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martedì 21 luglio 2015

Soruç: sorrisi indelebili e frontiere cancellate






Roma, la nostra capitale, e Suruç sono divise da cinque ore e mezza di aereo e tremila chilometri in linea d'aria. Senza scali, senza tappe intermedie, nel giro di un pomeriggio si può arrivare dall'Italia alla frontiera tra Turchia e Siria, laddove veramente esiste una resistenza all'Isis, a quest'evoluzione di Al Qaeda nata in Iraq e poi diffusasi in buona parte del Medio Oriente islamico. Credo sia importante sottolineare l'origine dell'Isis, il suo essere figlia di Al Qaeda, quell'Al Qaeda che tanto terrorizzava l'occidente quindici anni fa e che a New York nel 2001, il probabile suo coinvolgimento a Madrid nel 2004 ed a Londra nel 2005. E le origini di Al Qaeda ormai ben si conoscono: alla fine degli anni '80 la CIA assoldò ed armò migliaia di mujahidin per contrastare l'Unione Sovietica in particolari zone strategiche come l'Iraq, il Kuwuait e l'Afghanistan, in seguito all'invasione da parte dei sovietici di quest'ultimo Stato; al database che raccoglieva i dati di questi mujahidin venne dato il nome Al-Qaeda, che per l'appunto in lingua araba è il corrispondente di database stesso. Crollata l'Urss, respinta l'invasione, queste armi rimasero in mano agli arabi, talvolta organizzati in gruppi paramilitari, talvolta affiliati ad eserciti regolari. Fatto sta che il resto è storia: Prima guerra del Golfo dopo l'invasione del Kuwuait da parte di Saddam Hussein, guerra in Afghanistan dopo l'attentato alle Torri Gemelle, seconda guerra del Golfo nel 2003. Gli statunitensi si son trovati in questi conflitti a combattere con armi che il proprio governo aveva fornito non più di vent'anni prima a quelli che ora erano i loro nemici, ma non c'è da stupirsi, non è stata la prima volta e non sarà nemmeno l'ultima. Del resto, durante la seconda guerra mondiale, mentre i caccia americani cominciavano ad intraprendere battaglie aeree contro gli aerei nazisti, le compagnie petrolifere stringevano accordi con Berlino per fornire loro il petrolio necessario ad alimentare l'aviazione tedesca: due bandiere differenti sulle fusiolere, stesso carburante nei serbatoi. Niente di nuovo sul fronte a stelle e strisce.

L'Isis, come Al Qaeda, in quanto creazioni degli Stati Uniti, nonostante i grandi proclami e le continue denunce nei confronti delle atrocità commesse dai terroristi prima e dallo Stato Islamico poi, non verrà ostacolato dall'Occidente, almeno fino a quando l'Occidente stesso non ne verrà toccato. E non tanto perché alle grandi potenze del mondo interessi l'incolumità dei loro cittadini, ma più che altro perché a quel punto comincerebbe a non sussistere più un unione di interessi tra quelli che diventerebbero, a quel punto, i due schieramenti. Ed allora chi può fermare l'avanzata di questo esercito? Torniamo così alla frontiera tra Turchia e Siria, in quel punto in cui termina definitivamente l'Europa e comincia l'Asia Minore. Al di là della frontiera, in Siria, i combattimenti sono duri, l'Isis è spietato, la resistenza è difficile. Ed a coprire il ruolo principale nella resistenza allo Stato Islamico sono i curdi, i quali rappresentano il 5% della popolazione siriana e che a fine giugno hanno riconquistato Kobane, città poco distante dalla frontiera turco-siriana. Ma i curdi sono osteggiati per più motivi: sono una minoranza religiosa, sono una minoranza della popolazione... e sono prevalentemente socialisti. Tanto che il capo del governo turco, Erdogan, sarebbe più propenso di avere oltre la frontiera il Califfato piuttosto che uno Stato autonomo curdo. Questione di priorità, questione di interessi. 

