martedì 16 dicembre 2014

Canzone della sera #3

Ed anche stasera voglio chiudere con una canzone che ho sentito diverse volte durante il mio turno e che ovviamente mi ha sempre distratto, portandomi a canticchiarla a volte in testa ed altre sotto voce. 
Quella che passa alla Feltrinelli non è quella originale, ma io spesso in tema di musica sono estremamente conservatore, e per cui ve la propongo made in Cream. 
Ed ora vado a letto, e chissà che domattina non abbia da raccontare qualche sogno... ma sicuramente ci sarà a destarmi dal sonno la più bella sveglia possibile, la mia nipotina Selene.


Stefano Tortelli

A Giulietto Chiesa

Scrissi le parole che seguono l'11 settembre di quest'anno, ed ovviamente il tema, quando si pronuncia, scrive o legge quella data, non può che essere, ormai, uno solo (sebbene sia anche l'anniversario del colpo di Stato in Cile, ma in Occidente pochi se lo ricordano). 
Dedico questo post a Giulietto Chiesa, che ieri è stato arrestato in Estonia mentre conduceva un'inchiesta scomoda ai Potenti, un'inchiesta che null'altro vuole svelare se non la verità.
Come quella che condusse riguardo, appunto, gli attentati che colpirono gli Stati Uniti quella mattina di tredici anni fa, dei quali si sa tutta la realtà ormai, ma finché la "realtà ufficiale" rimarrà un'altra si dovrà combattere per far vincere la verità, per rendere giustizia a chi quel giorno perse la vita, per far trionfare il Sapere sull'Ignoranza.

Sono passati tredici anni da quel martedì 11 settembre 2001. Innanzi tutto credo sia importante, a prescindere da come la si può pensare, ricordare le tremila persone che sono morte asfissiate in seguito al divampare dell'incendio o durante il crollo delle Twin Towers. I morti sono morti e vanno rispettati, soprattutto quando si parla di persone che sono innocenti vittime di un odio profondo.

A tredici anni dagli avvenimenti di quel tragico mattino però si fa ancora finta di non sapere da dove sia partito l'odio assassino che si è macchiato di questa mattanza.

Le Torri gemelle; il Pentagono; l'edificio 7, sempre collocato nel World Trade Center; l'aereo "caduto" in Pennsylvenia. Quattro crimini, nessuna prova a carico del principale indiziato. Ma nel mentre ci sono state le guerre in Afghanistan, in Iraq, sono state fomentate le Primavere arabe. E perché no, si è adottata una politica ancora più repressiva nei confronti dei Palestinesi a Gaza... per non parlare della "sicurezza" negli aeroporti statunitensi, "sicurezza" che si può tradurre in tutto e per tutto in "sistema alla 1984" per schedare ogni singolo individuo che usufruisce del trasporto aereo.

Tutto questo perché si è sostenuto ufficialmente che fosse colpa dei terroristi arabi, dei talebani, degli integralisti islamici. Tutto questo perché si sa, quando la popolazione ha paura di venir sottratta della propria libertà da un nemico esterno preferisce vedersi negare della stessa dal pseudo-amico interno, che si dipinge come il difensore della democrazia ed il protettore dei diritti individuali di ogni libero cittadino.

Solo che le cose non stanno così. Non stanno così e le prove che confutano in tutto e per tutto ogni singolo avvenimento dell'undici settembre duemilauno sono innumerevoli, e soltanto chi non vuole vederle continua a pensare che fosse Al Qaeda il mandante degli attacchi. Già, chi non vuol vedere... e chi non vuol far vedere... 

Ma le immagini e le perizie indipendenti parlano chiaro:

