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lunedì 25 maggio 2015

Berlinguer, ti voglio bene! Senza se e senza ma.

Enrico Berlinguer e Roberto Benigni a Roma. 17 giugno 1983



Oggi sarebbe stato il novantatreesimo compleanno di Enrico Berlinguer, uno dei politici più amati dal Dopoguerra ad oggi, secondo forse soltanto a Sandro Pertini. La sua vita è finita a sessantadue anni, a causa di un ictus durante un comizio per il Partito Comunista, del quale è stato segretario per dodici anni, dal '72 all'84. Dalla sua Sardegna al Veneto, da Sassari a Padova il percorso è stato lungo, intenso, pieno di lotte, di scontri con le altre forze politiche ma anche con i propri compagni. Perché se una cosa a sinistra riesce bene è proprio quella di preferire l'immobilismo al compromesso, la scissione alla coesione nonostante. Ora come allora.

Ed ora, a distanza di trent'anni dalla sua morte anche Berlinguer sta subendo l'onta del revisionismo, della decontestualizzazione, della sottolineatura degli errori da lui commessi, diventando anche lui un ingranaggio della ben oliata macchina del fango promossa da coloro che pensano di essere gli eletti, i discendenti di Marx e Lenin, gli unici a poter portare avanti il discorso comunista in Italia. Ma non è di questo che voglio parlare, o meglio questo è solo il punto di partenza della mia esposizione che vuol partire da quegli errori messi in luce con estrema mancanza di rispetto e di cognizione di causa da parte di chi infanga Enrico e che vuole arrivare non solo a giustificarli ma a renderli i punti di forza della politica della maggioranza PCI sotto la guida di Berlinguer. 

Perché Berlinguer non era affatto stupido, e la sua non era affatto una politica emergenziale, a breve termine, indirizzata solo al servire per il presente risultando sterile nel futuro. Berlinguer puntava a quella famosa "Città futura" descritta da Gramsci nei suoi appunti, e sapeva che per arrivarci non era sufficiente soddisfare i lavoratori, assecondare le lotte studentesche, cavalcare l'onda dell'entusiasmo delle piazze. Perché Berlinguer sapeva che portare al benessere attraverso le conquiste dei diritti poteva essere un'arma a doppio taglio, sapeva che buona parte dell'elettorato votava PCI non tanto per coscienza politica ma per interesse, e per cui era necessario andare oltre, creare un forte legame tra il partito e l'elettorato, puntando possibilmente a renderlo più vasto, raccogliendo quei consensi che sarebbero sì stati difficili da strappare ma percorrendo la strada non tanto che portava alla pancia dell'elettore quanto a quella della testa. Perché si fa presto a dire che il PCI ha fallito per colpa della classe politica, per colpa anche di Berlinguer, ma forse si sopravvaluta la tenuta morale dell'elettorato che portò il PCI ad essere il primo partito in Italia ed il più forte partito comunista dell'Europa Occidentale: perché è vero, era gente impegnata, come non si è più vista in Italia negli ultimi trentacinque anni, ma bisogna chiedersi il perché di queste loro azioni, di questo loro impegno. Era un impegno strumentalizzato, dettato dalla fame, dalla sopravvivenza, dalla logica necessità di rispetto, di riconoscimento, di acquisizione di determinati diritti. Il problema è che una volta conquistati i diritti a loro cari si sono ritirati, sono tornati a casa, davanti alla TV, sul divano nuovo, e non si sono posti il problema di spiegare la loro storia ai figli, alle nuove generazioni, alla fatica; non hanno motivato le loro scelte politiche, se non dicendo che votavano così perché era l'unico modo per conquistare ciò che desideravano. Si contesta tanto l'elettorato berlusconiano della prima ora, quello di imprenditori e di ladroni vari, ma del resto non hanno agito tanto diversamente: han votato Berlusconi perché Berlusconi garantiva loro le libertà che nessun altro gli avrebbe concesso... o no!? 