Ed è così che si arriva a ieri, al 20 luglio, all'attentato kamikaze ai danni di un raduno di socialisti curdi a Soruç e che ha causato la morte di trentadue ragazzi ed il ferimento di un altro centinaio. Erano ragazzi, ragazzi come me, ragazzi con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che per garantire l'incolumità di migliaia, milioni di persone, bisognava mettere a repentaglio la propria. Sarebbero infatti presto partiti per la Siria, avrebbero valicato la frontiera, sarebbero giunti in un territorio che da amico poteva diventare nemico da un momento all'altro, ed il loro scopo era poterlo rendere amico definitivamente, dando supporto alla resistenza, sospinti dalle loro idee di libertà ed uguaglianza. Ma di fatto, in Turchia, si trovavano già in territorio nemico, o meglio il nemico era riuscito ad avvicinarsi a loro. Troppo. E poco è stato fatto per garantire la loro incolumità. Del resto se Erdogan non vuole uno stato curdo oltre la frontiera, beh, meglio prevenire che curare... 

E così, in nome dei benifici di poco a discapito della maggior parte degli abitanti di questo pianeta, altri giovani volenterosi e dalle belle speranze sono morti perché desideravano la libertà. Avevano sui vent'anni, come i nostri partigiani della Resistenza, come i ragazzi di tutta Europa che durante la Guerra civile in Spagna si unirono contro Franco. Ma a noi europei tutto sembra molto distante: e se non è il tempo a farci sembrare un avvenimento qualcosa di lontano, distaccato, allora è la distanza geografica a portarci a pensare che questa è una guerra che non ci tocca.

Ma in una realtà globalizzata come la nostra le distanze non esistono più.. La memoria hanno cercato di disintegrarla, ma abbattendo anche le distanze ora tutto il mondo è Paese. La frontiera tra Turchia e Siria, quella frontiera che ha visto da vicino morire trentadue giovani socialisti curdi è soltanto un'invenzione, una barriera che vuol far credere che da una parte c'è X e dall'altra c'è Y, e che quindi dove c'è X vige il potere di X e dove c'è Y vige il potere di Y. Ma la realtà è molto più contorta, ed allo stesso tempo molto più semplice. La realtà vede i fondamentalismi, i poteri reazionari e quelli capitalistici da una parte, e dall'altra... dall'altra ci dovremmo essere noi, tutti noi.

Tremila chilometri, cinque ore e mezza. Roma-Soruç. E' come dire ad un romano che a Torino sono morti trentadue ragazzi, uccisi perché socialisti e con idee diverse da chi li ha voluti morti. Le distanze son diverse, ma il tempo no. E del resto anche la Siria si affaccia sul Mar Mediterraneo, il Mare Nostrum, perciò volerla vedere distante è come non avere coscienza di che posto occupiamo nel mondo. 

Per ricordare i compagni curdi non posso che ripensare alla canzone degli Area intitolata Luglio, Agosto, Settembre (nero). Ai tempi fu dedicata alla resistenza palestinese nei confronti di Israele, ma credo che oggi si possa tranquillamente ascoltare pensando a quei ventisette ragazzi, a quei sorrisi, a quel desiderio di libertà, di pace, di giustizia, di uguaglianza. 



Stefano Tortelli

lunedì 25 maggio 2015

Berlinguer, ti voglio bene! Senza se e senza ma.

Enrico Berlinguer e Roberto Benigni a Roma. 17 giugno 1983



Oggi sarebbe stato il novantatreesimo compleanno di Enrico Berlinguer, uno dei politici più amati dal Dopoguerra ad oggi, secondo forse soltanto a Sandro Pertini. La sua vita è finita a sessantadue anni, a causa di un ictus durante un comizio per il Partito Comunista, del quale è stato segretario per dodici anni, dal '72 all'84. Dalla sua Sardegna al Veneto, da Sassari a Padova il percorso è stato lungo, intenso, pieno di lotte, di scontri con le altre forze politiche ma anche con i propri compagni. Perché se una cosa a sinistra riesce bene è proprio quella di preferire l'immobilismo al compromesso, la scissione alla coesione nonostante. Ora come allora.

