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martedì 14 luglio 2015

C'era una volta l'Internazionale



Torno a scrivere dopo quaranta giorni circa, una Quaresima dettata da un intervento chirurgico, e delle placche alla gola, ma anche dal caldo opprimente che nelle settimane passate ha contribuito non poco a rendere arido il fiume delle idee. Più volte ho provato a scrivere qualcosa, gli spunti non sono mai mancati, ma ho sempre trovato qualche difficoltà a dar loro forma, ad aumentarne la sostanza, a dar loro un'ordine. Già di loro, solitamente, sono anarchiche... figuriamoci nelle settimane appena trascorse.

Ma ora sono tornato, ed in un certo senso aspettavo questa giornata per riprendere in mano i "fogli" di questo blog, le pagine bianche ancora da scrivere e questa penna che in sé contiene tutti i caratteri dell'alfabeto. Perché oggi è l'anniversario della Rivoluzione Francese, di quel secondo atto di ribellione agli antichi poteri che ormai da secoli guidavano l'andamento dell'Europa e non solo. Dico secondo perché prima dei moti dei fautori della I Repubblica francese vi furono le lotte d'indipendenza dei coloni nordamericani contro la Corona inglese, sfociati in una guerra che portò successivamente alla stesura della prima Costituzione ed alla formazione degli Stati Uniti d'America. Erano partiti bene gli States, ma poi si son persi strada facendo... il loro però fu un esempio per i rivoluzionari d'Oltralpe, i quali costrinsero alla fuga il re, delegittimarono i nobili ed il clero, si costituirono in Repubblica, diedero un'identità di cittadino francese ad ogni individuo che partecipasse attivamente alla vita della neonata repubblica ed ispirarono, nei decenni successivi, rivoluzioni simili in altre aree del Vecchio Continente. E sarebbe stato bello fare un articolo dedicato alla Rivoluzione Francese, tema che mi è sempre stato a cuore sin dalla quinta elementare, quando portai l'argomento all'esame (un po' come fece Max Collini degli Offlaga Disco Pax, solo che lo fece qualche anno prima, ed in terza elementare), ma alla luce dei recenti avvenimenti è soltanto uno spunto per parlare dell'attualità, di ciò che sta succedendo non oltre i nostri monti ma oltre il mare che ci bagna sulla costa orientale. Perché se non c'è nulla di nuovo sul fronte occidentale, su quello orientale c'è una polveriera che sta per esplodere... e la colpa è di tutti noi, di tutta l'Europa, sia, ovviamente, delle destre capitaliste, sia, e nemmeno troppo a sorpresa, delle sinistre più radicali.

C'era una volta l'Internazionale. Siamo nel 1864, i moti rivoluzionari del 1848, sebbene con alterne fortune, avevano fortemente modificato l'opinione pubblica, o, ancor meglio, l'avevano creata, soprattutto nelle fasce medio basse della popolazione, le quali necessitavano di organismi che dessero voce alle loro istanze per poi mettere nella condizione i poteri forti di accorgersi del fatto che le acciaierie non funzionavano da sole, nemmeno le miniere, e nemmeno i raccolti erano spontanei. Spesso furono alcuni borghesi illuminati a farsi portavoce degli ammutoliti operai e contadini, e così poterono pian piano nascere i primi sindacati riconosciuti, i primi partiti realmente democratici, dove il concetto di democrazia non era "potere al popolo" inteso come "il popolo elegge e poi chi viene eletto fa gli affari propri" ma "potere al popolo" inteso come "il potere viene dato in mano alla massa, alla realtà più rappresentata". E la realtà più rappresentata non poteva che essere quella dei cittadini operai e dei contadini di campagna. Nacque così la classe operaia, nacque così il proletariato. O meglio, nacquero la presa di coscienza di essere parte di un'entità grandissima, potenzialmente imbattibile. Sempre nel 1848 Karl Marx e Friedrich Engels pubblicarono "Il manifesto del Partito Comunista", vero e proprio programma di partito di quella che fu la prima realtà politica comunista, la Lega dei comunisti. Dopo sedici anni, tornando così al punto iniziale della nostra storia, nacque quella che noi conosciamo come Prima Internazionale, ovvero l'Associazione internazionale dei lavoratori. In essa confluivano tutte le realtà politiche che si erano rese conto di come, per poter reggere un'economia già allora traballante (nel 1857 ci fu la prima crisi del sistema capitalistico), era necessario garantire una buona condizione di vita alla stragrande maggioranza della popolazione: perché vedete, se non fossimo così asfissiati da terminologie tecniche e da prese di posizione dovute a pregiudizi, e si volesse in modo molto semplicistico spiegare le varie correnti politiche, quella migliore per definire le sinistre è quella pocanzi descritta...

