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mercoledì 22 aprile 2015

La memoria distorta, la memoria annegata ed il qualunquismo dilagante






Da quando è aperto il blog raramente mi sono messo a discutere su Facebook di questioni politiche. Mi limitavo a leggere, ad osservare, ad individuare i vari luoghi comuni messi in campo sia da una parte sia dall'altra ed isolare i discorsi che, fossero di destra o di sinistra, avessero dei contenuti. Ultimamente, però, mi son trovato ad intervenire su diverse questioni, ad alimentare io stesso alcuni scambi di idee che talvolta son diventati scontri, fortunatamente sempre in modo abbastanza civile. Anzi, il più delle volte ad alzare per primo i toni del tenzone sono stato io, e forse perché troppe volte fino ad ora sono stato in silenzio.

Ho tirato su un polverone immane riguardo l'obelisco dedicato a Mussolini, provocando i detrattori della Boldrini che si nascondevano dietro lo slogan "La storia e la cultura non si toccano" per occultare tutt'altra intenzione. Sia chiaro, per chi non avesse assistito alla discussione, che non ho mai sostenuto che la Boldrini avesse ragione: ma, come ho detto, ho provocato, dicendo che anzi avevano ragione, che i monumenti vanno protetti perché raccontano la storia, ma la storia va anche raccontata giusta, e per cui suggerivo come soluzione il capovolgimento del monumento. Mettiamola sotto sopra, così oltre all'inizio ed allo svolgimento abbiamo anche il finale corretto! Inutile dire che si son scritte tante parole, troppe, molte delle quali inutili ma alcune assolutamente necessarie per capire l'andazzo generale che ha preso questo Paese ormai alla deriva.

Alla deriva come quei barconi che si vuole abbattere, quei barconi che affondano e portano con sé centinaia di anime che credevano di navigare in un sogno che non è diventato un incubo, ma la fine della loro realtà. Io mi chiedo con che coraggio, poi, chi appoggia Salvini e compagnia dia del buonista a chi invece si chiede il perché di tutto questo, a chi piange quelle vittime, a chi non ci sta nel dover assistere a tutto ciò. Se è buonista chi è mosso da spirito umanista, e loro si contrappongono a chi tacciano come buonista, per equazione matematica questi tutto sono tranne che umani. E' matematica, la stessa fredda matematica che usano per dire: bene, son 950 clandestini di merda in meno in Italia, speriamo che presto tanti altri facciano la stessa fine. 

Mi girano le palle, mi girano le palle in modo pazzesco nel dover leggere tutto questo, soprattutto quando anziché mossi da un'ideologia (per quanto malata possa essere un'ideologia che promuove questo tipo di pensieri) si rifugiano nel qualunquismo. Lo stesso qualunquismo che li ha fatti esultare per la fine delle dittature di Gheddafi, di Saddam Hussein, di Milosevic etc. Sembra che queste persone siano cadute dalle nuvole, inconsapevoli di come funziona il mondo, di come ad un'azione corrisponda sempre una reazione, e di come, quando si crea il caos, è naturale che le ripercussioni si sentano ovunque. E queste ripercussioni possono manifestarsi in aumenti del costo del petrolio (e tutti a dare dei ladri ai benzinai ed allo Stato per le accise), in aumento dei prezzi dei prodotti provenienti dall'estero causati dal rincaro dei trasporti (e tutti ad accodarsi nella gara a chi difende di più il Made in Italy), in esodi di massa da luoghi in cui ci si uccide anche solo per un bicchiere d'acqua o un pezzo di pane (e tutti, ovviamente, ad infangare queste persone disperate ed il governo). Ed allo stesso tempo rimpiangono epoche che mai hanno vissuto, epoche che forse i loro genitori o i loro nonni non hanno loro raccontato bene, perché se rimpiangono un Mussolini autarchico o un Hitler propenso alla pulizia etnica c'è davvero qualcosa che non funziona nell'insegnamento e nel tramandare di generazione in generazione la storia. Hanno ragione a dirmi che non devo chiamarli fascisti, perché effettivamente fascisti non sono. Sono tutt'al più malinformati, delusi dalla politica, convinti che avere degli ideali non porti effettivamente da nessuna parte. 