- partendo da quel che più ha sconvolto gli occhi di tutto il mondo, ovvero dall'attacco alle Torri gemelle con il conseguente crollo: le prove del fatto che le cose non stavano andando come ci stavano raccontando erano sotto gli occhi di tutti sin da subito. Innanzi tutto in un Paese come gli Stati Uniti, dove è di stanza l'esercito più potente ed efficiente del mondo, dove la tecnologia è al vertice, perdere quattro aerei nel giro di un'ora è impossibile, e non avere il tempo di raggiungerli con i caccia per intercettarli lo è altrettanto. Il nord-est degli Stati Uniti è costellato di basi militari, ed in pochi minuti ogni singolo aereo sarebbe stato a portata di missile evitando ogni possibile attentato. Ma questo non è avvenuto, e non credo proprio perché si voleva evitare di far saltare quattro aerei commerciali carichi di passeggeri (stiamo parlando degli Stati Uniti, gli stessi che volevano abbattere un aereo con studenti universitari americani nei pressi dei Caraibi per dare la colpa alla Cuba comunista). Inoltre Bush poco dopo lo schianto del primo aereo contro la prima torre sostiene di aver visto le immagini dell'impatto, quando ancora adesso è praticamente impossibile trovarne dei filmati, per cui se ha visto è perché qualcuno già sapeva, nei servizi segreti, dove l'aereo sarebbe andato a colpire. Ma queste possono essere considerate chiacchiere da bar e nulla più, illazioni di un anti-americano comunista difensore dei poveri arabi che da 1400 anni vengono additati come responsabili di ogni fatto riguardante il povero vecchio Occidente... e lo posso accettare... per cui prendiamo in considerazione ciò che non può essere supposizione, ciò che non può essere piegato e sottoposto a deformazione da un'ideologia o da un pensiero filosofico-politico... prendiamo in considerazione i fatti scientifici... le Torri Gemelle erano alte circa 400 metri, sono state colpite più o meno a tre quarti della loro altezza ed ovviamente entrambi gli aerei, quando sono andatti ad impattare contro i due grattacieli, sono esplosi dando luogo agli incendi. Il kerosene, per quanto abbondante possa essere, non può superare in alcuna condizione i mille gradi di temperatura, comunque insufficienti per far fondere l'acciaio (temperatura di fusione 1500°C, e di certo non basta un'ora di esposizione per rendere inconsistente una tale massa d'acciaio) del quale erano composte le strutture dei due edifici. Edifici che oltre tutto erano stati costruiti già con l'idea che sarebbero potuti essere colpiti da aerei e per cui progettati in modo da poter sopravvivere ad un attentato di questo tipo. Per cui come mai sono crollati? Erano stati progettati male? E se sì, gli ingegneri che li hanno progettati sono stati messi sotto inchiesta? La risposta è no in entrambi i casi. Sono crollati perché sono stati fatti implodere, sono stati minati da cima a fondo, fin nelle fondamenta. Come nelle demolizioni controllate. Se si crede ciecamente alla versione ufficiale sicuramente non basterà questo elemento, ma per l'appunto non è l'unico. Mettendo anche per assurdo che sono crollati a causa dell'attacco terroristico arabo, è fisicamente e statisticamente impossibile che siano collassati su se stessi anziché andare in frantumi adagiandosi su un lato e coinvolgendo altri edifici. E' impossibile. Le due torri sono crollate su se stesse, ad una velocità oltre tutto spaventosamente alta, come se sotto non ci fosse il vuoto... perché sotto C'ERA il vuoto... facendo detonare le cariche dal basso verso l'alto ogni piano sottostante creava il vuoto per quello soprastante, per cui non v'era alcun attrito che potesse limitare la velocità di caduta delle torri. Le torri sono cadute alla stessa velocità con la quale cade un oggetto dall'altezza di quattrocento metri nel vuoto.. e non sono ipotesi, sono i fatti, è la teoria dei gravi di Galilei, ed onestamente mi fido di più di lui che di Bush e del suo staff... come ultimi due tre-elementi, c'era la quasi totale assenza di macerie più grandi di 10 centimetri, di scrivanie, di oggetti di grandi dimensioni... non c'era niente, se non una quantità enorme di polvere... polvere che, una volta analizzata, ha presentato tracce di materiale esplosivo al suo interno... che combinazione, eh?
Per concludere, questo discorso vale anche per l'edificio 7, con l'aggravante che questo non è stato colpito da un aereo, è stato solo interessato dalle fiamme, ma il discorso fatto sopra è valido anche in questa situazione.

- per quanto riguarda il Pentagono, la versione ufficiale sostiene che sia stato colpito da un aereo di linea, dritto per dritto, su un fianco della struttura esterna. Solo che ci sono troppe incongruenze: non ci sono rottami dell'aereo, il foro di entrata non può assolutamente "ospitare" il muso di un Boeing, un aereo commerciale non è in grado di mantenere una rotta a pochi metri di altezza ad una velocità stimata attorno ai 700km/h e casualmente ogni singola telecamera che puntava il proprio obiettivo verso il lato interessato dall'attacco è stata requisita (parlo di quelle che non erano del Pentagono, dato che queste ultime stranamente non erano in funzione). Inoltre colui che è stato considerato come il dirottatore e pilota dell'aereo non sarebbe mai stato in grado di fare, alla luce della sua inesperienza, alcuna manovra con un velivolo del genere, visto che è quasi impossibile anche per i piloti più esperti con mezzi meno pesanti. Per non parlare poi di altri dati che confutano palesemente anche in questo caso la teoria del governo, ma già mi sto incazzando a scrivere i più eclatanti, se devo stare a citare le finestre integre, i falsi motori che sono stati mostrati (grandi un quinto di quelli dei Boeing) etc etc mi incazzo ancora di più. Di conseguenza, anche qui, la montatura non regge.

- infine abbiamo l'aereo che si è andato a schiantare in Pennsylvenia. Altro Boeing, stesso problema di quello del Pentagono. Il cratere di impatto è minuscolo rispetto a quello che può creare un bestione di 150 tonnellate in caduta libera, i resti ritrovati non coincidono con quelli di un aereo commerciale, sia per dimensioni che per numero di pezzi ritrovati, non vi era odore di kerosene bruciato nell'aria.. e se poteva essere credibile il fatto che fosse stato intercettato ed abbatuto, il Governo ha prontamente smentito quest'ipotesi (che tra l'altro poteva anche essere accettabile...).