L'Internazionale aveva lo scopo di mettere a confronto le varie esperienze locali dei vari Stati, aveva la missione di dare un'organizzazione sovranazionale alle lotte politiche, ed al centro di ogni discussione vi era il popolo, e non l'equilibrio politico, non la questione morale, non esisteva una bilancia sulla quale pesare i pro ed i contro. La Prima Internazionale racchiudeva in sé non solo partiti chiaramente comunisti, ma anche laburisti, social democratici, anarchici, e sebbene spesso non andassero d'accordo avevano comunque il modo di parlarsi, di spiegarsi, talvolta di mandarsi a quel paese, ma per lo meno esisteva un confronto, quasi sempre produttivo. L'esperimento della Prima Internazionale si concluse nel 1872. Nel 1896 vi fu la Seconda Internazionale, che divenne sempre più potente, raccoglieva sempre più consensi, tant'è che per stroncarla, vent'anni dopo, si diede vita alla Prima Guerra Mondiale... ma non ditelo in giro, queste cose non si devono sapere... 

Nel primo dopoguerra vi fu la prima grande scissione, ovvero quella tra l'Internazionale, che divenne Internazionale Socialista, ed il Comintern, che raggruppava tutte le potenze comuniste del mondo. Ma il senso era sempre quello: confrontarsi, parlarsi, aiutarsi, imparare. Famosi sono i viaggi di Togliatti in terra sovietica, molto lui imparò dagli eroi della Rivoluzione d'Ottobre e molto i russi impararono da lui, tanto da dedicargli una città: c'era Stalingrado, c'era Leningrado, c'era (e c'è) Togliattigrado. Ed anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, quella guerra che vide l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche disintegrare il nazismo e dare una seria lezione all'Occidente capitalista, Comintern e Internazionale socialista continuarono ad operare, risultando sempre un ottimo laboratorio di idee, un ottimo utero dal quale poi partorire tanti figlie quante le lotte da combattere per conquistare i diritti nei vari Stati...

Sembra preistoria, ma alla fine stiamo parlando di cinquant'anni fa... ed ora cosa c'è? Ora c'è un povero socialista in Grecia che, solo contro tutti, abbandonato da qualsiasi possibile alleato di ogni Stato europeo, abbandonato anche dai comunisti della nazione ellenica, viene bersagliato da destra e sinistra per il fatto che ha accettato un patto che lo mette con le spalle al muro, in ginocchio la Grecia, ma in un certo senso salva il culo a tutti quei partiti delle altre nazioni che possono ancora vendere fumo negli occhi ai propri elettori dicendo che comunque dalla crisi si potrà uscire... perché se la Grecia fosse caduta, se Tsipras non avesse accettato, l'effetto domino sarebbe iniziato: Grecia, poi Italia, poi Spagna, poi Irlanda, poi Portogallo. I primi a cadere, proprio perché sacrificabili. E poi la Francia, poi le piccole nazioni... Perché il capitalismo è così, più mangia e più vorrebbe mangiare, e di certo non si ferma per pietà o perché sazio. 

Si sarebbe potuto evitare tutto questo? Certo, si sarebbe potuto evitare, ed in un modo anche molto semplice. Se è pur vero che il motto dividi et impera è estremamente valido, è anche vero che dividere qualcosa di fortemente coeso è molto difficile, se non impossibile. Se le potenze di sinistra d'Europa avessero appoggiato Syriza non solo a parole ma anche a fatti avrebbero potuto far sentire la loro voce nel contesto nazionale, e poi a Bruxelles ed a Strasburgo. Ovviamente sorge spontaneo il discorso relativo all'assenza di un partito di sinistra in Italia, ad esempio. Già, è vero, qui di Democratico c'è solo il nome, ma tutte le realtà extraparlamentari che finora hanno fatto a gara a chi aveva il martello più lungo o la falce più larga, se si fossero messe d'accordo avrebbero potuto dire: "Bene, ad alcuni di noi Syriza piace, ad altri no. Ma ora questo è l'esempio più a sinistra, o vista in un altro modo meno a destra, nella politica europea attuale. Proviamo a dar loro una mano, facciamo in modo che abbia successo, perché così il popolo greco ci guadagna ed intanto la nostra realtà comincia a riprendere una forma... e chissà che un giorno possa avere successo anche qui, in Italia, quel Paese che non meno di quarant'anni fa aveva il partito comunista più forte dell'Europa occidentale".

L'han fatto!? L'ha fatto qualcuno in altri Stati europei? No...

Qui giocano tutti con la nostra pelle, da Grillo a Salvini a Renzi a Rizzo e via dicendo... Questi stanno ore a parlare nei loro palazzi, durante i loro comizi, firmano accordi, li rispettano, li annullano, li aggirano... ma a loro poco cambia, se non l'acquisizione o la perdita di prestigio... e noi li guardiamo in tv, mentre proviamo a mettere insieme il pranzo con la cena, cercando di capire quale sarà il nostro boia...

