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domenica 1 marzo 2015

Non è patriota il nazionalista.






Ovunque ci si giri, qui in Italia, il messaggio che principalmente si riceve è: “Se vuoi sopravvivere, se vuoi realizzarti, vai via di qui, vai all’estero”. Curioso come questo sia, probabilmente, il messaggio che muove migliaia di persone verso le nostre coste. La differenza tra “noi” e “loro” è che “noi” alla peggio veniamo insultati e, non riuscendo ad affermarci oltre i confini, torniamo a casa, ritrovando la famiglia, ritrovando ciò che avevamo lasciato pressoché immutato. “Loro” invece, se sopravvivono alla traversata, devono conoscere i CIE, devono scappare dalla polizia, devono vivere come irregolari, o meglio sopravvivere come irregolari. E vengono sfruttati, e vengono derisi, e diventano criminali, tanto quanto un assassino o uno stupratore, per il solo fatto di aver poggiato i piedi sul territorio italiano. E, paradossalmente, loro a casa non possono tornare nemmeno se lo desiderano, e tra l’altro, spesso, l’Italia non è la loro destinazione: è uno scalo, come può esserlo un aeroporto di un’altra Nazione per noi. Nessuno ci proibisce di imbarcarci su un altro aereo e raggiungere la meta desiderata; a loro invece è proibito raggiungere il loro fine, ed è pure negato il diritto di stare nell’”aeroporto”. Tutto questo è regolato da leggi ben studiate nei Paesi confinanti con l’Italia e da una politica puramente emergenziale nostrana, mossa dal desiderio di autoconservazione anziché da vere logiche politico-sociali ed economiche.

Il tutto è stato facilitato in maniera mostruosa dalla vanificazione del confine tra il concetto di patriottismo e quello di nazionalismo, estremizzando così le posizioni, relegando ad una sola corrente di pensiero l’orgoglio di essere parte di un popolo, di esser fieri delle proprie tradizioni, di preservare e promuovere la propria cultura. Sono tanti i paradossi che come parassiti si sono diffusi nella società contemporanea, tant’è che ci si trova movimenti nazionalisti che si fanno promotori dell’identità italiana quando ben poco conoscono la nostra storia, quando l’ignoranza la fa da padrona ad ogni livello della loro composizione, che siano i grandi capi o che siano gli elettori.

Il messaggio che passa però è questo, ed una certa sinistra non fa nulla per contrastare la cosa. Che poi… trovo difficile definire di sinistra un pensiero populista fatto di lamentele, di disfattismo, di autocommiserazione, come se veramente non esistesse più il concetto di umanità, come se non esistesse più la solidarietà che ne è figlia, come se, piuttosto che rimboccarsi le maniche per raddrizzare l’Italia sia più facile dire: “Ma sai che c’è? Me ne vado all’Estero”. E pensare che il patriottismo che muove le masse e che spesso sfocia in situazioni di guerriglia viene appoggiato totalmente, se fuori dal nostro contesto, se oltre i nostri confini. Pieno appoggio all’IRA, all’ETA, ai Palestinesi, si guarda con romanticismo all’identità occitana che vuol essere riconosciuta, al grande popolo sardo (se vogliamo fare un esempio nostrano ma comunque isolato perché isolano), ma per quanto riguarda l’identità italiana, in quanto popolo unito, tutto tace. Probabilmente il problema risale alla difficoltà storica di riunire sotto lo stesso vessillo, cioè il tricolore, tutti quelli che dal 1861 erano definiti cittadini italiani. “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, disse Massimo D’Azeglio, e probabilmente, nonostante centocinquantaquattro anni di storia, il popolo italiano ancora fatica a riconoscersi negli stessi valori, rifugiandosi invece nelle identità regionali, tutt’al più in quelle areali (settentrione/meridione/area Tosco-Umbro-Laziale). L’identità italiana, tolto il periodo fascista, in cui il tutto ruotava attorno ad un sentimento nazionalista che elevava sopra ogni altra nazionalità quella italiana, si è manifestata soltanto durante la Resistenza ed i primi anni del dopoguerra, quando la ricostruzione delle città bombardate, dal nord al sud, aveva unito l’intero Paese nel conseguimento dello stesso scopo: la rinascita.

