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domenica 19 luglio 2015

Razzismo: la paura di vedere il proprio futuro in faccia





Per combattere un nemico bisogna conoscerlo, e conoscerlo bene. E' necessario entrare nella sua psiche, comprendere al meglio i suoi pensieri, tentare di ragionare come lui, capire cosa lo spaventa, cosa lo emoziona, ed infine combatterlo, avendo così buone chance per sconfiggerlo. Perché se ancora non è chiaro, cari miei, siamo in guerra: una guerra psicologica, una guerra di emozioni, di consensi, di mal di pancia, che talvolta, come a Roma e Treviso, sfocia in guerra fisica. Leggo e sento pareri discordanti riguardanti ogni cosa che avviene attorno a noi, ed il concetto di "attorno a noi" è esteso al mondo intero, e non solo al nostro paese, al nostro quartiere, alla nostra città, alla nostra nazione. L'avete voluta la globalizzazione, l'avete voluto il libero mercato? Bene, allora anche la vostra mente dovrebbe agire senza frontiere. E le frontiere più difficili da abbattere sono innanzi tutto quelle dell'Io, perché alla fine ogni azione che svolgiamo, a livello individuale o collettivo, è figlia di un impulso egoistico da soddisfare. 

C'è chi si ascolta un disco, chi va ad un concerto con gli amici, chi partecipa ad una manifestazione, chi si prende cura degli animali, chi si "accontenta" di fare l'amore tutto il giorno con la persona che ama o di passare la giornata insieme ai figli in un parco o a legger loro storie... e poi ci sono quelli che credono che il loro obiettivo sia combattere il diverso, lo straniero, il differente. Lo combattono a parole, lo combattono sbraitando su facebook o parlando con i propri conoscenti, e per molti è sufficiente questo: si liberano, si sentono appagati, hanno dato sfogo alle loro voglie (di ben più bassa lega di quelle di Bocca di rosa, ma ragazzi, degustibus!!). E poi c'è chi passa al livello successivo, dando fuoco ai letti dei profughi o insultando diciannove disperati che null'altro chiedono che un posto dove dormire e qualcosa da mangiare.

Un posto dove dormire, qualcosa da mangiare. Molti di loro argomentano che di sto passo arriveremo anche noi a quel punto, a non saper più dove dormire, a non aver più nulla da mangiare, a non poter più soddisfare i propri bisogni primari. Hanno ragione. Il problema però è un altro. Innanzi tutto i bisogni primari dell'uomo medio occidentale sono molti di più che mangiare e dormire, e ben pochi di questi sono funzionali ad un progetto a medio-lungo termine. "Cazzo, mi han tagliato lo stipendio, ora mi tocca scegliere tra fare l'abbonamento a Sky o quello ad Internet"; "Ora che non posso più fare gli straordinari sarà difficile riuscire ad andare in vacanza in Egitto quest'anno"; "Ma guarda te, io non posso permettermi una casa più grande ed a QUELLI danno una camera d'albergo, che vergogna!!": questi sono i bisogni primari della gente che si lamenta degli stranieri.. e come dar loro torto, dico io!! Solo che la responsabilità di tutto ciò che sta accadendo alla classe media europea non è causato dagli immigrati, bensì da chi prima l'ha abituata a questo stile di vita, ovvero quello del superfluo, e poi pian piano le sta togliendo tutto. Ma prima di toglierle queste cose veramente superflue le ha tolto tutto il resto, a partire dall'autodeterminazione, dalla coscienza di se stesso, dalla capacità di vedere oltre il dopodomani. E' chi sta sopra alla classe media che la sta fregando, non chi sta sotto o, tutt'al più, alla pari. Non è il compagno di lavoro il nemico, non è la vicina di casa immigrata, non è il vagabondo alla stazione che chiede due spiccioli. Sono i padroni, sono i politici, sono le classi privilegiate e false: mi viene sempre in mente l'esempio dei ginecologi obiettori di coscienza che poi fanno abortire le donne nel loro studio privato. Questi sono i nemici, non i fratelli. 