Berlinguer agì quindi con lungimiranza, prendendo le distanze dai comportamenti dell'Unione Sovietica ma non dagli ideali dell'universo sovietico, e non si pose il problema di contrapporsi per partito preso alla DC perché all'interno della DC c'erano delle correnti che molto avrebbero potuto dare alla causa di sinistra: lo chiamano cattocomunisti gli ottusi di estrema sinistra l'atteggiamento tenuto da Berlinguer, ma in verità era unione di intenti, era solidarietà, era umanesimo volto a dar sostegno ad una battaglia che doveva continuare. Perché c'era il rischio di fare la fine della Grecia dei colonnelli, c'era il rischio di un colpo di Stato, di una guerra civile, di una invasione occidentale. E per cui si arrivò al compromesso storico tra PCI e DC, tra Berlinguer e Moro. e per capire quanto importante e fondamentale poteva essere il compromesso storico, se solo si fosse potuto realizzare, è sufficiente analizzare ciò che è successo nel momento in cui questa ipotesi stava diventando realtà. E' stato architettato il rapimento di Moro da parte delle Brigate Rosse, che poi il  9 maggio si è trasformato in assassinio, e casualmente stanno emergendo tutta una serie di prove che mostrano come quelle non fossero Brigate Rosse e come dietro tutto ciò che stava avvenendo, sia tra i Brigatisti rossi sia tra i fascisti erano presenti il Gladio e la CIA. Perché per l'appunto l'importanza di un evento e/o di una persona si evince anche e soprattutto dalla reazione che questo evento e/o questa persona suscita nei nemici. Ed i nemici hanno deciso di colpire Moro, in modo da non perdere definitivamente le possibilità di ribaltare una situazione che per loro era estremamente difficile, delegittimare totalmente agli occhi dell'opinione pubblica le Brigate Rosse (che, nonostante quel che si racconta ora, godevano di una simpatia non trascurabile tra la popolazione) e far passare per colpevoli tutti i comunisti. Berlinguer compreso. Avessero ucciso Enrico, probabilmente nemmeno un accorato invito a non armarsi come quello fatto da Togliatti dopo l'attentato che lo colpì avrebbe fermato i comunisti di allora. Del resto i servizi segreti vengono spesso chiamati "intelligence" mica per caso... 

Ma la cosa più grande di Berlinguer, che va oltre le critiche e non parte da esse, fu la sua capacità di arrivare alla gente come pochi altri, di far leva sulle emozioni della gente: perché il problema di molti politici di sinistra è sempre stato l'apparire burberi, freddi, estremamente pessimisti, pieni di rabbia e rancore di fronte allo sfacelo a loro contemporaneo, e le uniche emozioni che potevano far passare erano quelle di rivincita, di vendetta, di desiderio di lotta. Funzionali al massimo, e del resto i risultati pre-Berlinguer lo dimostrano, ma comunque mai mostravano un qualcosa che andasse oltre tutto ciò: non c'erano molti sorrisi, non c'era la passione, non c'era una forte luce nei loro occhi. Per fare un esempio non c'era l'intensità che era presente in Ernesto Che Guevara o nei suoi compagni cubani, da Fidel Castro a Camilo Cienfuegos. Berlinguer in questo è stato unico prendendo in considerazione il partito comunista italiano, ed è forse proprio questa la sua caratteristica che l'ha portato ad essere giusto un gradino sotto a Pertini nella classifica dei personaggi politici nostrani più amati. Perché come diceva Gaber "Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona"... ed io credo che fosse questo il motivo più importante per il quale essere allora comunisti.

Non per le lotte, non per il pane, non per i diritti. Ma perché si aveva una guida morale meravigliosa, capace di fare politica come pochi altri, appassionato, colto, intelligente... ed estremamente buono. A chi ora cerca di delegittimare tutto ciò che ha fatto, arrivando ad arrogarsi il diritto di negare il suo essere comunista, io voglio soltanto dire che forse non è stato il più grande rivoluzionario, ma se sono i rivoluzionari quelli che aspettate, in un contesto come quello italiano, allora potete continuare a decontestualizzare tutto, e probabilmente arriverete a sputare anche su Che Guevara, su Allende, su tutti quelli che, come Berlinguer, per malattia o uccisi, hanno lottato fino all'ultimo per il bene di tutti, anche a costo di perdere un giorno consensi. 

Questo articolo forse verrà tacciato come agiografico, ma a me non interessa. Se Berlinguer ha fallito la colpa è di chi ha smesso di votare PCI, vuoi perché non ne ha sentito più il bisogno o vuoi perché non c'era più Berlinguer... ma allora ditemi, erano veri comunisti quelli che dopo la morte di Berlinguer hanno riposto le bandiere? Erano comunisti quelli che una volta conquistato ciò che a loro interessava hanno smesso di lottare per i diritti di qualcun altro? 

Secondo me no... 

Berlinguer però lo era, e chi veramente l'ha amato ha continuato ad esserlo. Perché se è vero che Berlinguer era una brava persona, è anche vero che una brava persona piace a persone che sono brave quanto lei.






