domenica 14 dicembre 2014

Icaro

Il mito di Icaro è uno dei più famosi della mitologia greca insieme a quello di Giasone, di Prometeo e di Sisifo. E c'è secondo me un legame molto forte tra queste leggende, queste allegorie ricche di significati, se solo si vuole cercarli: ogni storia parla di un uomo che tenta di andare oltre le sue capacità, che tenta di superare gli ostacoli dati dall'essere Uomo (o semidio, nel caso di Prometeo), nel senso sia biologico sia sociale del termine; tentativi di rivoluzione, tentativi di raggiungere una conoscenza che va al di là del sapere comune (più per comodità istituzionale che per reali limiti oggettivi), tentativi di elevarsi, di migliorarsi, di superarsi.

E la storia di Icaro è sapere comune: lui, figlio di Dedalo (lo stesso che costruì a Creta il mitologico labirinto del Minotauro), con il padre spicca il volo usando ali artificiali che gli danno modo di planare sulle foreste e sulle montagne, di andare sempre più in alto. Ma se la sua voglia di volare non ha limiti, le ali sì: essendo state fabbricate con la cera, che teneva insieme piume e penne oltre che assicurare al corpo di Icaro le ali, cominciarono a sfaldarsi a causa del calore del Sole, vero sogno proibito di Icaro, il quale ormai incapace di volare precipita, morendo al contatto con il suolo.

Del resto è stato proibito raggiungere certe mete per migliaia di anni, il Sapere è sempre stato oggetto di scherno per la diffusa paura di chi comanda il mondo di dover competere con qualcosa e qualcuno di estremamente superiore e capace di dar vita ad un movimento di idee, e quindi di persone, di inimmaginabile portata e potenza. Il Sapere, più del Potere, ha logorato chi non ce l'ha: perché il Sapere affascina, il Sapere è gratuito, il Sapere non sottostà a leggi di mercato che possono imbrigliarlo entro precisi confini se il Sapere stesso alberga in menti non corruttibili. Il Sapere è il reale motore della società, e basta guardarsi attorno per rendersene conto. Nicola Tesla è il vero padre di tutto ciò che muove il mondo contemporaneo, ma ne sapeva troppo, era troppo oltre e soprattutto non si faceva comprare. Ma aveva un dono: ogni ostacolo che veniva frapposto tra lui ed i suoi scopi lo portò non ad abbattersi, non ad arrendersi, ma a trovare una nuova strada; gli ostacoli erano stimoli per dare alla luce qualcosa di ancora più innovativo, di ancora più funzionale, di ancora più alla portata di ogni individuo. 
Un Dio sceso in terra, come tanti ce ne sono stati, che ha reso un servizio immenso alla comunità con il suo Sapere e la sua voglia irrefrenabile di renderlo accessibile a chiunque. E tante volte è caduto, ma tante altre volte si è rialzato: ogni volta un po' debole, ogni volta un po' più pazzo, ma sempre voglioso di raggiungere il Sole. 


Il componimento che segue è ispirato alla storia di Icaro, ed Icaro si intitola, ma in un certo senso parla di me. Dopo l'ennesima caduta, dopo l'ennesimo tentativo, dopo l'ennesima costrizione, dopo l'ennesima limitazione.
Ma le cadute, per quanto siano dall'alto, non uccidono. Finché lo scopo è intatto, ci si rialza sempre.

Vola, mente, vola!
Volate, emozioni, volate!
Più in alto degli alberi, più in alto delle montagne.
Superate le nuvole, osservate il mondo rimpicciolirsi sotto di voi.
Oltrepassate l'atmosfera, godetevi l'apnea nello spazio profondo.
Basta respirare a pieni polmoni, e guardare in alto, sempre più in alto. 
Ammirate l'azzurro oceano ormai sempre più lontano,
accarezzate la Luna, fatevi ammaliare da Venere.
E sempre più nel profondo, sempre più verso il centro,
riscaldatevi su Mercurio, per poi andare Oltre.
E lo sapete, lo sapete che state per perdere le ali,
sapete che la spinta verrà a mancare, sapete che il ritorno sarà più traumatico dell'andata.
Ma continuate a volare, continuate a volare finché avrete una meta da raggiungere.
E come Icaro cadrete giù, ma godetevi la caduta. 
Perché non fa male, la caduta. Non fa male, il cadere.
E' il tonfo, che vi spezza. E' il tonfo, che vi distruggerà.
Ma tu, mente, sei una dea. E voi, emozioni, siete immortali.
E vi rimetterete in piedi, e decollerete nuovamente.
Con un nuovo paio d'ali, con la voglia di riprovarci,
con le migliorie necessarie per un volo migliore, per una resistenza maggiore.
Per raggiungere, finalmente, la vostra meta.