Ma le guerre tra poveri sono famose, ci sono sempre state, sempre ci saranno. Anche perché l'uomo è guidato da due istinti che sono diametralmente opposti: vuole essere superiore a qualcun altro ed allo stesso tempo annientare chi è a loro inferiore. E' la natura, è umanità. Per questo detesto il concetto di umanità applicato agli atti caritatevoli: se spesso sono stati affibiati ad una divinità o alla santità di una persona, un motivo ci sarà, no? E' proprio perché sono inumani che sono così eccezionali, questi atti, e rendono qualcosa di altro dall'essere umano colui che mette in atto questi gesti. Ma non perdiamoci nel discorso umanità perché ci sarebbe da parlarne per giorni... Come dicevo, le guerre tra poveri ci sono sempre state, e questa, questa battaglia apparentemente razzista, è soltanto l'ultima di una lunga serie. Queste persone, questi razzisti, probabilmente si comporterebbero nello stesso modo se in una situazione simile si trovassero i francesi, gli austriaci, e non mi stupirei se un giorno, se la situazione della Grecia dovesse peggiorare, leggeremo o sentiremo frasi come "Greco di merda, tornatene nella tua Acropoli".

Tutto questo non è per sminuire il concetto di razzismo, ma per provare a spiegarlo, per provare a renderlo qualcosa di ancora più ampio, collocandolo in un errore madornale della normale lotta tra classi, che però vede la classe medio bassa combattere con chi è addirittura allo stesso livello ed ancor più in basso anziché volgere le proprie ire e la propria bellicosità verso l'alto. Tutto questo succede perché nel diverso, in queste persone che parlano un'altra lingua, che hanno una fisionomia diversa (il colore è molto relativo, albanesi e rumeni, ad esempio, non sono poi così diversi di noi per quanto riguarda la carnagione) il razzista ha la visione di se stesso tra qualche anno, nel momento in cui avrà lasciato portarsi via anche l'ultimo diritto, l'ultimo pezzo di pane, l'ultimo metro quadro di tegole sopra la propria testa. Questa visione spaventa il razzista ed allora vuole allontanarla dalla propria vista, evitarla, distruggerla. Perché il futuro lo spaventa, ed allora non deve pensarci, ed allora per non pensarci deve concentrare le sue energie su un obiettivo facile, che oltre tutto è lo specchio della sua esistenza futura, del suo futuro... futuro al quale non ha mai pensato perché troppo concentrato a guardarsi i telefilm su sky, a fare shopping per le vie del centro, a cercare di assomigliare a chi sta sopra di lui non perché in questo modo diventa come i suoi nemici irraggiungibili, ma perché almeno, nello specchio della proprio casa, può vedersi, ora, come loro. Non è loro, ma gli assomiglia, e questo gli basta.

Gli immigrati non sono solo un capro espiatorio, non sono solo uno specchietto per le allodole, ma sono anche lo specchio del nostro futuro se continueremo a stare seduti con le mani in mano e tenendo la testa bassa, incazzandoci e bevendoci su una birra per non pensarci ulteriormente, guardando lo show del sabato sera o andando in discoteca per non farci prendere dai dubbi e dalle perplessità, in modo da non arrivare a dire: "Oh merda, ma ci hanno preso per il culo fino ad oggi quelli sopra di noi". 

Oggi sono gli immigrati a spaventarvi, domani sarà un'epidemia e chi è affetto da questa malattia, dopodomani saranno gli statali perché avranno agevolazioni per andare in pensione o aumenti di stipendio. E la gente se la prenderà con gli appestati, e così la gente diventerà epidemista, poi se la prenderà con statali e diventerà statalista.. 

Capri espiatori per branchi di pecore che non attivano il cervello, che non vogliono guardare il futuro in faccia, che non sanno riconoscere il vero nemico. 

Quando poi, forse forse, il vero nemico di ognuna di queste persone è se stessa, perché son stati loro a stare con le chiappe ben comode sul divano. Belle larghe, ma comode. 

Io mi chiedo... solo ora brucia? Non sarà mica che, sotto sotto, tutto questo (schifo) piace? 

Eccolo il razzista in tutta la sua malata psicologia e la sua totale mancanza di lungimiranza, di coscienza di sé e di come va il mondo a lui circostante, eccolo il razzista che pur di non vedere il proprio triste futuro cerca di allontanarlo o distruggerlo. Eccolo il razzista, che non ne fa una questione di razza (ecco perché spesso si legge "non sono razzista ma"), di colore, di provenienza geografica. Si alimenta degli stereotipi, molto simili a quelli che riconosce in lui stesso, per avere un movente per la sua crociata verso il diverso oggi ma uguale domani. Il razzismo non è razzismo, il razzismo è classismo mascherato, colorato, è una lotta di classe verso il basso, che porterà ancor più giù chi la combatte. Sia il razzista sia l'obiettivo del suo odio.

Vogliamo combattere il razzismo? Pensiamo al futuro e pensiamoci tutti insieme. Il domani è tutto ciò che abbiamo, e dobbiamo difenderlo da chi ce lo vuole togliere ed ha la forza per farlo. Ovvero chi detiene il potere. Ed il domani, il domani egualitario e giusto, è sempre stato la direzione, l'obiettivo di un'unica ideologia, quella dell'uomo che disse che per essere un buon rivoluzionario occorresse sentire nel profondo di noi stessi ogni ingiustizia perpetrata nei confronti di un nostro simile. Quella di un certo Ernesto "Che" Guevara.