Ed ora, a distanza di trent'anni dalla sua morte anche Berlinguer sta subendo l'onta del revisionismo, della decontestualizzazione, della sottolineatura degli errori da lui commessi, diventando anche lui un ingranaggio della ben oliata macchina del fango promossa da coloro che pensano di essere gli eletti, i discendenti di Marx e Lenin, gli unici a poter portare avanti il discorso comunista in Italia. Ma non è di questo che voglio parlare, o meglio questo è solo il punto di partenza della mia esposizione che vuol partire da quegli errori messi in luce con estrema mancanza di rispetto e di cognizione di causa da parte di chi infanga Enrico e che vuole arrivare non solo a giustificarli ma a renderli i punti di forza della politica della maggioranza PCI sotto la guida di Berlinguer. 

Perché Berlinguer non era affatto stupido, e la sua non era affatto una politica emergenziale, a breve termine, indirizzata solo al servire per il presente risultando sterile nel futuro. Berlinguer puntava a quella famosa "Città futura" descritta da Gramsci nei suoi appunti, e sapeva che per arrivarci non era sufficiente soddisfare i lavoratori, assecondare le lotte studentesche, cavalcare l'onda dell'entusiasmo delle piazze. Perché Berlinguer sapeva che portare al benessere attraverso le conquiste dei diritti poteva essere un'arma a doppio taglio, sapeva che buona parte dell'elettorato votava PCI non tanto per coscienza politica ma per interesse, e per cui era necessario andare oltre, creare un forte legame tra il partito e l'elettorato, puntando possibilmente a renderlo più vasto, raccogliendo quei consensi che sarebbero sì stati difficili da strappare ma percorrendo la strada non tanto che portava alla pancia dell'elettore quanto a quella della testa. Perché si fa presto a dire che il PCI ha fallito per colpa della classe politica, per colpa anche di Berlinguer, ma forse si sopravvaluta la tenuta morale dell'elettorato che portò il PCI ad essere il primo partito in Italia ed il più forte partito comunista dell'Europa Occidentale: perché è vero, era gente impegnata, come non si è più vista in Italia negli ultimi trentacinque anni, ma bisogna chiedersi il perché di queste loro azioni, di questo loro impegno. Era un impegno strumentalizzato, dettato dalla fame, dalla sopravvivenza, dalla logica necessità di rispetto, di riconoscimento, di acquisizione di determinati diritti. Il problema è che una volta conquistati i diritti a loro cari si sono ritirati, sono tornati a casa, davanti alla TV, sul divano nuovo, e non si sono posti il problema di spiegare la loro storia ai figli, alle nuove generazioni, alla fatica; non hanno motivato le loro scelte politiche, se non dicendo che votavano così perché era l'unico modo per conquistare ciò che desideravano. Si contesta tanto l'elettorato berlusconiano della prima ora, quello di imprenditori e di ladroni vari, ma del resto non hanno agito tanto diversamente: han votato Berlusconi perché Berlusconi garantiva loro le libertà che nessun altro gli avrebbe concesso... o no!? 

