venerdì 8 aprile 2016

La mente di un bambino in un mondo senza soldi

Da Into the wild




Per riuscire a collocare nella mia infanzia ciò che sto per andare a raccontare ho dovuto snocciolare le tante carriere lavorative che da piccolo si erano alternate nei miei desideri. A cinque anni, prima delle elementari, volevo fare il veterinario: ero circondato da animali, e poterli assistere, curarli e star loro vicino mi sembrava una bellissima prospettiva! Poi, a sei anni, complici alcune letture sui dinosauri e sullo spazio, desideravo diventare paleontologo o astronauta. Sai che spettacolo andare nel deserto e cercare i resti di un dinosauro, oppure salire su una navicella spaziale e poter guardare la terra dall'esterno?

Ad otto anni, visto che il veterinario sarebbe stato un casino perché ero allergico al pelo del gatto (e sarebbe stato brutto fare il veterinario solo per altri animali, quasi razzista!), visto che i dinosauri avevano un po' perso di fascino e visto che la carriera di astronauta mi dava alcune preoccupazioni visto il mio terrore, allora, nei confronti degli alieni, ripiegai sul costruire ponti. Non so perché volevo costruire ponti, e forse questo tarlo dei ponti si è “metaforizzato” e, con gli studi che poi effettivamente ho fatto, qualche “ponte” potrei anche riuscire a costruirlo...

Chiesi a mia mamma che cosa sarei dovuto diventare, e lei mi disse: “Ingegnere o architetto. Ma meglio ingegnere, tu ami la matematica (amore poi non più corrisposto), saresti bravissimo e ti toglieresti tante soddisfazioni!” “Ma mamma, hanno tanti soldi gli ingegneri?” “Sì, Stefano“Ah sì??” “Eh sì, gli ingegneri guadagnano tanto perché le cose che fanno servono a tante persone!” Subito pensai che avesse ragione: un ponte deve stare in piedi per tanti anni, deve essere funzionale, deve dare la possibilità a migliaia di automobili, di camion, di trattori, di mietitrebbie (non potevo non citare le mietitrebbie, amavo le mietitrebbie da bambino) di andare dove devono andare. Poi però pensai: “Ok, ma anche gli ingegneri devono mangiare. E mangiano quanto i miei genitori. Anche gli ingegneri hanno bisogno di una casa, di vestiti, di tutto ciò di cui ha bisogno la mia famiglia e che la mia famiglia si può permettere. E non gliene servono di più che a papà!” Poi pensai che alla fin fine, se un ingegnere non può andare a lavorare, viene licenziato e non guadagna più. E per andare a lavorare necessità di strade, e ok, può farle lui, ma chi le costruisce? Ha bisogno di una macchina, e chi costruisce la macchina? Chi lavora i materiali necessari per costruire la macchina? E poi la macchina non va da sola, serve la benzina, servono i benzinai.

E tra l'altro l'ingegnere deve mangiare, c'è bisogno che qualcuno coltivi il cibo, allevi il bestiame, prepari il pane, i dolci (anche gli ingegneri mangiano dolci, no?). L'ingegnere ha bisogno che un sacco di persone lavorino “per” lui, e queste persone potrebbero sfruttare il suo ponte per i loro spostamenti. Non è uno scambio questo? “Mamma, ma i soldi, se tutti lavorano e tutti fanno qualcosa per gli altri, in un modo o nell'altro, a che cosa servono? Papà fa le macchine, se una persona usa una macchina che lui ha fatto gratuitamente, e questa persona è un insegnante, potrebbe insegnare a me gratuitamente, no? E se fosse un panettiere potrebbe darci il pane, cose così”... “Sì Stefano, ma ogni cosa ha un suo valore e per cui più soldi hai e più cose di valore puoi comprare!!” “Ok mamma, ma anche per fare le cose che valgono di più serve qualcuno che lavori, quindi alla fine i soldi non servono! Mamma, i soldi non servono. Ma si potrà vivere senza soldi prima o poi?” “Non credo, Stefano. Ma è già una bella cosa pensarlo, sperarlo.”

“Mamma, ma i soldi sono sempre esistiti?” “No Stefano, li ha inventati l'uomo."“E prima come facevano?” “Eh, si scambiavano le cose” “Ecco, non è uno scambio anche il MIO?” “Sì...” “E non erano più tranquilli gli antichi?” “Sì, forse sì, Stefano...”

Ora, non so se la conversazione andò propriamente così, sicuramente non usai questo tipo di linguaggio, ma quel giorno mi si aprì un mondo. Pensavo al mio paese, a 5000 persone che, senza aver bisogno di guidare, di utilizzare particolari strumenti, senza avere troppe pretese potevano vivere tranquillamente mangiando ciò che veniva coltivato, costruendo con i materiali che qui si producono, allevare il bestiame e mangiarne la carne, imparare ed insegnare, curarsi e farsi curare... e per 5000 persone ci sarebbe stato fin troppo cibo, fin troppa sabbia, fin troppa ghiaia, che si sarebbe potuta scambiare... e questa cosa con non troppe difficoltà, questa microsocietà insomma, si sarebbe potuta espandere a livello provinciale, regionale, nazionale, mondiale.. tutti ovviamente dovevano lavorare per poter avere a disposizione ciò che reputavano necessario, tutti avrebbero potuto tranquillamente godere di ogni cosa figlia del lavoro degli altri perché il loro lavoro dava altre cose che avrebbero soddisfatto le altre persone. Senza la mediazione dei soldi, senza capitali fermi e quindi inutili, senza evasioni, senza menate... E quel che sarebbe mancato in un posto si sarebbe scambiato con ciò che avanzava, dando la possibilità ad altri di avere ciò che da soli non potevano produrre o reperire...