Non sto a considerare i discorsi relativi ai possibili aerei scambiati e telecomandati, non sto a mettere in luce il fatto che sembra da alcune immagini che l'aereo che ha colpito la seconda torre fosse senza finestre, perché ritengo già sufficienti gli elementi sopra per ritenere come principali responsabili di questo attacco agli Stati Uniti gli Stati Uniti stessi. Perché posso anche credere al fatto che gli aerei siano stati dirottati da Al Qaeda, ma tutti sappiamo che Al Qaeda era un corpo della CIA, per cui sebbene la manodopera fosse straniera chi metteva i soldi era comunque il Governo americano.

...ma poi il discorso è semplice. Gli Stati Uniti hanno l'esercito più grande del mondo ed il fatturato più alto a livello planetario derivante dal commercio di armi. Queste armi però vanno usate perché altrimenti non si può produrne altre, mica si può dar ragione a Marx facendo crollare il proprio settore più forte a causa della sovraproduzione e della mancanza di domanda. Per cui gli Stati Uniti necessitano dal 1942 a questa parte di smaltire i loro armamenti sul nemico mondiale di turno: la Germania nazista, il Giappone, la Corea, il Vietnam, l'Iraq, la Jugoslavia, l'Afghanistan, l'Iraq2 la vendetta, la Libia, la Siria, l'Ucraina (per non parlare della Palestina); per non parlare della vendita di armi ai movimenti filo-americani in Sud America, in Africa ed in Medio Oriente... e tutto questo sistema si è caricato ancora più di importanza da quando l'Unione Sovietica è collassata, perché la paura del comunismo era più che sufficiente per giustificare alla popolazione statunitense ed agli alleati europei la leadership militare e la collocazione di basi militari con relativi armamenti in tutto il mondo, ma ora che il problema comunismo non c'è più (sfortunatamente) qualcosa si son dovuti inventare. Ed un nemico invisibile, senza bandiera, senza identità, ma soprattutto inventato, come il Terrorismo su scala globale, è lo spettro perfetto per infestare gli incubi degli occidentali.

Ci tengo a precisare che tutte queste cose sono facili da reperire, a partire da Fahrenheit 9/11 fino ad arrivare all'inchiesta di Giulietto Chiesa... ma soprattutto basta aprire gli occhi, usarli, vedere con gli occhi che avete poco sopra il naso e pensare con la vostra testa. Vedere non può impedirvelo nessuno, nemmeno voi (sempre che non chiudiate gli occhi); guardare.. guardare è un altro discorso, se vi fate convincere che l'elemento fondamentale di qualsivoglia immagine è l'1% dell'immagine stessa, beh, tanto vale che ve lo facciate raccontare e vi risparmiate la fatica.


E sembra un revival quello che ora stiamo vivendo. Sarò ripetitivo in questi giorni, ma tanto per cambiare Guccini anni fa scrisse una canzone dedicata a Silvia Baraldini, incarcerata negli Stati Uniti ufficialmente per rapina, ma nella realtà dei fatti perché comunista ed eversiva in un Paese che tutto è tranne che libero. Ed oggi questa canzone assume un nuovo significato, diventa per Giulietto anziché per Silvia, ma il messaggio è lo stesso, e la cruda realtà contenuta nell'ultimo verso è nuovamente, tristemente, tema attuale.




Stefano Tortelli (testo in corsivo 11-09-2014)



