mercoledì 30 settembre 2015

Fabrizio De André - Roger Waters: poesia e musica al servizio della ribellione





In occasione del Premio Tenco del 1997, la grande Fernanda Pivano, premiando Fabrizio De André, disse, chiudendo il suo discorso, che se effettivamente c'è una correlazione tra l'opera di De André e quella di Bob Dylan, anziché sostenere che De André sia il Dylan italiano bisognerebbe dire che è Bob Dylan ad essere il Fabrizio americano. La Pivano ha sicuramente ecceduto in campanilismo in quell'occasione, del resto Bob Dylan è emerso prima di Fabrizio, e Fabrizio ha attinto a piene mani dallo stile di Bob per i suoi album degli anni '70, perciò, se proprio si vuol far valere questo paragone, è De André ad essere il Dylan italiano. E comunque non sono totalmente d'accordo, secondo me il nostro Bob Dylan è Guccini, De André è più il nostro Cohen, come, secondo me, Bertoli è il nostro Pete Seeger. 

C'è però, secondo me, un De André straniero, un artista che è "arrivato" dopo Faber e che, con il passare degli anni, ha palesato totalmente la sua vena cantautorale, prima con il suo gruppo e poi proseguendo da solo la sua strada. Ci ho messo molto tempo ad accorgermene, un po' meno ad accertarmene, ma il paragone, sia nei contenuti sia nello stile con il quale cerca di esporli (ovviamente al netto della differenza del genere musicale proposto), regge perfettamente, anche prendendo in considerazione l'estrazione sociale dei due soggetti in questione.
  

Sto, tanto per cambiare, parlando di Roger Waters. Tra la miriade di artisti che dall'estero sono giunti fino a noi attraverso le radio, i vinili ed i tour (per poi passare a Youtube, i cd ed i film al cinema, senza però far decadere i primi tre elementi) l'ex leader dei Pink Floyd è sicuramente quello che più può rappresentare una sorta di De André d'Oltremanica. Entrambi figli della borghesia degli anni '40, De André e Waters hanno in gioventù compiuto cammini simili, ed anche i loro primi album con i rispettivi stili (ovviamente parlando di Waters faccio riferimento alla prima produzione dei Pink Floyd) sono sia innovativi sia acerbi, con uno stile di scrittura abbastanza semplice, nel caso di Fabrizio probabilmente per riuscire a raggiungere nell'immediato gli ascoltatori e nel caso di Waters per conciliare il rock psichedelico ai testi, senza rischiare di perdere il significato ma rispettando una metrica un po' incasinata. Inoltre Waters, facendo parte di una band, doveva anche andare incontro alle esigenze degli altri componenti (e, tra l'altro, nei primissimi album dei Pink Floyd la penna principale era quella di Barrett e non la sua). Con il passare degli anni, però, gli stili dei due artisti sono cambiati e, spesso, assomigliati parecchio: l'utilizzo del concept album, la ricchezza di metafore e il linguaggio spesso criptico ma assolutamente efficace sono tutti elementi che li accomunano, e forse, proprio nei loro concept album più apprezzati e di successo (rispettivamente Storia di un impiegato e The Wall) la loro vicinanza diventa clamorosamente palese. Perché le strutture dei due album sono decisamente simili, i percorsi anche, ed anche a livello musicale, non tanto nei suoni ma nelle atmosfere che puntano a creare, ci sono grandi analogie. Penso all'ultima canzone di Storia di un impiegato, Nella mia ora di libertà, ed a Comfortably numb e le tracce seguenti: due misti di rassegnazione ma anche di speranza, di sconfitta ma anche di ricerca di riscossa, ed una chiusura che però sa anche di apertura, di un urlo silenzioso comune che fa sapere al mondo che "non finisce qui". Outside the wall è questo, come lo è l'ideale rivincita dei prigionieri nei confronti dei secondini durante l'ora di libertà. 