E così tutti avremmo avuto da mangiare, tutti avremmo avuto da bere, tutti avremmo remato nella stessa direzione per uno sviluppo sempre maggiore, funzionale al bene comune... non ci sarebbero stati problemi legati al nucleare o ai carboni fossili perché già ora avremmo auto ad idrogeno, elettriche, ad impatto zero... e magari sarebbero state meno performanti rispetto a quelle attuali, ma pace, perché i ritardi non sarebbero stati un problema, non ci sarebbe stato il timore di rimanere senza soldi a causa di un licenziamento... tutti vivremmo più sereni, più tranquilli, più sani, in armonia.

Certo, per fare tutto questo sarebbe necessaria una rettitudine morale di ogni individuo, ma questa rettitudine secondo me è andata a perdersi proprio a causa della creazione del denaro, portando gli individui a cercare escamotage per averne di più con uno sforzo sempre minore...

Togli il denaro a questo pianeta, e lo salverai. Togli il potere a chi lo brama soltanto per fare i propri comodi economicamente, e vedrai che, in assenza di denaro, chi prima desiderava potere sarà l'ultimo a volerlo, perché dovrà fare senza un rendiconto visibile al bancomat.

La nostra è una società malata di tumore, un tumore che ha colpito ognuno di noi, e dal quale ci si può curare soltanto eliminando le cellule tumorali. Le cellule tumorali sono i soldi.


Ci vorrà un cataclisma di dimensioni epiche per poter avere le condizioni necessarie ad attuare tutto ciò, l'intervento di un'entità extraterrestre, una tempesta elettrica che resetta ogni conto in banca esistente... nell'eventualità queste cose non succedessero, siamo, ahimè, condannati all'estinzione... e, la cosa buffa, e che non sarò neppure soddisfatto nel poter dire, in punto di morte “Però, c'avevo visto lungo...”




Stefano Tortelli

mercoledì 6 aprile 2016

Venticinque aprile senza stelle in Val Chisone




Leggo sul numero odierno de L'Eco del Chisone che in tutta la Val Chisone non c'è stato un comune che abbia dato la propria disponibilità per ospitare la fiaccolata del 25 aprile, organizzata ogni anno dall'Anpi territoriale.

Ora, non so come siano orientate politicamente le giunte di codesti comuni, né credo che, ora come ora, faccia poi tanta differenza (visti gli attacchi nei confronti dell'Anpi sulle colonne dell'Unità, roba che Antonio Gramsci si starà non solo rivoltando nella tomba, ma peggio), ma il fatto che la gente di quella valle, popolata principalmente da persone anziane, non senta l'esigenza di dire: "Beh, ma per il 25 aprile qui nessuno organizza niente?" mi lascia alquanto perplesso, oltre che farmi piuttosto incazzare.

Tra l'altro potrei capire una cosa del genere in quelle zone dove la Resistenza, intesa come lotta di liberazione armata da parte dei partigiani, è un elemento che non ha caratterizzato il post 8 settembre, ma qui, in Piemonte, sulle nostre montagne, a pochi chilometri da Torino, mi sembra non solo un'assurdità ma un'enorme bestemmia: una bestemmia nei confronti di chi per la liberazione dell'Italia ha versato sangue, una bestemmia nei confronti di chi in quelle valli era sfollato durante la guerra, una bestemmia nei confronti di chi ha dovuto assistere ai crimini nazifascisti, una bestemmia nei confronti della nostra Nazione, nei confronti dell'Italia.

La storia della Resistenza italiana è uno dei capitoli più romantici dell'epica italiana, è quella più ricca di eroi, di atti meravigliosi, di schiene spezzate ma mai piegate. La Resistenza italiana è il punto più alto toccato dall'umanità tricolore nel '900...

...ma appunto è una storia, in Italia non si legge più, non ci si parla più, non si ricorda più...

Centoquarantanove sono i figli della Val Chisone che sono morti in venti mesi di combattimenti... centoquarantanove fiamme ardenti che non troveranno posto sulle strade che hanno pattugliato, liberato e poi difeso, centoquarantanove luci che non illumineranno i boschi delle montagne circostanti, gli stessi boschi che li hanno ospitati e nascosti quando erano in vita... centoquarantanove stelle che l'oscurantismo ed il revisionismo stanno offuscando sempre più, rendendo impossibile la loro naturale missione: mostrare ed insegnare a noi la strada da seguire e perseguire.

Ed intanto le acque si fanno sempre più agitate, ed in questo mare, in questa notte senza stelle, navigare, per noi, sarà sempre più difficile.




Stefano Tortelli