Berlinguer agì quindi con lungimiranza, prendendo le distanze dai comportamenti dell'Unione Sovietica ma non dagli ideali dell'universo sovietico, e non si pose il problema di contrapporsi per partito preso alla DC perché all'interno della DC c'erano delle correnti che molto avrebbero potuto dare alla causa di sinistra: lo chiamano cattocomunisti gli ottusi di estrema sinistra l'atteggiamento tenuto da Berlinguer, ma in verità era unione di intenti, era solidarietà, era umanesimo volto a dar sostegno ad una battaglia che doveva continuare. Perché c'era il rischio di fare la fine della Grecia dei colonnelli, c'era il rischio di un colpo di Stato, di una guerra civile, di una invasione occidentale. E per cui si arrivò al compromesso storico tra PCI e DC, tra Berlinguer e Moro. e per capire quanto importante e fondamentale poteva essere il compromesso storico, se solo si fosse potuto realizzare, è sufficiente analizzare ciò che è successo nel momento in cui questa ipotesi stava diventando realtà. E' stato architettato il rapimento di Moro da parte delle Brigate Rosse, che poi il  9 maggio si è trasformato in assassinio, e casualmente stanno emergendo tutta una serie di prove che mostrano come quelle non fossero Brigate Rosse e come dietro tutto ciò che stava avvenendo, sia tra i Brigatisti rossi sia tra i fascisti erano presenti il Gladio e la CIA. Perché per l'appunto l'importanza di un evento e/o di una persona si evince anche e soprattutto dalla reazione che questo evento e/o questa persona suscita nei nemici. Ed i nemici hanno deciso di colpire Moro, in modo da non perdere definitivamente le possibilità di ribaltare una situazione che per loro era estremamente difficile, delegittimare totalmente agli occhi dell'opinione pubblica le Brigate Rosse (che, nonostante quel che si racconta ora, godevano di una simpatia non trascurabile tra la popolazione) e far passare per colpevoli tutti i comunisti. Berlinguer compreso. Avessero ucciso Enrico, probabilmente nemmeno un accorato invito a non armarsi come quello fatto da Togliatti dopo l'attentato che lo colpì avrebbe fermato i comunisti di allora. Del resto i servizi segreti vengono spesso chiamati "intelligence" mica per caso... 

Ma la cosa più grande di Berlinguer, che va oltre le critiche e non parte da esse, fu la sua capacità di arrivare alla gente come pochi altri, di far leva sulle emozioni della gente: perché il problema di molti politici di sinistra è sempre stato l'apparire burberi, freddi, estremamente pessimisti, pieni di rabbia e rancore di fronte allo sfacelo a loro contemporaneo, e le uniche emozioni che potevano far passare erano quelle di rivincita, di vendetta, di desiderio di lotta. Funzionali al massimo, e del resto i risultati pre-Berlinguer lo dimostrano, ma comunque mai mostravano un qualcosa che andasse oltre tutto ciò: non c'erano molti sorrisi, non c'era la passione, non c'era una forte luce nei loro occhi. Per fare un esempio non c'era l'intensità che era presente in Ernesto Che Guevara o nei suoi compagni cubani, da Fidel Castro a Camilo Cienfuegos. Berlinguer in questo è stato unico prendendo in considerazione il partito comunista italiano, ed è forse proprio questa la sua caratteristica che l'ha portato ad essere giusto un gradino sotto a Pertini nella classifica dei personaggi politici nostrani più amati. Perché come diceva Gaber "Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona"... ed io credo che fosse questo il motivo più importante per il quale essere allora comunisti.

Non per le lotte, non per il pane, non per i diritti. Ma perché si aveva una guida morale meravigliosa, capace di fare politica come pochi altri, appassionato, colto, intelligente... ed estremamente buono. A chi ora cerca di delegittimare tutto ciò che ha fatto, arrivando ad arrogarsi il diritto di negare il suo essere comunista, io voglio soltanto dire che forse non è stato il più grande rivoluzionario, ma se sono i rivoluzionari quelli che aspettate, in un contesto come quello italiano, allora potete continuare a decontestualizzare tutto, e probabilmente arriverete a sputare anche su Che Guevara, su Allende, su tutti quelli che, come Berlinguer, per malattia o uccisi, hanno lottato fino all'ultimo per il bene di tutti, anche a costo di perdere un giorno consensi. 

Questo articolo forse verrà tacciato come agiografico, ma a me non interessa. Se Berlinguer ha fallito la colpa è di chi ha smesso di votare PCI, vuoi perché non ne ha sentito più il bisogno o vuoi perché non c'era più Berlinguer... ma allora ditemi, erano veri comunisti quelli che dopo la morte di Berlinguer hanno riposto le bandiere? Erano comunisti quelli che una volta conquistato ciò che a loro interessava hanno smesso di lottare per i diritti di qualcun altro? 

Secondo me no... 

Berlinguer però lo era, e chi veramente l'ha amato ha continuato ad esserlo. Perché se è vero che Berlinguer era una brava persona, è anche vero che una brava persona piace a persone che sono brave quanto lei.






Stefano Tortelli