E la cosa, a dirla tutta, non mi stupisce: dopo 20 anni di politica di Berlusconi nella quale si puntava sull'apparenza e non sull'essenza, sulla demonizzazione di certi concetti (comunismo e solidarietà in primis), sulla parodia quotidiana dell'avversario politico di turno del leader del centro-destra promossa non dalle sue reti televisive, non dai comici ma da lui stesso, è ovvio che il risultato non poteva essere molto differente. Non che Berlusconi abbia inventato nulla, sia ben inteso: è stato sicuramente il miglior interprete di questa "arte", ma è la vecchia scuola della DC quella che ha posto le basi per quest'annientamento della capacità di discernere, della voglia di informarsi, della fedeltà alle proprie idee ed ai propri ideali. Quella DC che faceva passare per mangiabambini e ladri di terre i comunisti, che è poi la stessa DC che sapeva chi veramente voleva morto Moro; quella DC che faceva passare l'Unione Sovietica come il male assoluto mentre gli Stati Uniti come terra di libertà, che è poi la stessa DC che faceva affari con la Mafia (e li fa tutt'ora, anche se in vesti diverse), la P2 e dava il nulla osta agli USA di dar vita alle cellule del Gladio anche in Italia. E così via, di questioni da rispolverare ce ne sarebbero a centinaia, ma elencarle così è inutile, sebbene siano tutte verità, a differenza di quelle millantate dal centro-destra per settant'anni ed alle quali per settant'anni l'italiano medio ha creduto.

Settant'anni. Settant'anni son passati anche da quei giorni di aprile in cui in tutto il Nord Italia le grandi città si liberavano dalla dominazione nazi-fascista, da sole, contando sulla solidarietà e su un sano senso di appartenenza, ovvero gli ingredienti principali di un reale patriottismo. C'è chi, ancora adesso, vomita sulle donne e sugli uomini che hanno liberato l'Italia da una reale dominazione straniera, rinnegando loro stessi, nei fatti, di essere italiani, di essere intelligenti, di essere umani. 

Nei prossimi giorni dedicherò diversi post ad alcuni elementi che sopra ho appena sfiorato, ma dopo tanto discutere, litigare ed innervosirmi, anche parecchio, tanto da dover frenare più di una volta le dita agognanti di scrivere i peggiori insulti, avevo decisamente il bisogno di sfogarmi, di dare loro carta bianca. Perché d'accordo, usare la diplomazia con toni pacati, anche se a volte un po' tirati, è sempre la via migliore...ma a volte se mordersi la lingua, legarsi le mani e quindi farsi male ha l'unico scopo di non far male ad altri che, quotidianamente ed inconsciamente fanno male al resto del mondo, allora non solo è cosa buona ma è cosa dovuta, principalmente verso me stesso, smettere di essere masochista.

Che poi tutto questo possa non servire a nulla è quasi assodato, nel senso che di certo, da solo, il mondo non lo posso cambiare. Ma finché avrò la possibilità di provare anche solo a far ragionare, a mettere a conoscenza di certi fatti, a far cambiare idea ad una persona continuerò a dannarmi l'anima pur di portare avanti le mie idee, i miei pensieri e le mie convinzioni. 

E dato che questo è un post un po' avvelenato, non v'è canzone più adatta di questa a sintetizzare il mio stato d'animo. Incazzato, un po' stanco, ma ancora desideroso di andare avanti. 






martedì 17 febbraio 2015

Il destino della memoria - Mondi virtuali e cieli solcati



Ci sono dei momenti in cui mi chiedo per quali importanti avvenimenti, scoperte e progressi l’epoca in cui viviamo potrà venire ricordata nel futuro, che sia tra un secolo o tra un millennio. Partendo dall’assunto che ciò che noi conosciamo del passato, sia storico sia preistorico, non è probabilmente tutta la verità, e sicuramente non è tutto ciò che ci sarebbe da conoscere, non so quanto ai nostri successori potrà interessare la nostra epoca, e soprattutto non ho idea su che dati potrebbero basarsi per analizzarla.