Camere unite, camere separate




Teoricamente avrei dovuto avvisare mia zia che sarei arrivato di lì a poco circa un quarto d'ora fa, appena staccato dal volontariato, per avere già la cena preparata dalle amorevoli mani di una donna che più che zia per me è sempre stata ed è tutt'ora una nonna, non tanto anagraficamente parlando quanto per il modo di essere con me.
Ma come dicevo ieri quando bisogna scrivere, quando si ha fame di lettere, tutto il resto viene dopo. L'amore del resto è così, non ci si può far nulla, fa passare tutto quanto in secondo piano anche quando il tutto è fondamentale per la vita stessa.
Colpa di un libro, colpa di un autore, del quale ho scoperto da Facebook che oggi ricade l'anniversario della morte. Fin qui tutto bene, ma non è un autore come un altro: è un simbolo, un simbolo come altri che ha contraddistinto in modo estremamente intenso un periodo altrettanto pieno di emozioni, di passioni, di felicità. 
Il suo nome giunse davanti ai miei occhi un giorno come un altro, tramite un messaggio privato su Facebook, scrittomi da una donna alla quale mesi prima feci leggere alcune mie cose. Perché è così che funziona: ci si conosce, si parla, ci si confida le proprie passioni e si arriva a volerle condividere tramite un file word o un link di una canzone. Mi disse: leggilo, nel suo modo di scrivere ci ritrovo molto del tuo, non so spiegarti perché, ma prova e poi dimmi. Insieme all'autore c'era anche il titolo di un suo libro, io la ringraziai sin da subito benché non conoscessi minimamente di lui, e scherzai sul fatto che forse la similitudine stava nell'assonanza tra i nostri cognomi. Il giorno dopo presi la metropolitana, dal centro raggiunsi il Lingotto, entrai nella stessa Feltrinelli nella quale ora lavoro e della quale parlai in Come api, e presi uno dei libri dell'autore. Non era quello da Lei consigliato, non ce l'avevano, e ripiegai su quello che è considerato il suo masterpiece (benché io non la pensi così, e non sono il solo). Andai in un bar e cominciai a leggere i primi racconti, non capii dove trovasse i punti in comune con il mio modo di scrivere e le chiesi. Lei mi riprese, dicendomi che per l'appunto era il libro sbagliato, che avrei dovuto trovare quello che Lei mi aveva suggerito. 
Nel mentre finii quello che comprai. Poi, dopo qualche tempo, Quel libro lo ebbi, e non perché lo comprai, non perché lo presi in biblioteca. Me lo diede Lei, che coprì un giorno come tanti ma diverso dagli altri le distanze che ci Separavano, ritrovandoci a condividere per la prima volta le stesse camere, gli stessi luoghi, la stessa aria. Vivemmo per la prima volta le nostre Camere Unite, spazi limitati che per noi erano enormi: non ci serviva tutto quello spazio, non ci è mai servito, eravamo rimasti lontani per così tanto tempo, sognandoci e desiderandoci, che era come bestemmiare stare anche solo a venti centimetri di distanza l'uno dall'altro. Ed altre camere si sono succedute nei nostri incontri successivi, quando delegavamo ai treni il compito di fagocitare le rotaie che ci separavano per renderci di nuovo un tutt'uno, una cosa sola, un qualcosa che, chissà come, chissà per quale ragione superiore, era riuscito a ricongiungersi, nonostante i mille ostacoli, nonostante le milioni di possibilità di fallimento. 
Solo che si sa come vanno queste cose, Guccini dice che "ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione... il peccato fu creder speciale una storia normale...". Di normale, qui, non c'era assolutamente nulla; di normale, qui, non c'era nemmeno l'ombra. E ce ne accorgemmo negli sguardi dei passanti, nell'essere così diversi rispetto al passato, nell'essere se stessi per la prima volta, dopo anni ed anni di limitazioni autoimposteci o imposte da agenti esterni. Nonostante questo ora le nostre sono Camere separate, separate da centinaia di chilometri, separate da qualcosa di difficile definizione ma che non ci permette di ricongiungersi. Del resto il problema dei Figli della Luna era che sì, condividevano lo stesso corpo, condividevano tutto, ma sfortunatamente guardavano in direzioni opposte. E si può anche essere schiena contro schiena, ma se non si trova la forza di girarsi entrambi non ci si riconoscerà mai. 
Ma Camere separate è lei, Pier Vittorio Tondelli è lei: o meglio è una sua manifestazione, o meglio è un suo dono, uno dei primi. Cominciammo a leggerlo in due momenti diversi, ma non so per quale motivo entrambi ci fermammo allo stesso punto del libro, meravigliandoci quando, in una delle nostre camere unite, guardando i nostri rispettivi libri, ci accorgemmo che ci eravamo fermati allo stesso paragrafo.
Non mi stupirei se un giorno, da non so dove, Tondelli possa vederci entrambi riprendere o ricominciare, nello stesso giorno, quel libro, per continuare quella storia, per assaporarla fino in fondo, non adducendo scuse di tempo mancante o di ricordi troppo dolorosi. Ci vuole poco, del resto, a farli diventare magnifici.

Ad accompagnare questo post voglio mettere una canzone di un gruppo che Lei mi fece conoscere, e che, con le dovute proporzioni, è paragonabile a Tondelli ed alle sue Camere separate. 
Del resto ogni persona ed ogni cosa che ho vissuto resta inevitabilmente parte di me: a volte asportata, lascia una cicatrice enorme, ma sempre parte di me è. E sempre lo sarà.