Stefano Tortelli

martedì 14 luglio 2015

C'era una volta l'Internazionale



Torno a scrivere dopo quaranta giorni circa, una Quaresima dettata da un intervento chirurgico, e delle placche alla gola, ma anche dal caldo opprimente che nelle settimane passate ha contribuito non poco a rendere arido il fiume delle idee. Più volte ho provato a scrivere qualcosa, gli spunti non sono mai mancati, ma ho sempre trovato qualche difficoltà a dar loro forma, ad aumentarne la sostanza, a dar loro un'ordine. Già di loro, solitamente, sono anarchiche... figuriamoci nelle settimane appena trascorse.

Ma ora sono tornato, ed in un certo senso aspettavo questa giornata per riprendere in mano i "fogli" di questo blog, le pagine bianche ancora da scrivere e questa penna che in sé contiene tutti i caratteri dell'alfabeto. Perché oggi è l'anniversario della Rivoluzione Francese, di quel secondo atto di ribellione agli antichi poteri che ormai da secoli guidavano l'andamento dell'Europa e non solo. Dico secondo perché prima dei moti dei fautori della I Repubblica francese vi furono le lotte d'indipendenza dei coloni nordamericani contro la Corona inglese, sfociati in una guerra che portò successivamente alla stesura della prima Costituzione ed alla formazione degli Stati Uniti d'America. Erano partiti bene gli States, ma poi si son persi strada facendo... il loro però fu un esempio per i rivoluzionari d'Oltralpe, i quali costrinsero alla fuga il re, delegittimarono i nobili ed il clero, si costituirono in Repubblica, diedero un'identità di cittadino francese ad ogni individuo che partecipasse attivamente alla vita della neonata repubblica ed ispirarono, nei decenni successivi, rivoluzioni simili in altre aree del Vecchio Continente. E sarebbe stato bello fare un articolo dedicato alla Rivoluzione Francese, tema che mi è sempre stato a cuore sin dalla quinta elementare, quando portai l'argomento all'esame (un po' come fece Max Collini degli Offlaga Disco Pax, solo che lo fece qualche anno prima, ed in terza elementare), ma alla luce dei recenti avvenimenti è soltanto uno spunto per parlare dell'attualità, di ciò che sta succedendo non oltre i nostri monti ma oltre il mare che ci bagna sulla costa orientale. Perché se non c'è nulla di nuovo sul fronte occidentale, su quello orientale c'è una polveriera che sta per esplodere... e la colpa è di tutti noi, di tutta l'Europa, sia, ovviamente, delle destre capitaliste, sia, e nemmeno troppo a sorpresa, delle sinistre più radicali.

C'era una volta l'Internazionale. Siamo nel 1864, i moti rivoluzionari del 1848, sebbene con alterne fortune, avevano fortemente modificato l'opinione pubblica, o, ancor meglio, l'avevano creata, soprattutto nelle fasce medio basse della popolazione, le quali necessitavano di organismi che dessero voce alle loro istanze per poi mettere nella condizione i poteri forti di accorgersi del fatto che le acciaierie non funzionavano da sole, nemmeno le miniere, e nemmeno i raccolti erano spontanei. Spesso furono alcuni borghesi illuminati a farsi portavoce degli ammutoliti operai e contadini, e così poterono pian piano nascere i primi sindacati riconosciuti, i primi partiti realmente democratici, dove il concetto di democrazia non era "potere al popolo" inteso come "il popolo elegge e poi chi viene eletto fa gli affari propri" ma "potere al popolo" inteso come "il potere viene dato in mano alla massa, alla realtà più rappresentata". E la realtà più rappresentata non poteva che essere quella dei cittadini operai e dei contadini di campagna. Nacque così la classe operaia, nacque così il proletariato. O meglio, nacquero la presa di coscienza di essere parte di un'entità grandissima, potenzialmente imbattibile. Sempre nel 1848 Karl Marx e Friedrich Engels pubblicarono "Il manifesto del Partito Comunista", vero e proprio programma di partito di quella che fu la prima realtà politica comunista, la Lega dei comunisti. Dopo sedici anni, tornando così al punto iniziale della nostra storia, nacque quella che noi conosciamo come Prima Internazionale, ovvero l'Associazione internazionale dei lavoratori. In essa confluivano tutte le realtà politiche che si erano rese conto di come, per poter reggere un'economia già allora traballante (nel 1857 ci fu la prima crisi del sistema capitalistico), era necessario garantire una buona condizione di vita alla stragrande maggioranza della popolazione: perché vedete, se non fossimo così asfissiati da terminologie tecniche e da prese di posizione dovute a pregiudizi, e si volesse in modo molto semplicistico spiegare le varie correnti politiche, quella migliore per definire le sinistre è quella pocanzi descritta...

