più, non si ricorda più...
Centoquarantanove sono i figli della Val Chisone che sono morti in venti mesi di combattimenti... centoquarantanove fiamme ardenti che non troveranno posto sulle strade che hanno pattugliato, liberato e poi difeso, centoquarantanove luci che non illumineranno i boschi delle montagne circostanti, gli stessi boschi che li hanno ospitati e nascosti quando erano in vita... centoquarantanove stelle che l'oscurantismo ed il revisionismo stanno offuscando sempre più, rendendo impossibile la loro naturale missione: mostrare ed insegnare a noi la strada da seguire e perseguire.
Ed intanto le acque si fanno sempre più agitate, ed in questo mare, in questa notte senza stelle, navigare, per noi, sarà sempre più difficile.