Siamo rinati tutti insieme, Milano come Catania e come tutte le città italiane colpite dalle bombe durante il secondo conflitto mondiale sono state liberate nuovamente, stavolta dalle macerie, ed ad ogni latitudine dello stivale gli italiani hanno riportato allo splendore l’Italia. Un nuovo risorgimento, questa volta tricolore ovunque. Una volta però raggiunto un minimo di benessere ecco che di nuovo il patriottismo e l’orgoglio di far parte di una Nazione è andato a perdersi, e non sono stati sufficienti i mezzi di comunicazione di massa ad unire il Paese. Certo, parliamo, chi meglio chi peggio, tutti la stessa lingua, ma come un’arma a doppio taglio le televisioni e le radio sono state usate per acuire ulteriormente le differenze. “Noi” e “loro”, prima che sottintendesse “italiani” e “immigrati”, erano sinonimi polivalenti per definire i meridionali ed i settentrionali, con accezioni negative per i “loro” di turno. C’erano (e tutto sommato ci sono ancora) italiani di serie A e di serie B, ed il capovolgimento delle gerarchie si verificava spostandosi principalmente latitudinalmente, e talvolta longitudinalmente, all’interno dello Stivale.

Ci è stato fatto passare il messaggio che per il bene dell’Italia intera una parte o l’altra della Nazione doveva compiere dei sacrifici: prima il sud doveva emigrare al nord per far sì che il nord compiesse il miracolo economico che poi avrebbe pervaso tutta l’Italia, poi il nord doveva finanziare il sud per far sì che potesse colmare il gap con le regioni settentrionali. Tutte balle. Hanno voluto dividere gli italiani secondo il detto di cesarea memoria “Dividi et impera”, e l’han fatto sfruttando il più facile elemento a loro disposizione: la distanza geografica e culturale tra “ciò” che sta sopra il Tevere e “ciò” che sta sotto. In questo sì che ci sono riusciti, allontanando di molto il raggiungimento di un sentimento patriottico, ovvero il piacere e l’orgoglio di essere italiani, e fomentando invece i regionalismi ed i campanilismi. Ora a nord abbiamo la Lega che da ormai vent’anni vive di questi meccanismi, ampliati alla difesa dei valori cristiani ed occidentali, al sud non si è mai sopito il desiderio di tornare all’epoca pre-Risorgimento, al dominio dei Borboni, e pur di sottostare allo Stato italiano si sopporta l’ingerenza delle mafie e della criminalità organizzata.

Io sono sempre stato abituato a guardare l’Italia come un blocco monolitico, come ad un’entità unica con una propria identità, con dei propri valori, con delle radici ben definite. Con una cultura immensa, impareggiabile da ogni altro Stato mondiale, con una storia millenaria e continua. Ovunque voi andiate in giro per l’Italia, che si parli di Verga, di Leonardo, di Gramsci, di Marco Polo, la prima cosa che sentirete sarà: era uno scrittore, un inventore, un politico, un commerciante ITALIANO. Perché della nostra storia e della nostra cultura siamo tutti orgogliosi, della grandezza e dell’importanza che da ormai tremila anni l’Italia ha nel mondo anche, e ce ne freghiamo della regione dalla quale proveniva questo o quel grande genio che tutto il mondo ci invidia. Lui era figlio dell’Italia come tutti noi.