L'Internazionale aveva lo scopo di mettere a confronto le varie esperienze locali dei vari Stati, aveva la missione di dare un'organizzazione sovranazionale alle lotte politiche, ed al centro di ogni discussione vi era il popolo, e non l'equilibrio politico, non la questione morale, non esisteva una bilancia sulla quale pesare i pro ed i contro. La Prima Internazionale racchiudeva in sé non solo partiti chiaramente comunisti, ma anche laburisti, social democratici, anarchici, e sebbene spesso non andassero d'accordo avevano comunque il modo di parlarsi, di spiegarsi, talvolta di mandarsi a quel paese, ma per lo meno esisteva un confronto, quasi sempre produttivo. L'esperimento della Prima Internazionale si concluse nel 1872. Nel 1896 vi fu la Seconda Internazionale, che divenne sempre più potente, raccoglieva sempre più consensi, tant'è che per stroncarla, vent'anni dopo, si diede vita alla Prima Guerra Mondiale... ma non ditelo in giro, queste cose non si devono sapere... 

Nel primo dopoguerra vi fu la prima grande scissione, ovvero quella tra l'Internazionale, che divenne Internazionale Socialista, ed il Comintern, che raggruppava tutte le potenze comuniste del mondo. Ma il senso era sempre quello: confrontarsi, parlarsi, aiutarsi, imparare. Famosi sono i viaggi di Togliatti in terra sovietica, molto lui imparò dagli eroi della Rivoluzione d'Ottobre e molto i russi impararono da lui, tanto da dedicargli una città: c'era Stalingrado, c'era Leningrado, c'era (e c'è) Togliattigrado. Ed anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, quella guerra che vide l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche disintegrare il nazismo e dare una seria lezione all'Occidente capitalista, Comintern e Internazionale socialista continuarono ad operare, risultando sempre un ottimo laboratorio di idee, un ottimo utero dal quale poi partorire tanti figlie quante le lotte da combattere per conquistare i diritti nei vari Stati...

Sembra preistoria, ma alla fine stiamo parlando di cinquant'anni fa... ed ora cosa c'è? Ora c'è un povero socialista in Grecia che, solo contro tutti, abbandonato da qualsiasi possibile alleato di ogni Stato europeo, abbandonato anche dai comunisti della nazione ellenica, viene bersagliato da destra e sinistra per il fatto che ha accettato un patto che lo mette con le spalle al muro, in ginocchio la Grecia, ma in un certo senso salva il culo a tutti quei partiti delle altre nazioni che possono ancora vendere fumo negli occhi ai propri elettori dicendo che comunque dalla crisi si potrà uscire... perché se la Grecia fosse caduta, se Tsipras non avesse accettato, l'effetto domino sarebbe iniziato: Grecia, poi Italia, poi Spagna, poi Irlanda, poi Portogallo. I primi a cadere, proprio perché sacrificabili. E poi la Francia, poi le piccole nazioni... Perché il capitalismo è così, più mangia e più vorrebbe mangiare, e di certo non si ferma per pietà o perché sazio. 

Si sarebbe potuto evitare tutto questo? Certo, si sarebbe potuto evitare, ed in un modo anche molto semplice. Se è pur vero che il motto dividi et impera è estremamente valido, è anche vero che dividere qualcosa di fortemente coeso è molto difficile, se non impossibile. Se le potenze di sinistra d'Europa avessero appoggiato Syriza non solo a parole ma anche a fatti avrebbero potuto far sentire la loro voce nel contesto nazionale, e poi a Bruxelles ed a Strasburgo. Ovviamente sorge spontaneo il discorso relativo all'assenza di un partito di sinistra in Italia, ad esempio. Già, è vero, qui di Democratico c'è solo il nome, ma tutte le realtà extraparlamentari che finora hanno fatto a gara a chi aveva il martello più lungo o la falce più larga, se si fossero messe d'accordo avrebbero potuto dire: "Bene, ad alcuni di noi Syriza piace, ad altri no. Ma ora questo è l'esempio più a sinistra, o vista in un altro modo meno a destra, nella politica europea attuale. Proviamo a dar loro una mano, facciamo in modo che abbia successo, perché così il popolo greco ci guadagna ed intanto la nostra realtà comincia a riprendere una forma... e chissà che un giorno possa avere successo anche qui, in Italia, quel Paese che non meno di quarant'anni fa aveva il partito comunista più forte dell'Europa occidentale".