Raf si chiedeva “Cosa resterà di questi anni ‘80”, decade che sotto diversi punti di vista, soprattutto quello culturale, è stata un arco temporale durante il quale c’è stato un certo rilassamento, conseguenza di tre decenni estremamente intensi e ricchi di novità in ogni ambito della vita, ma anche preludio ad un nuovo rimescolamento delle carte: caduta del muro di Berlino, apparentemente fine della Guerra fredda, implosione dell’Unione Sovietica, prime grandi tensioni tra Occidente e Oriente arabo. Tutti elementi che hanno contraddistinto gli ultimi venticinque anni sotto il punto di vista politico, che hanno portato a nuove distribuzioni della variabile potere all’interno del sistema mondo, e quindi, di riflesso, di tutte le variabili legate alla detenzione del potere.

Per una volta però voglio soffermarmi non tanto sulla questione squisitamente politica, le cui motivazioni, se l’evoluzione del pensiero dell’uomo procederà in modo lineare, giustificheranno lo scherno e lo sbigottimento con cui gli storici del futuro argomenteranno i processi che hanno portato all’attuale configurazione sociale, politica ed economica, ma su quella prettamente culturale, e non tanto su ciò che l’attuale mondo delle arti attualmente produce ma su come lo produce, ovvero in che formati. Viviamo ormai da una trentina d’anni nell’epoca della digitalizzazione, e soprattutto negli ultimi dieci si ripone nei nostri computer buona parte di ciò che noi siamo in grado di produrre: i nostri scritti, la nostra musica, le nostre fotografie occupano migliaia di terabyte di memoria virtuale, custodita in scatoline di plastica e componenti elettronici altamente instabili. Basta poco a far sì che un hard disk o una scheda di memoria non siano più fruibili: un fulmine, l’acqua, la rottura meccanica dei componenti principali. Basta una disattenzione ed ecco che si perde una quantità enorme di dati impossibili da recuperare se non si è fatta in precedenza una copia. Ho letto qualche giorno fa un articolo che ammoniva l’attuale mondo della fotografia, non tanto a livello professionale quanto a quello amatoriale ed emozionale: la fotografia come prova tangibile di un evento rischia di fare una brutta fine, perché se è vero che al momento possiamo potenzialmente fotografare ogni istante della nostra vita è anche vero che non ci prendiamo quasi più il tempo di guardare le foto fatte, figuriamoci quindi di stamparle, di renderle a tutti gli effetti oggetti reali, da toccare ed annusare oltre che vedere, da riporre in un album. E’ il tipico effetto che si ottiene quando l’estrema abbondanza di un qualcosa rende questo qualcosa di fatto inutile, o comunque di poco valore. Questo discorso si può allargare ai libri (sebbene, con estrema felicità, di ebook ne veda ben pochi in giro), alla musica (dove ormai anche l’acquisto è più comune in supporto digitale anziché analogico), alla cinematografia (perché siamo onesti, con la pirateria il concetto di blockbuster è definitivamente andato a farsi benedire), e se si aggiunge il fatto che per quanto riguarda le belle arti ci troviamo ad un punto morto è ben poca la realtà nuova che ci circonda. Per ora va bene così, nel senso che, come scrivevo prima, è sufficiente fare una copia dei dati per far sì che questi non possano venir persi (e del resto si può obiettare il discorso finora fatto portando avanti la tesi che basta un incendio a bruciare milioni di pagine, di fotografie, di quadri, di spartiti e di dischi) al primo imprevisto, ma è anche vero che, se qualcosa questi ultimi 30 anni ci hanno insegnato, l’evoluzione riguardante lo stoccaggio e la gestione dei dati è sì estremamente rapida ma anche fortemente distruttiva nei confronti del precedente sistema. Basti pensare all’incompatibilità di tanti programmi creati soltanto una decina di anni fa con i sistemi operativi attuali, basti pensare a come il compact disc abbia di fatto avuto vita breve (certo, esistono ancora, ma più per volere del consumatore che del produttore) e di come sia estremamente suscettibile al passare del tempo ed agli agenti esterni, basti pensare a come ormai sia diventata impresa eroica guardare una videocassetta. Il progresso tecnologico rischia quindi di fare tabula rasa di tutto ciò che c’era prima, proprio come la bomba atomica è in grado di fare ovunque questa cada. Inoltre, sebbene possa sembrare uno scenario apocalittico e di difficile realizzazione, credo sia molto più facile assistere ad una mondiale perdita di dati digitali nei prossimi decenni piuttosto che alla scomparsa di una grossa fetta di umanità. Il problema è che se i sistemi elettronici andassero all’improvviso in tilt (il millennium bug non si è verificato, ma credere che possa essere fantascienza l’immissione di un virus che colpisca tutti i computer del mondo sarebbe da stolti), provocando la totale perdita di dati immagazzinati, tutte le conoscenze non trascritte, stampate o trasportate su supporto analogico verrebbero cancellate, riportandoci indietro di chissà quanti decenni.