E pensare che basterebbe un minimo di organizzazione... ci riuscivano Marx ed i suoi compagni di tutta Europa quando c'era solo il telegrafo ed i treni non superavano le 50 miglia orarie, per quale motivo non ci dovremmo riuscire noi!? 

Sarà che, tutto sommato, sentiamo ancora poco i morsi della fame... 




Stefano Tortelli

martedì 24 febbraio 2015

I collezionisti di occasioni perse - L'inutile contestazione a Tsipras






Non mi considero un inguaribile ottimista. Tutt'al più sono un sognatore, uno che ci spera fino all'ultimo, uno che se può fare qualcosa lo fa, e se non può farlo fa in modo di poterlo fare. Ed inoltre mi è stato insegnato che è importante ammirare chi intraprende un cammino, chi tenta di migliorare lo stato attuale delle cose, chi ci mette ogni energia per far sì che qualcosa di nuovo si realizzi. La Grecia non diventerà la nuova Cuba, non nel giro di tre mesi, non nel giro di un anno. 

In Italia i pseudo-compagni vanno farneticando, tacciando di indole borghese Syriza, considerandola un prodotto del capitalismo, pretendendo di sentire riecheggiare l'Internazionale dagli altoparlanti di ogni dispositivo audio-trasmittente della penisola ellenica. Cavoli, bastasse essere di sinistra e vincere un'elezione per realizzare tutto questo datemi un partito che andiamo a conquistare la rossa primavera. Stiamo rasentando l'assurdo, siamo già nel ridicolo. Ed oltre tutto non ci assumiamo le nostre colpe, che sono enormi, e che in gran parte risiedono in quel gruppo dirigenziale fantoccio che è venuto a crearsi nei vari partiti che si AUTOdefiniscono comunisti. Già definirsi comunisti è una bella pretesa: non è mica come dire "Ciao, io sono Stefano e sono italiano"; comunista è un'etichetta che dovrebbe venirci data, e che sia un nemico od un amico ad affibbiarcela poco importa, l'importante è aver fatto qualcosa che agli occhi altrui ci rende tali. Una volta successo allora sì che ci si può definire comunisti o socialisti. Per me il partito di Tsipras è una buona via per raggiungere il comunismo in un mondo totalmente capitalista. Perché la Russia non è più anti-capitalista da cinquant'anni, semplicemente ha adattato il capitalismo all'ideale comunista, e la stessa cosa vale per la Cina. per cui di modelli a cui ispirarsi e che siano attuali non ce ne sono. Bisogna procedere per tentoni, per tappe, per compromessi. Vogliamo distruggere il capitalismo? Non possiamo: o facciamo una rivoluzione armata o non possiamo. Non ci sono riusciti i cubani ed i sovietici senza un tributo di sangue e con la gente che stava morendo di fame, vogliamo credere di poterlo fare noi senza imbracciare le armi in una realtà dove, comunque, le pance sono piene? Il capitalismo non va distrutto, va superato. Del resto Il capitale di Marx non parla di distruzione del capitalismo, parla del suo superamento, del suo annientamento in quanto desueto, in quanto fallito, in quanto incapace di auto-alimentarsi. Ma occhio, il marxismo ora come ora è inapplicabile: i proletari non esistono più, o meglio, i proletari di oggi sono i borghesi di ieri. Chi fa figli se non i ricchi!? E proletario non significa "colui che ha prole"? Quindi basta parlare di proletariato. E la classe operaia? Dov'è la classe operaia? Chi è ancora che lavora in fabbrica, e soprattutto quanti ancora, di quelli che lavorano in fabbrica, votano in modo differente dai propri padroni? Se dove lavorava fino a un paio di anni fa mio padre la maggior parte dei suoi colleghi votavano l'asse Lega-PDL qualcosa non funziona, o sbaglio? 

Studiando per un esame mi è capitata sott'occhio una ricerca condotta negli anni '50 in Inghilterra presso alcune fabbriche di uno dei più importanti centri siderurgici della Gran Bretagna, la quale metteva in luce come, una volta conquistati certi diritti, migliori condizioni di vita e determinate sicurezze, l'operaio cambiava la sua linea politica, allineandosi a quella del datore di lavoro. Ne è la prova il fatto che, se dopo la seconda guerra mondiale a vincere le elezioni furono i laburisti, nel giro di pochi anni, nonostante avessero rispettato il loro programma elettorale, al potere tornarono i conservatori. In Italia questo processo è stato fortunatamente più lento, ma forse è solo perché in Italia certe conquiste sono state più difficoltose, hanno richiesto più tempo, e per cui l'esigenza di un partito comunista si è sentita per trent'anni anziché per soli dieci. Questa è una delle tante mancanze storiche, una delle tante ignoranze dei "comunisti" di oggi. La fondazione del PCI non è stata concepita in una notte, la Rivoluzione russa non è avvenuta dall'oggi al domani, come non è stata una questione da poco il processo che ha portato al trionfo di Fidel Castro e di Che Guevara a Cuba. Questi signori invece vogliono tutto e subito, mostrando così quanto su di loro ha attecchito il lato più profondo del capitalismo. L'assurdo poi è che blaterano di voler rifondare il PCI quando loro sono stati tra i principali assassini del nostro partito comunista, e sebbene in modo subdolo ne rivendicano l'uccisione: insultando Berlinguer, massacrandone il ricordo, spargendo immondizia sulla tomba del più grande statista italiano. Ma stiamo scherzando!? 