Stefano Tortelli

Produci, consuma, crepa

Benché ormai, con la diffusione a livello globale di Internet, i contenitori atti ad ospitare le pubblicità siano in ogni angolo del nostro quotidiano, lo spot pubblicitario televisivo è ancora il leader incontrastato in questo mondo consumatore. Durante i Mondiali di calcio avevo letto alcuni articoli riguardanti il costo di uno spazio di quindici secondi durante la finale del torneo: cifre da capogiro, cifre che un consumatore medio può mettere insieme, se va bene, in due o tre anni di lavoro. E' un mercato da far spavento, quello delle pubblicità. Guardando Supersize me, poi, fa ribrezzo dover venire a conoscenza del fatto che le principali catene di fast food americane investono più del 50% del loro fatturato in.... PUBBLICITA'. Perché non ha importanza la qualità del prodotto, l'importante è che la pubblicità sia efficace, l'importante è dare un'immagine; che poi rispecchi la realtà dei fatti è insignificante, è un dettaglio, sono quisquilie. 
E del resto in un mondo in cui la femmina compra i push up ed il maschio "infarcisce" il pacco, beh, c'è poco da sorprendersi. L'apparenza regna sovrana, e lo fa soprattutto quando è necessario creare un'immagine estremamente indelebile dato che il prodotto che promuove non è percepibile: penso alle pubblicità riguardanti il cibo, dove "se mangi il prodotto X avrai una famiglia felice, sarai magro e tutte faranno a gara per uscire con te", dove il bimbo va ad espletare le sue funzioni vitali perché dal suo vicino di casa c'è il deodorante che rende il tutto più gradevole e goliardico... e poi ci sono le migliori, quelle che mi incuriosiscono di più, quelle che non riesco a capire, quelle che sono così assurde che spesso mi chiedo come diavolo sia venuto in mente al plurilaureato in comunicazione e marketing di mettere insieme immagini senza senso che nulla dicono del prodotto in questione: le pubblicità dei profumi. 
Costano l'ira di dio, al giorno d'oggi, i profumi. Costano ed è sempre complicato sceglierli, sia se si devono regalare sia se li si deve scegliere per sé. Richiede tempo, oltre tutto, la scelta di un profumo, richiede condizioni particolari (naso estremamente ricettivo, zero influenze da altri odori circostanti, ed in profumeria è praticamente impossibile che questa condizione si verifichi, la fortuna di essere catturati da una fragranza entro i primi 4-5 provati perché poi è provato che non si sente più la differenza, etc etc), e per cui quale mezzo migliore di una pubblicità ad effetto per rendere più semplice al consumatore la scelta?? Ah, santa pubblicità, che scendi in aiuto del povero cliente che ha bisogno di scegliere in fretta ed al meglio!!  E per cui ecco decine di modelle e modelli seminudi che si attraggono alla prima spruzzata, neanche la boccetta contenesse feromoni concentrati, ecco che il profumo, messo quando ancora il protagonista è semi-svestito, porta o all'essere completamente nudi, impegnati in un amplesso senza precedenti in grado di far risvegliare un intero palazzo, oppure al comparire di vestiti di classe, gioielli ed orologi sgargianti. Perché mica quel profumo ti renderà un barbone, un operaio, un impiegato, un commesso!? No, tu premi il tasto e per magia la fragranza miracolosa ti renderà un Dio sceso in terra, che ha donne o uomini, soldi e lusso a palate. 

La verità invece è che, nei limiti della decenza, nulla di ciò che ricopre il tuo corpo, dal profumo al vestito, passando per i gioielli e le scarpe (ma anche la macchina, ormai, è un accessorio paragonabile ad un capo d'abbigliamento), dovrebbe influire sul tuo essere o meno affascinante, sul tuo potere di attrarre a te ciò che desideri, sia una persona, sia la fama, sia la felicità. 
Ma in un mondo dove il dio denaro regna sovrano ovviamente tutto passa dall'omaggiare quest'idolo, ed omaggiarlo significa non solo possederlo, ma anche spenderlo, come preghiere da dire nel momento del bisogno, come sacrifici atti ad un bene superiore.
Ed è questo il fulcro del discorso: il DENARO in sé non è un ben superiore, il DENARO in sé non è un fine. Il denaro è un mezzo per i beni superiori, è equiparabile alla strada che divide due paesi. E tu sei abituato ad usare quella strada, prendere il tuo mezzo privato o pubblico e percorrerla, quasi senza farci caso, per giungere alla propria meta. Quando di vie alternative ce ne sono a bizzeffe, ma ormai nei tuoi schemi mentali Via Denaro è la più usata, la più ovvia, la più facile.... ma è anche quella che ti mette l'ansia continua, è quella che posticipa l'uscire di casa dei giovani, è quella che abbassa la natalità in termini di numero di nascituri annui ma aumenta l'età in cui si hanno figli, è quella che ci mette l'uno contro l'altro, è quella per la quale si sono "spese" milioni di vite lungo l'asse del tempo.
E questo perché ci siamo dimenticati che null'altro è che una strada, una delle tante percorribili tra l'altro, non un luogo da raggiungere, non lo scopo. Ma in questo mondo del "Produci, consuma, crepa", dove questi imperativi sono le uniche cose che per certo devi fare per essere un membro utile alla società, beh, le cose cambiano. Il denaro è il fine, e ciò che puoi comprare con esso è una questione secondaria (siamo pieni di cose inutili in casa, ma l'erezione che ci ha dato comprarle è stata impagabile.. anzi no, sono 49,99€, paga in contanti o bancomat??), è un adesivo da appiccicare sulla pagina bianca che rappresentiamo, ed è bianca perché, così tanto impegnati a cercare un modo che contemplasse l'uso del denaro per renderla più colorata, ma comunque bianca, non ci siamo mai preoccupati di scriverla, di disegnarla, di pentagrammarla.