Questo è essere patrioti, questo è essere italiani. E nel presente, nel presente essere italiani significa restare qui a lottare, a diffondere idee giuste, ad essere solidali nei confronti dei nostri connazionali che soffrono e di chi, una volta giunto qui, soffre come noi, perché come noi calca la stessa terra, abita le stesse città, osserva lo stesso cielo. La differenza sta qui: il nazionalismo punta a chiudersi ed ad arroccarsi, proprio come la Lega al nord o i nostalgici dei Borboni al sud, vomitando su tutto ciò che è diverso e lontano e che si offre a noi. Il patriota è colui che difende la propria terra, ma difendendo la propria terra difende anche chi ci si trova a viverci, a prescindere dal colore della pelle, della lingua che parla, della nazione di provenienza.
Cerchiamo di essere credibili, per una volta. Se volete la parità di diritti per tutti, prima di tutto riconoscete il vostro status di essere italiani. Altrimenti che coerenza c’è tra il vomitare sulla nostra carta d’identità, sulla nostra bandiera, e voler far sì che lo ius sanguinis cessi di esistere per lasciar spazio al più giusto ius soli!? A livello puramente logico, volete male agli stranieri più dei leghisti e dei fascisti…


Io amo l’Italia, e proprio perché la amo voglio contribuire a cambiarla, a migliorarla. Proprio perché la amo, voglio restare. E proprio perché la amo voglio che vengano lasciate aperte le porte a chiunque desideri partecipare al suo miglioramento. Scappando, invece, non si risolve nulla.

E quindi, prima di urlare con superficialità dettata dalla distanza "Viva l'Irlanda libera", "Viva i Paesi Baschi", "Viva la Palestina", impariamo a dire "Viva l'Italia". E non soltanto quando trionfa negli sport.... E' l'unico modo per legittimare ogni altra istanza che si vuol portare avanti oltre le Alpi ed oltre il Mediterraneo.





Stefano Tortelli

domenica 22 febbraio 2015

Anche i manganelli hanno i propri gusti





Dev'esserci una certa predilezione per alcuni tipi di sangue, di pelli e di idee da reprimere da parte dei manganelli italiani, oppure a volte si trovano ad aver la pancia piena, viste le scorpacciate fatte nei mesi precedenti, che fa sì che se ne stiano buoni buoni attaccati alla cintura dei poliziotti anziché roteare prima di colpire chi, in quel momento, è considerato meritevole di un bel pestaggio istituzionale.

In questi ultimi giorni tanto si è scritto e detto riguardo ai tifosi del Feyenoord ed a ciò che hanno fatto in Piazza di Spagna, a come l'han fatto, a come sono stati lasciati liberi di agire. alla mancata adozione di misure di precauzione efficaci, come se fosse la prima volta che succedono episodi del genere, come se non esistesse una ricca cronistoria di vandalismo ed illegalità attorno al mondo delle tifoserie, e specialmente in ambito capitolino. I manganelli riposano in questi casi, o nella migliore delle ipotesi arrivano tardi, quando già c'è scappato un morto, quando già è stato rovinato un monumento, quando già l'atteggiamento criminale si è manifestato. Per non parlare delle misure di sicurezza che vengono adottate negli stadi, dove assolutamente lo spettatore qualunque non può portare dentro un accendino o una bottiglia, ma il tifoso organizzato può tranquillamente far entrare un arsenale di spranghe, coltelli, fumogeni e bombe carta. Tra l'altro li conoscono tutti, si conosce bene l'identità, la storia politica, la fedina penale di ogni ultrà, ma mai che si prendano una manganellata quando se la meritano. 