Di Icaro cantano gli Iron Maiden in una loro canzone datata 1983: Steve Harris e compagni del resto han sempre sfruttato molto la letteratura per scrivere i loro testi, e mai una volta che abbiano fallito nel dedicare ad un personaggio un brano all'altezza dell'ispiratore. Per cui gustatevela, da Piece of mind, la stupenda "Flight of Icarus".



Stefano Tortelli (testo in corsivo 02-11-2014)


venerdì 12 dicembre 2014

La piazza



Nella giornata odierna, più del solito, è necessario fare un focus sul concetto di piazza, su ciò che dovrebbe rappresentare, su come si dovrebbe sfruttare. E su cosa riporta alla mente. 
Piazza. Il termina piazza deriva deriva dal latino "platea", termine che nell'italiano è stato adottato per indicare l'uditorio, sia come luogo sia come "coloro che udono, coloro che assistono". Ecco, andrebbe rispolverata questa polivalenza del termine, e riportare all'antico splendore dei primi decenni della nostra Repubblica l'importanza della piazza. Anche perché alle piazze vengono associati nomi ingombranti, importanti, di luoghi, persone o eventi che hanno caratterizzato in modo profondo la nostra storia recente. Penso a Piazza Castello a Torino, che sottolinea il retaggio monarchico della città e della nazione, penso alla Piazza Rossa di Mosca, che rievoca gli antichi fasti comunisti dell'ex capitale dell'Unione Sovietica, penso alle diverse Piazza 25 Aprile o Piazza Primo Maggio sparse per l'Italia che sottolineano rispettivamente ciò che è stato necessario per riuscire ad essere uno Stato Sovrano e Democratico e quella che è la natura di questo Stato: il primo maggio, la festa dei lavoratori, lavoratori che dovrebbero essere il motore portante dell'Italia, com'è sottolineato dalla Costituzione. 
Oggi, venerdì 12 dicembre, l'Italia che protesta ha preso possesso delle piazze, sporcate un anno fa dai Forconi, ed ha mostrato tutto il suo disagio, tutta la sua frustrazione, tutta la sua disperazione. C'erano pochi applausi oggi in Piazza San Carlo a Torino, c'erano pochi sorrisi, ma c'erano tante bandiere imbracciate come fucili, c'erano bocche silenziose pronte ad urlare in faccia ai potenti il dolore di chi è stato tagliato fuori. E siamo sempre in di più a vivere questa condizione: studenti, operai, pensionati, lavoratori degli altri settori, lavoratori pubblici; ed in pochi vediamo una soluzione ai nostri problemi, che ogni giorno si fanno sempre più grossi, che ogni giorno diventano sempre più insormontabili. Ma ben presto i privilegiati capiranno che il motore di questo fottuto mondo siamo NOI: i medici si accorgeranno che se mancano i soldi mancano i pazienti disposti a pagare per curarsi, i notai si accorgeranno che per mettere una firma da 2000€ dev'esserci qualcuno che stipula un contratto, i commercialisti si accorgeranno che il più del lavoro arriva dal 730 della massa di coloro che hanno poco da dichiarare (non perché VOGLIONO dichiarare poco, ma perché quel che dichiarano è quel che realmente hanno)... e gli imprenditori si accorgeranno che senza una massa che acquista i loro prodotti, beh, i loro prodotti valgono zero. 
E' pragmatismo signori, è legge di mercato, ed i dottoroni laureati alla Bocconi ben dovrebbero saperlo ed agire di conseguenza anziché cercare un nuovo astruso modo per distillare sangue dai nostri corpi ormai prosciugati. Si è voluto etichettare Comunismo ciò che è l'idea di Marx, ma null'altro è che Pragmatismo economico. Se non c'è domanda, l'offerta è vana: se non ci sono soldi per comprare, tutto resta da vendere.