Enrico, perdonali tu, perché io non ci riesco. A guidare il pensiero comunista dovrebbe esserci una persona come te, uno che anziché snocciolare soltanto numeri e teorie sapeva anche parlava alla gente, arrivare al cuore delle persone, farsi voler bene. E soprattutto tu non ti rifugiavi nelle tue stanze, non ti mostravi avulso dalla realtà del tuo tempo, ma soprattutto estraneo alla gente. Majakovskj sosteneva che per essere un buon politico bisognava essere in grado di calarsi nella realtà, nella contemporaneità, conoscendone così le problematiche e potendo così escogitare soluzioni applicabili alla natura del contesto. Berlinguer è stato capace di farlo, e l'ha fatto due volte, prima portando avanti le istanze di quella che non era la sua classe d'origine, e poi modificando gli obiettivi del partito in base ai mutamenti della società. Ora invece i nostri politici pensano di essere ancora nel 1800, o tutt'al più ai tempi della Rivoluzione d'Ottobre. 

Mentre stavo andando ad insegnare stavo pensando a tutto questo ed a come la filosofia si sia evoluta in tremila anni. Da Anassimene a Marx il passo è breve, ed ha una sua logica, mostra un'evoluzione che se non è paragonabile a quella di un entità biologica poco ci manca. Il problema sono questi ultimi 200 anni e quest'assenza di una nuova filosofia, o meglio di esponenti a cui si da credito, per affrontare gli attuali problemi e sostenere con la teoria una pratica socialista realizzabile ora. Ci son stati Gramsci, Lorenz, Fromm, ma tutto sommato non se li caga nessuno... chissà perché... forse sono considerati impuri.

Spiace, ma io negli attuali comunisti puristi ci vedo dei reazionari, che non si rendono conto di vedere come Tsipras possa essere il preludio per un nuovo socialismo (caso strano Tsipras ha messo in moto quel che più si può considerare erede dell'Internazionale Socialista, ovvero la sua Altra Europa), perdendo così, di fatto, l'ennesima occasione di scendere dai loro piedistalli. Siete statue di sale, siete castelli di sabbia... e non per niente non entrerete mai in parlamento. Sale e sabbia sono inorganici, di conseguenza incapaci di provare e far provare emozioni. La politica di sinistra dovrebbe essere la politica delle emozioni, non la politica dei numeri. I numeri, almeno quelli, lasciateli al capitalismo. 

Non avrei mai dovuto scrivere queste righe, soprattutto alla luce del fatto che spesso mi trovo a dover difendere le mie posizioni politica, considerate spesso anacronistiche. Non sono le mie posizioni ad essere anacronistiche, sono gli esponenti principali che son rimasti nel Medioevo del pensiero comunista. Il comunismo può farcela, è molto malato, ma lo possiamo salvare. Forse dovremo dialogare con i nostri nemici, forse dovremo scendere a compromessi, ma intanto guadagneremo terreno, intanto porteremo sempre più avanti la linea di confine, sposteremo più ad "est" le nostre trincee e le nostre barricate. Berlinguer ha avuto successo perché innanzitutto sapeva dialogare, e soprattutto perché si metteva in gioco, faceva qualcosa. Ha sbagliato a volte, ma solo chi non fa non sbaglia mai. 

Non voglio pensare che la sua morte sia la morte dei miei ideali, altrimenti io qui che ci sto a fare!? Ai suoi funerali c'erano tre milioni di persone... stiamo parlando di poco più di trent'anni fa. Era un uomo, era mortale, come lo siamo noi. Vogliamo ricordarlo davvero!? Allora viviamo come lui, agiamo come lui. E lasciamo agli altri il lusso di poter sputare su di noi e sulle tombe dei nostri padri, non hanno bisogno del nostro aiuto.

Scusa Enrico se ti ho coinvolto così tanto, probabilmente sei schifato più di me al momento, ma voglio pensare che anche tu stia sperando nel vedere un giovane compagno provarci sull'altra sponda dell'Adriatico.




Stefano Tortelli