Stefano Tortelli

martedì 24 febbraio 2015

I collezionisti di occasioni perse - L'inutile contestazione a Tsipras






Non mi considero un inguaribile ottimista. Tutt'al più sono un sognatore, uno che ci spera fino all'ultimo, uno che se può fare qualcosa lo fa, e se non può farlo fa in modo di poterlo fare. Ed inoltre mi è stato insegnato che è importante ammirare chi intraprende un cammino, chi tenta di migliorare lo stato attuale delle cose, chi ci mette ogni energia per far sì che qualcosa di nuovo si realizzi. La Grecia non diventerà la nuova Cuba, non nel giro di tre mesi, non nel giro di un anno. 

In Italia i pseudo-compagni vanno farneticando, tacciando di indole borghese Syriza, considerandola un prodotto del capitalismo, pretendendo di sentire riecheggiare l'Internazionale dagli altoparlanti di ogni dispositivo audio-trasmittente della penisola ellenica. Cavoli, bastasse essere di sinistra e vincere un'elezione per realizzare tutto questo datemi un partito che andiamo a conquistare la rossa primavera. Stiamo rasentando l'assurdo, siamo già nel ridicolo. Ed oltre tutto non ci assumiamo le nostre colpe, che sono enormi, e che in gran parte risiedono in quel gruppo dirigenziale fantoccio che è venuto a crearsi nei vari partiti che si AUTOdefiniscono comunisti. Già definirsi comunisti è una bella pretesa: non è mica come dire "Ciao, io sono Stefano e sono italiano"; comunista è un'etichetta che dovrebbe venirci data, e che sia un nemico od un amico ad affibbiarcela poco importa, l'importante è aver fatto qualcosa che agli occhi altrui ci rende tali. Una volta successo allora sì che ci si può definire comunisti o socialisti. Per me il partito di Tsipras è una buona via per raggiungere il comunismo in un mondo totalmente capitalista. Perché la Russia non è più anti-capitalista da cinquant'anni, semplicemente ha adattato il capitalismo all'ideale comunista, e la stessa cosa vale per la Cina. per cui di modelli a cui ispirarsi e che siano attuali non ce ne sono. Bisogna procedere per tentoni, per tappe, per compromessi. Vogliamo distruggere il capitalismo? Non possiamo: o facciamo una rivoluzione armata o non possiamo. Non ci sono riusciti i cubani ed i sovietici senza un tributo di sangue e con la gente che stava morendo di fame, vogliamo credere di poterlo fare noi senza imbracciare le armi in una realtà dove, comunque, le pance sono piene? Il capitalismo non va distrutto, va superato. Del resto Il capitale di Marx non parla di distruzione del capitalismo, parla del suo superamento, del suo annientamento in quanto desueto, in quanto fallito, in quanto incapace di auto-alimentarsi. Ma occhio, il marxismo ora come ora è inapplicabile: i proletari non esistono più, o meglio, i proletari di oggi sono i borghesi di ieri. Chi fa figli se non i ricchi!? E proletario non significa "colui che ha prole"? Quindi basta parlare di proletariato. E la classe operaia? Dov'è la classe operaia? Chi è ancora che lavora in fabbrica, e soprattutto quanti ancora, di quelli che lavorano in fabbrica, votano in modo differente dai propri padroni? Se dove lavorava fino a un paio di anni fa mio padre la maggior parte dei suoi colleghi votavano l'asse Lega-PDL qualcosa non funziona, o sbaglio? 

Studiando per un esame mi è capitata sott'occhio una ricerca condotta negli anni '50 in Inghilterra presso alcune fabbriche di uno dei più importanti centri siderurgici della Gran Bretagna, la quale metteva in luce come, una volta conquistati certi diritti, migliori condizioni di vita e determinate sicurezze, l'operaio cambiava la sua linea politica, allineandosi a quella del datore di lavoro. Ne è la prova il fatto che, se dopo la seconda guerra mondiale a vincere le elezioni furono i laburisti, nel giro di pochi anni, nonostante avessero rispettato il loro programma elettorale, al potere tornarono i conservatori. In Italia questo processo è stato fortunatamente più lento, ma forse è solo perché in Italia certe conquiste sono state più difficoltose, hanno richiesto più tempo, e per cui l'esigenza di un partito comunista si è sentita per trent'anni anziché per soli dieci. Questa è una delle tante mancanze storiche, una delle tante ignoranze dei "comunisti" di oggi. La fondazione del PCI non è stata concepita in una notte, la Rivoluzione russa non è avvenuta dall'oggi al domani, come non è stata una questione da poco il processo che ha portato al trionfo di Fidel Castro e di Che Guevara a Cuba. Questi signori invece vogliono tutto e subito, mostrando così quanto su di loro ha attecchito il lato più profondo del capitalismo. L'assurdo poi è che blaterano di voler rifondare il PCI quando loro sono stati tra i principali assassini del nostro partito comunista, e sebbene in modo subdolo ne rivendicano l'uccisione: insultando Berlinguer, massacrandone il ricordo, spargendo immondizia sulla tomba del più grande statista italiano. Ma stiamo scherzando!? 