Questo discorso non l'ho sentito in piazza oggi né l'ho sentito da alcun politico o presunto tale negli ultimi anni. Questo è un discorso che spesso affronto con chi conosco, con i miei genitori, con chi vuole leggermi od ascoltarmi. Mi piacerebbe avere una piazza a disposizione, una platea anzi, per dire queste quattro cose: e non per passare come nuovo messia, come nuovo politicante pronto a cavalcare l'onda del disagio sempre più diffuso, ma semplicemente per dire a chi è presente che c'è un'unica direzione, ed è quella di far sì che, se sarà pur vero che noi siamo quelli che stanno sotto, le basi di questa costruzione sociale siano estremamente solide. 
Perché se le montagne si erodono di qualche centimetro ogni anno nessuno se ne accorge, ma prova a disintegrarne la base: resta un buco, da cima a fondo, nella catena montuosa.
Non c'è storia, è fisica.


Passando alla storia, il 12 dicembre 1969 un attentato di matrice fascista in Piazza Fontana a Milano ha scosso l'intero Paese, portando via con sé diciotto persone e ferendone altre ottantotto. E' stato l'incipit che ha dato il via agli Anni di Piombo, alla Strategia della tensione, è stato il primo caso in cui oltre alla mano fascista si è intravisto un disegno più ampio, più oscuro, di stampo internazionale occidentale. 
Ai tempi noi facevamo parecchia paura alle destre ed al capitalismo. Ora è giunto il momento invece di risorgere, di tornare in piazza, di riprendere la nostra lotta. Perché se a Padova, in una piazza, è morto l'ultimo dei nostri grandi padri (il compagno Enrico BERLINGUER) facendo ciò che amava, è nelle piazze che dobbiamo farlo risorgere.


Mi piacerebbe comunque una toponomastica meno monarchico-ecclesiastica e più simile a quella di questa canzone, a Torino. Per non dimenticare la storia e la cultura recente di questa grande città. 






mercoledì 10 dicembre 2014

Aspettando Godo

Una delle tematiche più ricorrenti nella letteratura è l'attesa. L'attesa di una lettera, l'attesa del momento giusto, l'attesa di un arrivo, di un ritorno, di una partenza. Questo perché l'attesa è portatrice di una gamma di emozioni vastissima: eccitazione e paura, fretta ed ansia, gioia e timore. A tutto ciò si aggiunge un totale cambio delle percezioni sensoriali: un minuto sembrano dieci, un giorno sembra una settimana, ogni voce che bussa ai padiglioni sembra quella di chi stai aspettando, ed allo stesso le situazioni contingenti portano a pensare che si aspetterà ancora, perché mancano nonostante tutto i giusti presupposti, le giuste condizioni, i giusti parametri. 
Ed è quello che passa per la testa di chi aspetta a farsi avanti, è quello che passa per la testa di chi dice "Chiamo domani", è quello che crede chi presume sia ancora presto per fare la rivoluzione, sia ancora presto per cambiare le cose, sia ancora presto per inseguire un sogno. E quindi l'attesa diventa una condizione esistenziale, un modus vivendi che si impadronisce del Vivere, costringendolo ad assoggettarsi al volere altrui o all'assenza di determinate condizioni. E sono tante le persone che affollano le sale di attesa di questo mondo, annullando un'esistenza capace di dar luce a qualcosa di meraviglioso, sopravvivendo e non vivendo, lasciando ammuffire sogni colorati e profumati in cassetti che, quando verranno aperti, se verranno aperti, lasceranno uscire un odore maleodorante emanato da una massa informe grigiastra che una volta era l'incarnazione di ogni proprio sogno. 
Attendere, aspettare, se vissuti in questo modo, sono la giusta strada da percorrere se si vuole raggiungere la pazzia, l'annientamento, l'autodistruzione. 
E ne so qualcosa, perché per tanto tempo ed in tante situazioni ho aspettato, annullandomi e ripercorrendo il corridoio della sala d'attesa con le mani dietro la schiena e lo sguardo rivolto verso il tabellone degli orari. Ed ad ogni occhiata allo schermo i minuti di ritardo aumentavano inesorabilmente, diventando ore, giorni, mesi. Ma è una condizione della mente, nulla di più, nulla di meno. E' come nel film "L'angelo sterminatore": le vie d'uscita da quella sala d'attesa sono sempre aperte, la città è lì fuori che ti aspetta ricca di nuove opportunità, ma tu la porta la vedi chiusa, tu credi che lì fuori ci sia il nulla, perché il tutto è su quel maledetto treno perennemente in ritardo. 