Ed eccoci quindi al vuoto culturale di chi ci governa, di chi usa i soldi come fossero coriandoli, di chi è a capo delle imprese e delle industrie, di chi ha sposato la carriera anziché la propria moglie o il proprio marito, di chi vede come figli il macchinone in garage o la vacanza alle Maldive.. e del resto è più facile amare ciò che è inanimato, del resto quando poi lo abbandonerai, quando poi finirà, mica dovrai continuare a prendertene cura, mica dovrai dargli spiegazioni, mica verserai o farai versare lacrime. Che problema c'è!? Sono oggetti, sono servizi... ma sono oggetti e servizi che sono stati resi disponibili da chi invece piange perché non può arrivare a fine mese, da chi non sa come dare da mangiare ai propri figli o renderli felici in un mondo come questo, da chi si vede andar via il partner perché la felicità ormai passa dall'averli o non averli, questi dannatissimi soldi. 

Ma prima o poi, come profeticamente disse Nuvola Rossa, ce ne accorgeremo. Anzi, se ne accorgeranno.
"Nuvola Rossa, grande capo indiano, una volta disse ad un uomo bianco: quando avrete prosciugato l'ultimo dei fiumi e tagliato l'ultimo degli alberi, ucciso l'ultimo dei bisonti e magari pescato anche l'ultimo dei pesci, allora ma neppure un attimo prima, capirete che non potete mangiare i vostri inutilissimi soldi".

Nuvola Rossa l'aveva capito molto presto, e da osservatore esterno del capitalismo ne capì al volo l'assurdità. Cerchiamo tutti di essere come lui. Ed interrompiamo il mantra occidentale del "Produci, consuma, crepa"... del resto questa canzone non si intitola "Vivere", si intitola "Morire".


Stefano Tortelli

lunedì 15 dicembre 2014

Canzone della sera #2

Stasera vi saluto con una canzone che per molti motivi in passato ho fatto mia. L'ho canticchiata quando dividevo parte del mio spuntino di mezzanotte con Thor, il mio cane, l'ho fischiettata quando da ragazzo di campagna cercavo di trovare il modo per impormi in un diverso universo, l'ho pensata più volte quando mi sono abbandonato ai piaceri della vita (c'è chi li chiama peccati, io li chiamo "sacramenti"). 
Ed ora mi ritrovo a cantarla davanti allo specchio, rivedendo i miei capelli lunghi e sciolti dopo tanto tempo: capelli che s'erano stufati di rimanere legati, tanto che quelli più indomiti sfuggivano dal codino che gli imponevo, preferendo continuare ad accarezzare le spalle o coprirmi il viso. E che incoerente che sono stato, io che ho sempre odiato le costrizioni e la limitata libertà di agire, a volerli limitare in così pochi centimetri, compressi l'uno contro l'altro, privi dell'aria e dello spazio necessario per garantire loro una convivenza serena e felice. 

Perché del resto una coda di capelli è un po' come lo specchio della nostra società odierna: ci stipano in costruzioni atte, la mattina, a riversare migliaia di persone che null'altro sono se non merci, pronte ad occupare i mezzi pubblici, ammassandosi ed odiandosi, quando invece, venisse lasciata loro libertà di espressione, libertà di azione, potrebbero convivere in armonia, alimentando le proprie passioni, comunicando, amando. 

E per cui Confessioni di un malandrino è una dedica ai miei capelli, fautori di una ribellione ai lacci da me imposti (perché un elastico, per quanto elastico sia, sempre un legaccio è, sempre una briglia, sempre un confine ben delimitato dal quale solo il più tenace può scappare). Si sono guadagnati la libertà sul campo, combattendo, resistendo. Ed a loro, da sconfitto, rendo onore.