L'han fatto!? L'ha fatto qualcuno in altri Stati europei? No...

Qui giocano tutti con la nostra pelle, da Grillo a Salvini a Renzi a Rizzo e via dicendo... Questi stanno ore a parlare nei loro palazzi, durante i loro comizi, firmano accordi, li rispettano, li annullano, li aggirano... ma a loro poco cambia, se non l'acquisizione o la perdita di prestigio... e noi li guardiamo in tv, mentre proviamo a mettere insieme il pranzo con la cena, cercando di capire quale sarà il nostro boia...

E pensare che basterebbe un minimo di organizzazione... ci riuscivano Marx ed i suoi compagni di tutta Europa quando c'era solo il telegrafo ed i treni non superavano le 50 miglia orarie, per quale motivo non ci dovremmo riuscire noi!? 

Sarà che, tutto sommato, sentiamo ancora poco i morsi della fame... 




Stefano Tortelli

martedì 24 febbraio 2015

I collezionisti di occasioni perse - L'inutile contestazione a Tsipras






Non mi considero un inguaribile ottimista. Tutt'al più sono un sognatore, uno che ci spera fino all'ultimo, uno che se può fare qualcosa lo fa, e se non può farlo fa in modo di poterlo fare. Ed inoltre mi è stato insegnato che è importante ammirare chi intraprende un cammino, chi tenta di migliorare lo stato attuale delle cose, chi ci mette ogni energia per far sì che qualcosa di nuovo si realizzi. La Grecia non diventerà la nuova Cuba, non nel giro di tre mesi, non nel giro di un anno. 

In Italia i pseudo-compagni vanno farneticando, tacciando di indole borghese Syriza, considerandola un prodotto del capitalismo, pretendendo di sentire riecheggiare l'Internazionale dagli altoparlanti di ogni dispositivo audio-trasmittente della penisola ellenica. Cavoli, bastasse essere di sinistra e vincere un'elezione per realizzare tutto questo datemi un partito che andiamo a conquistare la rossa primavera. Stiamo rasentando l'assurdo, siamo già nel ridicolo. Ed oltre tutto non ci assumiamo le nostre colpe, che sono enormi, e che in gran parte risiedono in quel gruppo dirigenziale fantoccio che è venuto a crearsi nei vari partiti che si AUTOdefiniscono comunisti. Già definirsi comunisti è una bella pretesa: non è mica come dire "Ciao, io sono Stefano e sono italiano"; comunista è un'etichetta che dovrebbe venirci data, e che sia un nemico od un amico ad affibbiarcela poco importa, l'importante è aver fatto qualcosa che agli occhi altrui ci rende tali. Una volta successo allora sì che ci si può definire comunisti o socialisti. Per me il partito di Tsipras è una buona via per raggiungere il comunismo in un mondo totalmente capitalista. Perché la Russia non è più anti-capitalista da cinquant'anni, semplicemente ha adattato il capitalismo all'ideale comunista, e la stessa cosa vale per la Cina. per cui di modelli a cui ispirarsi e che siano attuali non ce ne sono. Bisogna procedere per tentoni, per tappe, per compromessi. Vogliamo distruggere il capitalismo? Non possiamo: o facciamo una rivoluzione armata o non possiamo. Non ci sono riusciti i cubani ed i sovietici senza un tributo di sangue e con la gente che stava morendo di fame, vogliamo credere di poterlo fare noi senza imbracciare le armi in una realtà dove, comunque, le pance sono piene? Il capitalismo non va distrutto, va superato. Del resto Il capitale di Marx non parla di distruzione del capitalismo, parla del suo superamento, del suo annientamento in quanto desueto, in quanto fallito, in quanto incapace di auto-alimentarsi. Ma occhio, il marxismo ora come ora è inapplicabile: i proletari non esistono più, o meglio, i proletari di oggi sono i borghesi di ieri. Chi fa figli se non i ricchi!? E proletario non significa "colui che ha prole"? Quindi basta parlare di proletariato. E la classe operaia? Dov'è la classe operaia? Chi è ancora che lavora in fabbrica, e soprattutto quanti ancora, di quelli che lavorano in fabbrica, votano in modo differente dai propri padroni? Se dove lavorava fino a un paio di anni fa mio padre la maggior parte dei suoi colleghi votavano l'asse Lega-PDL qualcosa non funziona, o sbaglio? 