Probabilmente il sapore del sangue dei tifosi non è apprezzato dal fine palato dei manganelli, che a quanto pare prediligono quello di giovani studenti, operai, sindacalisti, stranieri, ragazzi. Oppure semplicemente non apprezzano il sangue che gli ricorda quello dei propri possessori, soprattutto se celerini o dei reparti speciali, dove sotto il caschetto, ovviamente senza numero di identificazione, potrebbe celare il viso di un fascista, ma in uniforme. Cane non mangia cane, fascista non mangia fascista, distruttore non mangia distruttore. E fidatevi, se ciò che è successo a Roma fosse avvenuto per mano di tifosi italiani, magari juventini, napoletani o milanisti, i discorsi si sarebbero già esauriti; se ne parla ancora solo perché i tifosi sono stranieri, ed in quanto cittadini di un altro Paese è venuta a crearsi una tensione in sede di politica estera. Ne è la dimostrazione la morte del poliziotto Giuseppe Raciti durante gli scontri di Catania-Palermo nel 2007, fatta passare come un caso di cronaca come un altro perché alla fin fine era una questione totalmente italiana, anzi, totalmente siciliana, e quindi erano sufficienti due parole di commiato, le solite accuse nei confronti del mondo del pallone e delle tifoserie, i soliti mea culpa da parte delle istituzioni e poi il silenzio dopo il funerale in diretta tv. 

Ma gli ultras non devono preoccuparsi. Ai manganelli, come già detto, il loro sangue non piace, probabilmente perché privo di ogni ideale, di ogni inventiva, di ogni spirito di uguaglianza e libertà. E' insipido, evidentemente. E quindi non assisteremo ad un impegno da parte della politica di far sì che queste cose, finalmente, non possano più succedere arginandole, reprimendole, debellandole. I manganelli vanno tenuti affamati per chi in piazza ci scende per qualcosa di più importante di una partita di calcio. I manganelli devono essere usati per aprire le teste degli studenti nelle piazze e nelle scuole, per violentare ragazze inermi, per massacrare in una prigione un ragazzo colpevole di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, per far conoscere l'Italian style a chi arriva sulle coste italiane dopo aver sofferto l'inimmaginabile prima nel Paese natio e poi per mare, facendo svanire nel sangue l'illusione che qui non avrebbero più sofferto. I manganelli vengono "cacciati in gola" a chi ha ancora la forza di urlare che così non funziona, che a forza di toglierci i diritti ci stanno togliendo ogni libertà, che le uniche differenze di cui si deve tener conto sono quelle di trattamento di fronte alla legge e non quelle espresse dal colore della pelle, dall'orientamento sessuale, dalla posizione occupata nella società. 

Posso comprendere i gusti dei manganelli, del resto io mi circondo di persone che preferiscono costruire anziché distruggere... ma chi crea è sempre un pericolo, soprattutto se crea qualcosa fuori dagli schemi. Ed ecco perché è proprio su di noi che il manganello apre le fauci. Anche perché, alla fin fine, i buoni, da sempre, siamo noi. 

Nonostante tutto ciò, come dissi nove anni fa alla nipote del compianto Vittorio Foa, dei corpi di Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza bisogna continuare a fidarsi, perché parto dal presupposto che non è l'esecutore materiale ma chi lo comanda e lo seleziona ad essere il problema, perché se ancora siamo in democrazia parte del merito è loro, perché se possiamo ancora camminare per strada pensando ai fatti nostri è anche grazie a loro. Il problema non sono le autorità in sé, il problema sono i magheggi nei palazzi del potere, sono le direttive che portano alla repressione a priori di una manifestazione regolare ed alle mancanze ingiustificabili ed ingiustificate in altre situazioni (a partire dalle manifestazioni di stampo neo-fascista, come se l'apologia di fascismo non fosse reato), sono le infiltrazioni nei cortei. E non mi sto inventando nulla, di prove ce ne sono a milioni, ma si fa finta di non sapere, di non vedere, di non pensare. E' meglio per tutti, ed almeno i telegiornali hanno qualcosa di cui parlare, e l'opinione pubblica qualcosa di cui indignarsi...

Possiamo comunque tutto sommato ritenerci fortunati... in altri posti del mondo, specialmente laddove si presume di essere i padri dei valori democratici, ai manganelli si sostituiscono i proiettili, che colpiscono anche solo per il fatto che la pelle che ricopre il corpo è di un colore diverso. Quarantuno colpi contro una pelle non propriamente americana. Una storia come tante, messa in musica dal Boss.



Stefano Tortelli