Stefano Tortelli


Droghe stilografiche e crisi d'astinenza

Non dovrei essere a casa in questo momento, teoricamente dovrei essere ancora in centro a Torino, aspettando tra un bar ed i portici l'ora giusta per prendere il 18 e raggiungere il Lingotto per cominciare alle 17 il turno di volontariato. Ma sono tornato a quella che nei giorni feriali, in queste ultime settimane, considero casa. Che poi il concetto di casa sarebbe da approfondire, noi italiani ci siamo limitati ad utilizzare il segno 'casa' sia per definire la costruzione adibita ad abitazione sia per determinare in senso lato l'appartenenza ad un luogo. Per me casa è stato ogni posto in cui mi sono trovato totalmente a mio agio, ogni posto in cui non ho sentito la mancanza di nulla e nessuno, perché in quel momento, in quella dimensione, c'era tutto ciò di desideravo la presenza. Ed è così che mi sono ritrovato a chiamare "casa" una stanza di ostello, l'appartamento a Roma condiviso con i miei amici durante una vacanza, ed in questo caso la casa dei miei zii. 
Ma come dicevo non dovrei essere a casa.. ma un po' per il clima poco congeniale al perdere tempo, un po' che avendo dormito poco ho preferito riposare un po' le membra stanche sul divano prima del rush tardo pomeridiano, un po' per... no, sono scuse, queste sono motivazioni addotte giusto per nascondere la realtà dei fatti: avevo voglia di scrivere, anzi il bisogno, e detestavo l'idea di rimanere con le mani in mano per tre ore anziché aprirle sulla tastiera e dare sfogo ai miei pensieri. Ero in crisi d'astinenza, ed a volte nemmeno lo scrivere è sufficiente per farla passare. Del resto Schopenhauer sottolineava come una volta raggiunto il piacere l'individuo aveva un attimo di puro godimento per poi subito ricadere nella disperazione poiché il piacere era finito ed era necessario patire nuovamente per riappropriarsi di un nuovo attimo di estasi. Non condivido in toto questa sua tesi, poiché godimento per me non è sinonimo di felicità: si può essere felici senza particolari picchi di piacere, ma forse perché si viaggia già ad un livello di benessere tale che andare oltre è quasi impossibile. E poi è la biografia dei miei primi ventiquattro anni a parlare per me: raramente mi sono perso in piaceri fini a se stessi, raramente ho posseduto momenti che oltre all'estasi del momento risultassero vuoti senza sfociare in qualcosa di duraturo; ma non significa che non abbia mai conosciuto la felicità, anzi!! Dopo più di un anno porto ancora sulla pelle i segni del mio esser stato a Roma per il concerto di Roger Waters, e chi ha letto Il vallo di Roger lo sa, ancora mi strappano sorrisi e commozione i ricordi positivi legati alle ragazze avute in passato, ancora rido a distanza di mesi od anni ad una battuta detta in un momento qualsiasi con gli amici o i genitori. Ed un po' questo dev'essere dovuto al mio privilegiare l'Essere stato partecipe di un determinato evento, e quindi aver condiviso manifestandomi, anziché l'aver fatto questa o quella cosa, da mettere in un curriculum vitae insignificante e fine a se stesso. E' un po' la differenza tra lo studiare interiorizzando e lo studiare a memoria: nel primo modo ciò che si impara raggiunge il profondo, penetra nella pelle e diventa parte del sé, nel secondo modo tutto rimane in superficie, aggrappato con le unghie e con i denti ai peli il tempo necessario per dover esporre ciò che si è memorizzato. Ma alla prima doccia, alla prima pioggia, tutto scivola via.

Ma tornando alla scrittura ed alle crisi di astinenza (spesso perdo il focus del discorso, e chi ha avuto modo di discorrere con me per ore sa bene che ad un certo punto mi chiedo sovente da dove diavolo ero partito), ho cominciato a drogarmi molto presto: mi ricordo che da piccolo, quando ancora andavo all'asilo, con la macchina da scrivere di mio zio scrivevo storielle con l'aiuto di mia nonna, che per me è stata una straordinaria maestra, che per me è stata una seconda madre; e poi, qualche anno dopo, cominciai a tenere il mio primo quaderno sul quale scrivevo temi riguardanti avventure in terre straniere (ricordo un viaggio sull'Isola di Pasqua con i miei amici delle elementari a cercare la parte inferiore dei Moai) o in mondi fantastici (gettonatissime erano le mie battaglie ambientate nel videogioco Age of Empires, del quale un giorno scriverò).  Ma il grande periodo è stato quello delle medie: avevo come professoressa di italiano una Donna fantastica, mancata due anni fa (ed appena torno alla mia reale casa copierò ciò cosa scrissi la sera che seppi del suo "ultimo viaggio"), che per prima ha capito tutto di me. L'odio per la scuola, l'odio per le istituzioni, l'odio per gli orari, l'odio per tutto ciò che è imposto senza un reale motivo se non quello di vessare l'individuo (e se lo chiede anche il Blasfemo di De André, se ci pensate). Mi ricordo il primo tema, riguardo la gita fatta in prima media: sufficiente, il minimo indispensabile, grammaticamente ed ortograficamente corretto ma vuoto di contenuti e con una pessima esposizione. Fu un colpo tremendo, lo ammetto, perché dopo anni passati con l'ottimo fisso di italiano alle elementari, in ogni verifica ed in ogni pagella, un salto così indietro non me lo sarei mai aspettato. 
Ma cercai di capire cosa intendesse dire con quel commento: Stefano, le basi ci sono, le regole le sai, fai viaggiare di più la tua mente, raccogli più materiale che puoi, ed allo stesso tempo dagli una forma regolare, logica, facile da capire ma allo stesso tempo stilisticamente buona. 