Bisogna per cui imparare a dare la giusta dimensione all'attesa: se quel treno deve arrivare arriverà, ma intanto si può uscire dalla stazione, girare per la città, perdersi nelle sue luci, nei suoi volti, nei piaceri che offre, continuando a coltivare le proprie passioni, ubriacandosene, sballandosi delle proprie droghe preferite, stampate sui libri o incise sui dischi, o compresse in una penna che è sufficiente impugnare per dar vita a visioni su carta ancora vergine. E soprattutto bisogna ricordarsi che i piaceri possono derivare anche dagli altri: dagli amici, dai passanti, dalle "Passanti", dai propri idoli in carne ed ossa, dalla famiglia. 

E così può anche capitare che quel treno sia ormai in arrivo e tu essere da tutt'altra parte, dimenticandone l'importanza che aveva in passato e che si è andata disperdendosi. Perché l'attesa, se goduta, diventa vita, e ciò che si attende o si è atteso null'altro è o è stato un espediente per vivere ancora di più. 

Per poi morire, quando sarà, con tanti rimorsi... e nemmeno un rimpianto. 

Un po' come un certo Jones... che di "mestiere" faceva il suonatore...



Stefano Tortelli


Canzone del mattino #6 - Armi ed arti


Gli Area salutano il pubblico a fine concerto, nel miglior modo possibile.


Ritmi intensi in questi ultimi giorni, sere che finiscono presto per lasciare spazio a notti di sonno quasi ininterrotto, giornate piene, dai tanti spunti e con pochi spazi per affilarli e renderli frecce infallibili per il mio arco.
Del resto ognuno ha la sua "arma": le arti spesso vengono paragonate da chi le destreggia a strumenti di battaglia, una battaglia però che ha fini nobili, una battaglia senza spargimenti di sangue che però ha lo scopo di elevare il proprio essere, esprimere la propria essenza, dar voce e forma alle proprie istanze, per perseguire, in cuor proprio, l'obiettivo prefissato. E c'è chi si scrive e canta per amore, c'è chi scrive e canta per gioia, c'è chi scrive e canta per promuovere i propri ideali, per elogiare la bellezza, per riscattare un periodo buio.
Ma d'altro canto si scrive e si canta, come si dipinge, si suona e si scolpisce, per esprimere una propria passione e lodarne altre cento. Queste arti, queste armi (e chissà se questa coppia minima ha un nesso etimologico, viste le similitudini avvicinano queste due parole), sono sì fini, ma anche mezzi.

E potrei citare Guccini che nella sua Cirano avvicina la penna ad una spada, potrei citare i Del Sangre che nella loro Billy the kid cantano di una chitarra che è "un sei corde che spara e ferisce più di una pistola". Ma chi meglio di tutti, secondo me, ha reso arma uno strumento dell'arte, sono stati gli Area: "Il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia, che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita".
Ecco, questa tastiera, visti gli innumerevoli tasti, è come la mitragliatrice di Juan in Giù la testa: munizioni infinite a mia disposizione da far esplodere una dopo l'altra al ritmo della vita; fintanto che avrò voglia di combattere.