Studiando per un esame mi è capitata sott'occhio una ricerca condotta negli anni '50 in Inghilterra presso alcune fabbriche di uno dei più importanti centri siderurgici della Gran Bretagna, la quale metteva in luce come, una volta conquistati certi diritti, migliori condizioni di vita e determinate sicurezze, l'operaio cambiava la sua linea politica, allineandosi a quella del datore di lavoro. Ne è la prova il fatto che, se dopo la seconda guerra mondiale a vincere le elezioni furono i laburisti, nel giro di pochi anni, nonostante avessero rispettato il loro programma elettorale, al potere tornarono i conservatori. In Italia questo processo è stato fortunatamente più lento, ma forse è solo perché in Italia certe conquiste sono state più difficoltose, hanno richiesto più tempo, e per cui l'esigenza di un partito comunista si è sentita per trent'anni anziché per soli dieci. Questa è una delle tante mancanze storiche, una delle tante ignoranze dei "comunisti" di oggi. La fondazione del PCI non è stata concepita in una notte, la Rivoluzione russa non è avvenuta dall'oggi al domani, come non è stata una questione da poco il processo che ha portato al trionfo di Fidel Castro e di Che Guevara a Cuba. Questi signori invece vogliono tutto e subito, mostrando così quanto su di loro ha attecchito il lato più profondo del capitalismo. L'assurdo poi è che blaterano di voler rifondare il PCI quando loro sono stati tra i principali assassini del nostro partito comunista, e sebbene in modo subdolo ne rivendicano l'uccisione: insultando Berlinguer, massacrandone il ricordo, spargendo immondizia sulla tomba del più grande statista italiano. Ma stiamo scherzando!? 

Enrico, perdonali tu, perché io non ci riesco. A guidare il pensiero comunista dovrebbe esserci una persona come te, uno che anziché snocciolare soltanto numeri e teorie sapeva anche parlava alla gente, arrivare al cuore delle persone, farsi voler bene. E soprattutto tu non ti rifugiavi nelle tue stanze, non ti mostravi avulso dalla realtà del tuo tempo, ma soprattutto estraneo alla gente. Majakovskj sosteneva che per essere un buon politico bisognava essere in grado di calarsi nella realtà, nella contemporaneità, conoscendone così le problematiche e potendo così escogitare soluzioni applicabili alla natura del contesto. Berlinguer è stato capace di farlo, e l'ha fatto due volte, prima portando avanti le istanze di quella che non era la sua classe d'origine, e poi modificando gli obiettivi del partito in base ai mutamenti della società. Ora invece i nostri politici pensano di essere ancora nel 1800, o tutt'al più ai tempi della Rivoluzione d'Ottobre. 

Mentre stavo andando ad insegnare stavo pensando a tutto questo ed a come la filosofia si sia evoluta in tremila anni. Da Anassimene a Marx il passo è breve, ed ha una sua logica, mostra un'evoluzione che se non è paragonabile a quella di un entità biologica poco ci manca. Il problema sono questi ultimi 200 anni e quest'assenza di una nuova filosofia, o meglio di esponenti a cui si da credito, per affrontare gli attuali problemi e sostenere con la teoria una pratica socialista realizzabile ora. Ci son stati Gramsci, Lorenz, Fromm, ma tutto sommato non se li caga nessuno... chissà perché... forse sono considerati impuri.

Spiace, ma io negli attuali comunisti puristi ci vedo dei reazionari, che non si rendono conto di vedere come Tsipras possa essere il preludio per un nuovo socialismo (caso strano Tsipras ha messo in moto quel che più si può considerare erede dell'Internazionale Socialista, ovvero la sua Altra Europa), perdendo così, di fatto, l'ennesima occasione di scendere dai loro piedistalli. Siete statue di sale, siete castelli di sabbia... e non per niente non entrerete mai in parlamento. Sale e sabbia sono inorganici, di conseguenza incapaci di provare e far provare emozioni. La politica di sinistra dovrebbe essere la politica delle emozioni, non la politica dei numeri. I numeri, almeno quelli, lasciateli al capitalismo. 

Non avrei mai dovuto scrivere queste righe, soprattutto alla luce del fatto che spesso mi trovo a dover difendere le mie posizioni politica, considerate spesso anacronistiche. Non sono le mie posizioni ad essere anacronistiche, sono gli esponenti principali che son rimasti nel Medioevo del pensiero comunista. Il comunismo può farcela, è molto malato, ma lo possiamo salvare. Forse dovremo dialogare con i nostri nemici, forse dovremo scendere a compromessi, ma intanto guadagneremo terreno, intanto porteremo sempre più avanti la linea di confine, sposteremo più ad "est" le nostre trincee e le nostre barricate. Berlinguer ha avuto successo perché innanzitutto sapeva dialogare, e soprattutto perché si metteva in gioco, faceva qualcosa. Ha sbagliato a volte, ma solo chi non fa non sbaglia mai. 

