lunedì 2 marzo 2015

Canzone della sera #7 - L'arte del dar voce agli oggetti






In letteratura ci sono tanti modi di esporre un racconto. Il narratore esterno, la narrazione in terza persona, il prologo in prima e la narrazione in terza per poi chiudere nuovamente in prima persona (o viceversa), un racconto che vive attraverso i dialoghi (tipico del teatro e delle opere liriche), e così via. Lo scrittore, dunque, come si usa principalmente dalla nascita della letteratura moderna, scrivendo ci racconta ciò che succede, come se fosse uno spettatore privilegiato, un cronista, un giornalista, ci riporta i dialoghi dei protagonisti, ed ha il potere di entrare nella mente delle persone, di descriverne le sensazioni, di leggere i loro pensieri. A volte invece si immedesima in uno dei protagonisti, raccontando dal suo punto di vista la storia, centralizzando tutta la vicenda attorno al narratore-attore: da vita così ad una specie di diario, dove vengono riportati minuziosamente i suoi scambi di parole e di opinioni con le persone che lo circondano, spesso accompagnati da commenti favorevoli o di biasimo, proprio come se, in fin dei conti, oltre a narrare ed a calarsi nella parte del protagonista giudicasse i vari personaggi da lui stesso creati, lasciando ben poco spazio all'interpretazione del lettore. 

Ciò che accomuna queste tecniche di racconto è il narrare in quanto umani, riportare ciò che altri umani vivono, pensano e dicono, e tutto ciò per far sì che altri umani leggano, si emozionino, pensino, interpretino la storia dandole un proprio senso, cercandole una morale, fino ad immedesimarsi in uno o più personaggi. Nelle favole e nelle fiabe spesso i protagonisti sono invece gli animali, e da Esopo a Sepulveda, passando per Kipling e buona parte della filmografia della Disney, altri esseri animati sono protagonisti di allegorie che trasportano nel regno animale tipiche situazioni della nostra realtà, a volte prendendo spunto, come per Il Re Leone, dalla letteratura che invece vedeva come protagonisti i nostri simili (Il Re Leone attinge a piene mani dai lavori di Shakespeare). Viene quindi sì data voce a chi non ne ha, ma lo si fa in ottica allegorica, spesso arricchita da una morale da trasmettere, dando così vita ad un processo che non si allontana poi molto dallo spostare in uno spazio immaginario o in un'altra epoca una vicenda che è propria della contemporaneità (ovvero ciò che fece Manzoni con I promessi sposi, trasportando e camuffando le problematiche del suo tempo due secoli indietro, facendo così una disamina politico-culturale dell'800 raccontando una storia ambientata nel '600). 

Probabilmente tutto questo è implicito nell'arte stessa del raccontare, e quindi non è nella forma del racconto che si può trovare la totale meraviglia che è propria del dar voce a chi o a cosa non ne ha. Tutta questa disamina è quindi pressoché inutile al mio scopo, ovvero al mettere in luce quanto sia meraviglioso trovarsi a leggere o ad ascoltare parole che idealmente escono da un'immaginaria bocca di un oggetto o di un'entità non animata. Tutto ciò lo si può riscontrare nella poesia ed in tutte le composizioni che hanno uno stile poetico. Come le canzoni. E credo che la composizione che più esalta questa stupenda arte sia la canzone Joan d'Arc di Leonard Cohen. Si può dar voce al fuoco e renderlo un amante passionale e desideroso di impossessarsi della carne della propria amata? Si può immaginare Giovanna d'Arco, in procinto di essere bruciata, affascinata dalle fiamme che la avvolgono come se fossero le braccia di un uomo durante l'amplesso? E si può credere al fatto che Giovanna si confidi e si sfoghi proprio con il Fuoco, che è lì sì per ucciderla, ma anche per ascoltarla, per consolarla, per amarla, ma anche per domarla e renderla umana, incenerendo di fatto le accuse che l'avevano portata sul rogo? Sì, si può. Immaginando si può far tutto ciò che si desidera, soprattutto se il mezzo per realizzare i  le immaginazioni è  è una forma d'arte. 

Credo non vi sia altra composizione al mondo che al meglio possa descrivere la purezza, l'intensità, l'importanza, la grandezza e la meraviglia che risiede nell'amore e nella sua più spontanea e naturale esposizione, ovvero l'atto d'amore, ovvero l'unione dei due corpi e delle due anime. E sarà pur vero che Giovanna d'Arco muore, uccisa dal Fuoco, vittima del suo amante, sarà pur vero quindi che Giovanna d'Arco muore per amore (e del resto il suo patriottismo cos'altro era se non amore per la sua terra, per il suo popolo, per la libertà?), ma a morire con lei, subito dopo, è il Fuoco stesso. Senza il combustibile, senza l'oggetto dell'amore, senza l'amore, anche il fuoco, anche l'altro amante, non può che seguire la stessa sorte svanendo, nascondendosi tra le ceneri dell'amata.

Ed il fumo che sale verso il cielo è il prodotto di quel rapporto carnale, ed in quel fumo ci sono sia Giovanna che il Fuoco, ed in quel fumo le due anime sono un tutt'uno, ormai mischiatesi, e probabilmente felici. Nonostante la fine, nonostante il non più esistere, nonostante la morte. 

Se poi, come se non bastasse la versione in lingua originale di Cohen, ci si aggiunge la traduzione in italiano di De André, allora si raggiunge l'apoteosi, la perfezione. Ed è così che oggi si raddoppia: perché parlare d'amore, cantare d'amore, fare l'amore è bello, ma poter far tutto ciò più volte, in molti modi, è meraviglioso.








Stefano Tortelli







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