E fu così che all'ultimo tema di terza media mi ritrovai a leggere la mia produzione riguardante Bush e la guerra in Iraq davanti alla classe, con la voce un po' emozionata ed il sorriso di Margherita a fare da sfondo sfocato oltre il foglio protocollo. Da allora non ho mai smesso di cercare di migliorarmi, ed anche la professoressa di lettere di prima superiore in primis, ma anche il professore di italiano di quarta e quinta dopo, sono stati stimoli enormi per continuare su questa strada. Nel mentre ho cominciato a scrivere i miei primi diari, a chattare con persone che ritengo estremamente intelligenti conosciute su un forum, a cercare costantemente il dialogo, provando anche a muovermi sull'asse diamesico trasportando le mie capacità dalla scrittura all'oratoria (che per molto tempo è stato il mio tallone d'Achille a scuola durante le interrogazioni orali; ed in questo è stata grande l'Oddenino, la prof di italiano di prima, che ha saputo sgrezzare le mie capacità ed a rendermi meno timoroso). 

La scrittura dunque mi ha sempre accompagnato e caratterizzato, tanto quanto il canto, per non parlare delle mie idee politiche ed altre mie passioni. Ma più di tutte la scrittura mi ha permesso una cosa, che anche in questo momento, quasi inconsapevolmente, sto facendo: mostrarmi, espormi, raccontarmi, compromettermi, buttarmi nella mischia. L'ho fatto spesso anche a voce, ma il timbro ed il tono, l'umore ed il contesto spesso amplificano o limitano certe espressioni. 
Nella scrittura questo non succede: si può scrivere su un foglio bianco come su un foglio giallo, a righe o a quadretti, su un rotolo vuoto di carta igienica o sul corpo di una persona con un inchiostro immaginario. Quel che si scrive non si compromette, non subisce influenze esterne, non ha un tono o un timbro che possono renderlo più o meno piacevole. E' così, è un codice, è quasi matematico. Se tre lettere una in fila all'altra significano un determinato oggetto o concetto, sempre significheranno ciò. 

Da qui non si scappa. Ed è per questo che adoro la scrittura e mi ci perdo ogni volta, drogandomene finché ce n'è. E' senza fronzoli, diretta, quasi violenta. Ma ti apre mondi che nessun'altra forma di espressione può spalancare.

Citai Cirano qualche giorno fa, e credo che ci stia tutta, ora, per accompagnare queste mie parole. Un'ode alla scrittura più bella di questa canzone di Guccini credo non ci sia, almeno in campo musicale.




Stefano Tortelli


domenica 14 dicembre 2014

Guerriero

Qualche giorno fa (in Canzone del mattino #6) descrivevo le arti come armi in mano a combattenti mai domi, mai stanchi, sempre pronti per una nuova battaglia. In linea con Icaro, questa è un'altra mia composizione sul non arrendersi mai, anche se le ferite fanno male, anche se le cicatrici ricordano le sconfitte, anche se la polvere dell'ultima battaglia ricopre ancora il volto non permettendoci di riconoscerci davanti allo specchio.

Ma c'è sempre un nuovo vento pronto a scompigliare i capelli, a ripulire il viso, a purificare le ferite. E quando soffia il vento, si può indossare nuovamente l'armatura, impugnare la propria arma e continuare la propria lotta.

Guerriero, non aver fretta nel voler rimarginare le ferite.
Guerriero, non ignorare le cicatrici che nascondi sotto l'armatura.
Guerriero, non agognare la purificazione, non cercare l'altrui perdono.
Guerriero, non dimenticarti le battaglie passate. Quelle vinte, ma soprattutto quelle perse.
Guerriero, lascia che la polvere ed il sudore dell'ultimo campo di battaglia si disperdano nel vento dei giorni a venire.
E poi riarmati, guerriero, riappropriati di te stesso.
E ritorna in campo, per una nuova battaglia. Per essere nuovamente l'eroe del giorno.



L'eroe del giorno è sempre stato il mio mantra, il mio scopo, il mio leitmotiv, l'obiettivo primo ed ultimo di ogni giorno. E ci sono tanti modi per poter arrivare a fine giornata e dire: sì, anche oggi ce l'ho fatta. E poi, con una canzone come questa come manifesto, come si fa a non voler aspirare ad essere ciò!? (Questa versione mi è sempre stata estremamente cara, l'ho sempre considerata superiore all'originale di Load. E da qualche mese ha un significato in più, che mai perderà. Perché ci sono delle canzoni che una volta acquisito un significato non possono più perderlo, riportandone alla luce ogni aspetto più bello, ogni esperienza ad esso legato, ogni emozione che ha ispirato. E la musica è questo, la musica è evocazione, è rievocazione, è riproposizione. La musica sa resuscitare qualsiasi cosa, perché la musica è il miglior sfondo possibile per il teatro dei ricordi)






Stefano Tortelli (testo in corsivo 05/11/2014)