Non voglio pensare che la sua morte sia la morte dei miei ideali, altrimenti io qui che ci sto a fare!? Ai suoi funerali c'erano tre milioni di persone... stiamo parlando di poco più di trent'anni fa. Era un uomo, era mortale, come lo siamo noi. Vogliamo ricordarlo davvero!? Allora viviamo come lui, agiamo come lui. E lasciamo agli altri il lusso di poter sputare su di noi e sulle tombe dei nostri padri, non hanno bisogno del nostro aiuto.

Scusa Enrico se ti ho coinvolto così tanto, probabilmente sei schifato più di me al momento, ma voglio pensare che anche tu stia sperando nel vedere un giovane compagno provarci sull'altra sponda dell'Adriatico.




Stefano Tortelli

sabato 21 febbraio 2015

Collezionismo, capitalismo e sessualità repressa




Sono tanti i possibili insegnanti che possiamo incontrare lungo il nostro cammino su questa Terra: scrittori, cantautori, sceneggiatori, insegnanti di professione, filosofi, statisti. Sono cose che ho già detto, lo so, ma la mia ridondanza è doverosa, alla luce degli ennesimi stimoli che la quotidianità mi offre per arrivare ad alcune congetture.

Dopo l'esame dato la settimana scorsa e complici le feste di Carnevale che hanno tenuto chiusa la scuola nei giorni in cui avrei dovuto fare lezione, ho dedicato gli ultimi giorni alla visione integrale delle prime due stagioni di X-Files, alle quali devo aggiungere le prime cinque puntate della terza serie. Di spunti ne da tanti, soprattutto ad una persona che crede all'esistenza degli alieni, all'esistenza di entità non visibili, al fatto che non siano casuali certe coincidenze e che ancora meno lo siano certe incongruenze. Ma non è questa, almeno per ora, la sede in cui parlerò di Scully e Mulder, né tanto meno dei fantasmi o degli alieni. Come ogni serie che si rispetti, però, anche X-Files ha un filo conduttore ben curato, sebbene spesso sia nascosto e controverso, ma considerare questo un aspetto negativo sarebbe sbagliato. Anzi, il segreto di X-Files è proprio questo... Ci sono però degli episodi cruciali nei quali è impossibile nascondere il filo, ed allora eccolo sbattutoci in faccia, con due o tre episodi legati tra loro, dei veri e propri film all'interno della serie. L'ultimo di questi film nel telefilm è quello che raccorda la seconda e la terza stagione, narrato per larghi tratti da un capo indiano. Senza andare a perderci nella trama, ciò che emerge dal suo racconto, implicitamente ed esplicitamente è il seguente: di Storia ce n'è una sola e viene scritta dai vincitori, che racconteranno ciò che a loro fa comodo.. ma di storie, e quindi di memorie, ce ne sono tante, infinite. E finché queste verranno raccontate la verità continuerà a sopravvivere, benché in condizione di latitanza, di illegalità, in netta minoranza. Ieri sera Marino Severini, cantante dei Gang, ha detto praticamente la stessa cosa spiegando il perché sia necessario raccontare storie del passato, soprattutto quello della resistenza partigiana. Le nostre radici risiedono nella memoria, non nella storia. 

Due insegnanti di diversa provenienza (il creatore di X-Files è statunitense, Marino è italiano) e di diversa professione per uno stesso concetto, applicato in modo differente, la cui forma differisce anche nell'ambito che va a trattare: X-Files è fantasia, la Resistenza è realtà. 

Ho già detto in articoli passati che l'arte è allegoria della realtà, ed è molto più efficace quando viene presentata di soppiatto perché leggere tra le righe o interpretare è molto più efficace che il prendere così com'è una determinata scena, un brano tratto da un disco o da un libro, senza suscitare particolari ragionamenti interiori. Certo, bisogna essere in grado di ragionarci su, e qui si torna alla questione dell'intelligenza, ma dato che io presumo di esserlo e presumo che chi mi legge lo sia, do certi presupposti come certi. 