Enrico, perdonali tu, perché io non ci riesco. A guidare il pensiero comunista dovrebbe esserci una persona come te, uno che anziché snocciolare soltanto numeri e teorie sapeva anche parlava alla gente, arrivare al cuore delle persone, farsi voler bene. E soprattutto tu non ti rifugiavi nelle tue stanze, non ti mostravi avulso dalla realtà del tuo tempo, ma soprattutto estraneo alla gente. Majakovskj sosteneva che per essere un buon politico bisognava essere in grado di calarsi nella realtà, nella contemporaneità, conoscendone così le problematiche e potendo così escogitare soluzioni applicabili alla natura del contesto. Berlinguer è stato capace di farlo, e l'ha fatto due volte, prima portando avanti le istanze di quella che non era la sua classe d'origine, e poi modificando gli obiettivi del partito in base ai mutamenti della società. Ora invece i nostri politici pensano di essere ancora nel 1800, o tutt'al più ai tempi della Rivoluzione d'Ottobre. 

Mentre stavo andando ad insegnare stavo pensando a tutto questo ed a come la filosofia si sia evoluta in tremila anni. Da Anassimene a Marx il passo è breve, ed ha una sua logica, mostra un'evoluzione che se non è paragonabile a quella di un entità biologica poco ci manca. Il problema sono questi ultimi 200 anni e quest'assenza di una nuova filosofia, o meglio di esponenti a cui si da credito, per affrontare gli attuali problemi e sostenere con la teoria una pratica socialista realizzabile ora. Ci son stati Gramsci, Lorenz, Fromm, ma tutto sommato non se li caga nessuno... chissà perché... forse sono considerati impuri.

Spiace, ma io negli attuali comunisti puristi ci vedo dei reazionari, che non si rendono conto di vedere come Tsipras possa essere il preludio per un nuovo socialismo (caso strano Tsipras ha messo in moto quel che più si può considerare erede dell'Internazionale Socialista, ovvero la sua Altra Europa), perdendo così, di fatto, l'ennesima occasione di scendere dai loro piedistalli. Siete statue di sale, siete castelli di sabbia... e non per niente non entrerete mai in parlamento. Sale e sabbia sono inorganici, di conseguenza incapaci di provare e far provare emozioni. La politica di sinistra dovrebbe essere la politica delle emozioni, non la politica dei numeri. I numeri, almeno quelli, lasciateli al capitalismo. 

Non avrei mai dovuto scrivere queste righe, soprattutto alla luce del fatto che spesso mi trovo a dover difendere le mie posizioni politica, considerate spesso anacronistiche. Non sono le mie posizioni ad essere anacronistiche, sono gli esponenti principali che son rimasti nel Medioevo del pensiero comunista. Il comunismo può farcela, è molto malato, ma lo possiamo salvare. Forse dovremo dialogare con i nostri nemici, forse dovremo scendere a compromessi, ma intanto guadagneremo terreno, intanto porteremo sempre più avanti la linea di confine, sposteremo più ad "est" le nostre trincee e le nostre barricate. Berlinguer ha avuto successo perché innanzitutto sapeva dialogare, e soprattutto perché si metteva in gioco, faceva qualcosa. Ha sbagliato a volte, ma solo chi non fa non sbaglia mai. 

Non voglio pensare che la sua morte sia la morte dei miei ideali, altrimenti io qui che ci sto a fare!? Ai suoi funerali c'erano tre milioni di persone... stiamo parlando di poco più di trent'anni fa. Era un uomo, era mortale, come lo siamo noi. Vogliamo ricordarlo davvero!? Allora viviamo come lui, agiamo come lui. E lasciamo agli altri il lusso di poter sputare su di noi e sulle tombe dei nostri padri, non hanno bisogno del nostro aiuto.

Scusa Enrico se ti ho coinvolto così tanto, probabilmente sei schifato più di me al momento, ma voglio pensare che anche tu stia sperando nel vedere un giovane compagno provarci sull'altra sponda dell'Adriatico.




Stefano Tortelli