Può sembrare fantascienza, lo so, può sembrare quasi pazzia. Intanto, però, un mercato che sembrava morto sta riprendendo a girare, andando in controtendenza con l’attuale trend: è quello del vinile, che sta crescendo in maniera esponenziale, che sta di fatto rendendo immortale parecchie produzioni musicali, attuali e passate, spinto dal desiderio di avere per le mani qualcosa di tangibile, di incorruttibile, di imperdibile nei meandri della memoria virtuale, del web, degli hardware. E non è un caso che io sia voluto arrivare ai vinili. Perché quando la scienza ancora aveva un’ottica lungimirante ed aspirava non solo a conoscere ma a far conoscere, si è delegato ad un long playing estremamente particolare ed unico nel suo genere il ruolo di messaggero. Nel 1977, infatti, la Nasa, contestualmente con il programma Voyager, che consisteva nell’invio di due sonde che avevano lo scopo di oltrepassare i confini del sistema solare, ha lanciato nello spazio due dischi d’oro contenenti informazioni riguardanti l’uomo e la Terra, saluti ed alcune composizioni musicali, con l’obiettivo di lasciare una traccia incorruttibile della nostra esistenza all’esterno del nostro pianeta, con la chiara speranza che un giorno almeno uno dei due dischi possa venire intercettato da una civiltà aliena. Il nostro pianeta, quel giorno, potrebbe non esistere più, come potrebbe essere già esploso il Sole, ma, anche in questo caso, e quindi anche tra 4,5 miliardi di anni, quei dischi saranno usufruibili così come lo sono i nostri vinili.

E’ bello pensare che a quella che Schopenhauer considera la regina delle forme d’arte (in quanto trascendentale, in quanto unica e vera forma di creazione artistica) sia stato delegato il compito di mostrare ad un’altra entità intelligente chi siamo, come siamo e cosa siamo in grado di fare, altrettanto bello è realizzare che il mezzo al quale ci si è affidati risale alla fine dell’800, in barba ai cd, ai nastri, agli mp3.
Tanto che a volte mi chiedo quanto realmente serva tutta questa tecnologia apparente alla quale sempre di più ci rivolgiamo per manifestare la nostra esistenza e per percepire quella altrui…

In ogni caso, uno dei brani che al momento stanno vagando oltre il sistema solare, non sotto forma di onde radio ma inciso su un disco d’oro, è stato partorito da quello che è considerato il padre della musica moderna: Johann Sebastian Bach. Sarà un rivoluzionario a parlare di noi, in musica, agli omini grigi! 




Stefano Tortelli