Finora avrò visto una quarantina di episodi di X-Files, e teoricamente ci sarebbe da scrivere un post almeno per la metà di questi. Alcuni sono fantasiosi, fanno riferimento a leggende americane o cristiane, e offrono pochi elementi sottoponibili ad analisi, ma altri sono una miniera di riflessioni. Ad esempio c'è una puntata in cui un uomo aveva la passione per le unghie ed i capelli delle donne morte: lavorava per un'agenzia di pompe funebri e depredava i cadaveri, ma poi, una volta licenziato, ha dovuto trovare un'altra strada per ampliare la propria collezione di trofei: uccidere. Ora, senza andare a prendere in considerazione casi limite come quelli dei serial killer (che comunque spesso si appropriano di qualcosa che apparteneva alla vittima), voglio prendere in analisi alcuni casi che mi è capitato di incontrare lungo la strada. Persone che si svenano per avere una moneta od un francobollo, decine e decine di euro per acquistare il primo numero in edizione originale di Dylan Dog (altro che decine, si parla di centinaia di euro), dischi acquistati e mai ascoltati, e se nuovi nemmeno liberati dal cellofan. Un accumulo continuo di oggetti o denaro (perché c'è anche chi guadagna e non spende, e non in ottica di risparmio ma in ottica di accumulo), il tutto volto a soddisfare il proprio bisogno di possedere, di avere. C'è addirittura chi fa diventare una collezione le persone con cui è andata a letto. Cinque, dieci, venti, cento. Ma ne basta anche una, sotto un certo punto di vista... Mi chiedo però se si ricorda il nome, le generalità, l'aspetto, l'odore di queste donne o uomini con le quali ha avuto un amplesso, se ne ha mai assaporato l'essenza, se mai si è posta il problema di quali emozioni queste persone possano aver provato. 

Che siano monete, dischi, libri rari, fumetti, persone, il principio è lo stesso. Il possedere è alla base della loro natura, e questa natura è influenzata da freudiani impulsi sessuali mai totalmente espressi, e quindi almeno in parte repressi. Il capitalismo ha di certo facilitato questo meccanismo, promuovendolo e mettendolo a disposizione di qualsiasi tipo di tasche: c'è chi colleziona macchine, chi case, chi tappi di bottiglia, chi cartoline. Il paradosso però è che viene snaturato il prodotto del capitalismo: il capitalismo dovrebbe fornire beni di consumo, non beni da accumulare, e questa disfunzione all'interno del sistema è alquanto curiosa. Resta comunque il fatto che il capitalismo è sempre un passo avanti e sa bene come creare nuove cose da collezionare, anche perché sa che di malati ce ne sono parecchi, per di più inconsapevoli di essere affetti da questo germe.

Non nego il fatto che anche io colleziono fumetti e dischi, ma lo scopo è un altro. Saranno pur tutti in ordine i miei fumetti di Dylan Dog, ma tutti sono stati letti almeno una volta, e che siano prima, seconda o terza edizione mi interessa ben poco. I miei cd anche sono in ordine alfabetico per artista e cronologico per anno di pubblicazione, ma giusto per poterli trovare più in fretta ed ascoltare, vivere, rigare, consumare, strappare. A volte penso alla mia prima auto, alle decine di migliaia di chilometri che con lei ho fatto, le città che insieme abbiamo raggiunto e visitato, le persone che sono salite in macchina e che con me hanno cantato a squarciagola le canzoni dei miei cd, con le quali sono andato ai concerti, suonati o ascoltati... Mille storie ad essa legate, mille ricordi, mille cose da ricondurre a quella Grande Punto, anche una sua sorellina, o meglio una sua Evoluzione, che in terra veneta ho guidato come se fosse mia. Tutti quindi possono possedere, ma vivere un qualcosa, stabilire un legame, un rapporto con gli oggetti, una reciprocità, è un altro discorso, e non ha assolutamente a che fare con il collezionismo, con l'accumulo, con il piacere dato esclusivamente dall'avere una cosa. 

Il guardare ma non toccare, nel collezionismo, diventa l'avere ma non usare, e facilmente si trasforma in un non avere: un non aver vissuto, un non aver partecipato, un non aver condiviso. 

Il verbo avere è meraviglioso, perché oltre ad essere sinonimo di possesso è, soprattutto, il participio passato di azioni compiute. Ho vissuto, ho visto, ho amato, ho letto, ho ascoltato, ho emozionato. Queste, però, sono cose dettate dal vivere e dall'essere, non dall'essere in base all'avere... 

Tutto questo ve lo dice un collezionista... ma di esperienze, che nessuno potrà togliermi, ma che chiunque potrà "toccare".

Non so perché, ma questa canzone di De André spesso la riconduco alla condizione che può vivere un irrefrenabile collezionista. Forse sta tutto in un verso: "e ogni giorno un altro giorno da contare"... se si riconduce tutto alla quantità, il tutto diventa un nulla.




Stefano Tortelli