Stefano Tortelli

martedì 9 dicembre 2014

Canzone del mattino #5

Sono due giorni che il sole fa capolino la mattina, affacciandosi tra le nuvole, per ricordarci che ancora c'è. Un po' stanco, un po' malaticcio, vessato dalle sue grigie guardie carcerarie, però c'è.
Del resto, dopo cinque miliardi di anni, se anche si prende una pausa di qualche settimana è tutto sommato legittimo, no!?
E per cui, caro vecchio e grasso sole, questa canzone è per te.



Stefano Tortelli

lunedì 8 dicembre 2014

Porte girevoli tra sogno e realtà

I pisolini pomeridiani che si trasformano in epiche dormite durante le quali le lancette si rincorrono come preda e predatore, senza stancarsi. 
Ma arriva poi il momento in cui un agente esterno ferma tutto e fa sì che tu ti debba svegliare, obbligando le lancette a fermarsi, a riprendere il loro solito ritmo compassato ed ormai banale. 
Però, sotto sotto, inconsciamente, nella tua testa ancora scalpitano le due fiere, pronte a ridarsi battaglia nelle sterminate praterie dell'onirico mondo. Aspettano solo un piccolo cedimento, un abbassarsi della guardia, un intorpidirsi del corpo ed il chetarsi del battito del cuore che va raggiungendo ritmi meditativi, seguito dal respiro, più profondo e meno frequente. 
Del resto è o non è famosa la quiete prima della tempesta?
E presto ricomincerà la battaglia, è solo questione di tempo, è solo questione di abbassare la guardia. 


Scrivere ascoltando i Doors porta sempre a qualcosa di strano. Soprattutto se hai appena dormito tre ore in pieno pomeriggio con, in sottofondo, i documentari di Focus sugli animali. Freud del resto ben sapeva quanto siano importanti gli impulsi esterni sull'attività onirica; ma caro Sigmund, avessi potuto sentire anche tu i Doors, probabilmente ti saresti perso tu stesso nel cercare di stabilire un confine tra un mondo e l'altro durante il diffondersi delle loro note, delle loro parole, delle loro atmosfere.



Stefano Tortelli



Canzone del mattino #4

Come descrivere con metafore estremamente dolci, totalmente fuori da ogni schema di chiunque non abbia un cervello come quello di Fabrizio, apparentemente distaccate "emotivamente parlando" ma, nel profondo, intense e insostituibili, un approccio tra un uomo ed una donna, un incontro fugace, un affascinarsi, un corteggiarsi, un nascondersi dagli sguardi indiscreti, un consumare un desiderio che nasce e muore nell'arco di un amplesso. Come fosse un sogno nel quale rifugiarsi per dimenticarsi tutti i problemi, dove si può volare lontano ed ammirare il mondo da un'altra prospettiva, negata nella realtà dalle costrizioni auto-imposte o perpetrate da qualcun altro. Ma dai sogni ci si sveglia, e bisogna tornare all'amara realtà, dovendo addirittura, a volte, pentirsi di aver sognato.

Questa è "Il sogno di Maria", quarto brano dell'album La buona novella, canzone nella quale la Madonna, sotto forma di racconto, svela a Giuseppe come sia rimasta incinta, e di conseguenza l'incontro con Gabriele.
Ora, la mia interpretazione è chiaramente laica, addirittura considerabile blasfema.. ma tant'è, io lo stesso tipo di metafore che De André usa nei suoi versi le ho usate in passato, e di certo non per parlare di una scampagnata con un'amica alata.


Resta il fatto che La buona novella sia uno degli album più belli di De André (credo comunque che ogni volta che citerò uno dei suoi dischi reciterò questo mantra), dove per la prima volta ha toccato dei picchi a livello compositivo eccelsi, che solo in parte si erano palesati nei lavori precedenti (Vol.1, Tutti morimmo a stento, Vol.3), ed è anche il primo album nel quale presenta una formazione molto vicina a quella che abitualmente si definisce rock, oltre ad essere uno dei suoi dischi nel quale ha meglio interpretato i pezzi. 

Ed io adoro questa canzone, alla follia. E pensare che non è nemmeno la mia preferita de La buona novella (se la gioca con Ave Maria e Il ritorno di Giuseppe; considero il lato A decisamente superiore al più inflazionato lato B), e men che meno la mia preferita delle sue innumerevoli perle.






Stefano Tortelli