E' però secondo me ancora più vicino a Storia di un impiegato l'ultimo disco di Waters con i Pink Floyd: The Final Cut. Un album meraviglioso ma inviso ai fans dei Pink Floyd, che lo vedono come il simbolo della fine dell'amore tra Waters, Gilmour, Mason e Wright (che già era andato via prima delle registrazioni), ma che è forse il più alto punto della storia floydiana per quanto riguarda i testi. Inoltre in quest'album Waters fa emergere totalmente e spudoratamente il suo punto di vista politico, la sua voglia di non stare più al gioco, il suo desiderio di uscire dal muro ed urlare al mondo come la pensa. Ed oltre tutto lo urla nella maniera che meglio conosce: scrivendo dei testi estremamente efficaci, cantando in modo sublime (il miglior Waters al microfono di tutta la sua carriera) e collegandosi allo stile musicale di quel The Wall uscito cinque anni prima che aveva stravolto totalmente, facendolo ampiamente evolvere, il modo di comporre e suonare dei Pink Floyd. Brani come The post war dream, Your possible pasts, The Fletcher memorial home e The final cut hanno parecchi punti di contatto con La bomba in testa, Al ballo mascherato e Verranno a chiederti del nostro amore, tanto che ci si potrebbe quasi domandare se Waters conoscesse Storia di un impiegato. E soprattutto le similitudini tra The Fletcher memorial home e Al ballo mascherato e The final cut e Verranno a chiederti del nostro amore sono lampanti e disarmanti. Perché nel primo caso, se Waters si immagina di concentrare in una singola casa tutti i capitalisti ed i potenti della terra, far loro vivere una sorta di Grande fratello (nell'orwelliana accezione) che li mostri ancora in possesso del potere e poi attuare una soluzione finale, De André concentra in una festa tutte le figure che per due millenni hanno contraddistinto e rafforzato il potere per poi farle saltare in aria; nel secondo caso, invece, ci si trova di fronte a due storie d'amore finite proprio a causa della militanza contro il potere costituito, e ci si rivolge all'oggetto dell'amore perduto con frasi estremamente simili, in alcuni casi dubbiose (in Verranno a chiederti del nostro amore il protagonista si chiede come lei lo dipingerà davanti ai microfoni, mentre in The final cut l'ipotetico io chiede alla sua lei se venderà la loro storia ai giornali), e la presa di coscienza in un certo senso che il sentimento d'amore non cesserà di esistere (sebbene in De André questo avvenga in Nella mia ora di libertà).

Waters ha poi, dopo The Final Cut, continuato, nella sua carriera da solista, a percorrere la strada dei concept album e della critica sociale; De André ha fatto la stessa cosa a più riprese, talvolta con i concept album (L'Indiano, Rimini), talvolta con dischi che presentano tracklist con un filo conduttore meno palese (Vol.8, Le Nuvole ed Anime salve). E Waters, oltre tutto, ha continuato a portare in giro il suo manifesto più grande, quel The Wall che ha riproposto a Berlino in occasione della caduta del Muro, che ha portato più volte in giro negli stadi e nei palazzetti di tutto il mondo e che da ieri ora è al cinema con il film documentario che tratta sia la storia dell'ultimo tour di The Wall sia il pensiero politico-filosofico di Waters. De André ha invece probabilmente lasciato, nel peggiore dei modi, molto lavoro in sospeso, ma fino all'ultimo ha continuato a portare il suo messaggio in giro per l'Italia, consegnandoci poi come testamento tutta la sua produzione, estremamente attuale, bella ed utile. 

Per concludere, è necessaria anche una chiosa legata ad un ultimo elemento che li accomuna e che, però, non è oggettivo ma soggettivo. De André e Waters sono gli unici due artisti in grado di commuovermi, smuovermi ed emozionarmi con un'intensità disarmante, in grado di provocarmi lucciconi negli occhi sia per l'emozione legata a certi pezzi sia per lo stupore nell'ascoltare e riascoltare certe frasi che son diamanti di valore immenso ma anche, nel mondo di De André, un letame con il quale coltivare nuove idee, nuovi desideri di lotta, riscossa e ribellione. 

Sicuramente non vivrò mai un concerto così intenso e ricco di emozioni come quello di Roger Waters del 28 luglio 2013 a Roma, ma sono altrettanto sicuro che soltanto un altro artista avrebbe potuto eguagliarlo. Fabrizio De André.




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