Ovunque ci si giri, qui in
Italia, il messaggio che principalmente si riceve è: “Se vuoi sopravvivere, se
vuoi realizzarti, vai via di qui, vai all’estero”. Curioso come questo sia,
probabilmente, il messaggio che muove migliaia di persone verso le nostre coste.
La differenza tra “noi” e “loro” è che “noi” alla peggio veniamo insultati e,
non riuscendo ad affermarci oltre i confini, torniamo a casa, ritrovando la
famiglia, ritrovando ciò che avevamo lasciato pressoché immutato. “Loro”
invece, se sopravvivono alla traversata, devono conoscere i CIE, devono
scappare dalla polizia, devono vivere come irregolari, o meglio sopravvivere
come irregolari. E vengono sfruttati, e vengono derisi, e diventano criminali,
tanto quanto un assassino o uno stupratore, per il solo fatto di aver poggiato
i piedi sul territorio italiano. E, paradossalmente, loro a casa non possono
tornare nemmeno se lo desiderano, e tra l’altro, spesso, l’Italia non è la loro
destinazione: è uno scalo, come può esserlo un aeroporto di un’altra Nazione
per noi. Nessuno ci proibisce di imbarcarci su un altro aereo e raggiungere la
meta desiderata; a loro invece è proibito raggiungere il loro fine, ed è pure
negato il diritto di stare nell’”aeroporto”. Tutto questo è regolato da leggi
ben studiate nei Paesi confinanti con l’Italia e da una politica puramente emergenziale
nostrana, mossa dal desiderio di autoconservazione anziché da vere logiche
politico-sociali ed economiche.
Il tutto è stato facilitato in
maniera mostruosa dalla vanificazione del confine tra il concetto di patriottismo
e quello di nazionalismo, estremizzando così le posizioni, relegando ad una
sola corrente di pensiero l’orgoglio di essere parte di un popolo, di esser
fieri delle proprie tradizioni, di preservare e promuovere la propria cultura.
Sono tanti i paradossi che come parassiti si sono diffusi nella società
contemporanea, tant’è che ci si trova movimenti nazionalisti che si fanno
promotori dell’identità italiana quando ben poco conoscono la nostra storia,
quando l’ignoranza la fa da padrona ad ogni livello della loro composizione,
che siano i grandi capi o che siano gli elettori.
Il messaggio che passa però è
questo, ed una certa sinistra non fa nulla per contrastare la cosa. Che poi…
trovo difficile definire di sinistra un pensiero populista fatto di lamentele,
di disfattismo, di autocommiserazione, come se veramente non esistesse più il
concetto di umanità, come se non esistesse più la solidarietà che ne è figlia,
come se, piuttosto che rimboccarsi le maniche per raddrizzare l’Italia sia più
facile dire: “Ma sai che c’è? Me ne vado all’Estero”. E pensare che il
patriottismo che muove le masse e che spesso sfocia in situazioni di guerriglia
viene appoggiato totalmente, se fuori dal nostro contesto, se oltre i nostri
confini. Pieno appoggio all’IRA, all’ETA, ai Palestinesi, si guarda con
romanticismo all’identità occitana che vuol essere riconosciuta, al grande
popolo sardo (se vogliamo fare un esempio nostrano ma comunque isolato perché
isolano), ma per quanto riguarda l’identità italiana, in quanto popolo unito,
tutto tace. Probabilmente il problema risale alla difficoltà storica di riunire
sotto lo stesso vessillo, cioè il tricolore, tutti quelli che dal 1861 erano
definiti cittadini italiani. “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli
italiani”, disse Massimo D’Azeglio, e probabilmente, nonostante
centocinquantaquattro anni di storia, il popolo italiano ancora fatica a
riconoscersi negli stessi valori, rifugiandosi invece nelle identità regionali,
tutt’al più in quelle areali (settentrione/meridione/area Tosco-Umbro-Laziale).
L’identità italiana, tolto il periodo fascista, in cui il tutto ruotava attorno
ad un sentimento nazionalista che elevava sopra ogni altra nazionalità quella
italiana, si è manifestata soltanto durante la Resistenza ed i primi anni del
dopoguerra, quando la ricostruzione delle città bombardate, dal nord al sud,
aveva unito l’intero Paese nel conseguimento dello stesso scopo: la rinascita.
Siamo rinati tutti insieme,
Milano come Catania e come tutte le città italiane colpite dalle bombe durante
il secondo conflitto mondiale sono state liberate nuovamente, stavolta dalle
macerie, ed ad ogni latitudine dello stivale gli italiani hanno riportato allo
splendore l’Italia. Un nuovo risorgimento, questa volta tricolore ovunque. Una
volta però raggiunto un minimo di benessere ecco che di nuovo il patriottismo e
l’orgoglio di far parte di una Nazione è andato a perdersi, e non sono stati
sufficienti i mezzi di comunicazione di massa ad unire il Paese. Certo, parliamo,
chi meglio chi peggio, tutti la stessa lingua, ma come un’arma a doppio taglio
le televisioni e le radio sono state usate per acuire ulteriormente le
differenze. “Noi” e “loro”, prima che sottintendesse “italiani” e “immigrati”,
erano sinonimi polivalenti per definire i meridionali ed i settentrionali, con
accezioni negative per i “loro” di turno. C’erano (e tutto sommato ci sono
ancora) italiani di serie A e di serie B, ed il capovolgimento delle gerarchie
si verificava spostandosi principalmente latitudinalmente, e talvolta
longitudinalmente, all’interno dello Stivale.
Ci è stato fatto passare il
messaggio che per il bene dell’Italia intera una parte o l’altra della Nazione
doveva compiere dei sacrifici: prima il sud doveva emigrare al nord per far sì
che il nord compiesse il miracolo economico che poi avrebbe pervaso tutta
l’Italia, poi il nord doveva finanziare il sud per far sì che potesse colmare
il gap con le regioni settentrionali. Tutte balle. Hanno voluto dividere gli
italiani secondo il detto di cesarea memoria “Dividi et impera”, e l’han fatto
sfruttando il più facile elemento a loro disposizione: la distanza geografica e
culturale tra “ciò” che sta sopra il Tevere e “ciò” che sta sotto. In questo sì
che ci sono riusciti, allontanando di molto il raggiungimento di un sentimento
patriottico, ovvero il piacere e l’orgoglio di essere italiani, e fomentando
invece i regionalismi ed i campanilismi. Ora a nord abbiamo la Lega che da
ormai vent’anni vive di questi meccanismi, ampliati alla difesa dei valori
cristiani ed occidentali, al sud non si è mai sopito il desiderio di tornare
all’epoca pre-Risorgimento, al dominio dei Borboni, e pur di sottostare allo
Stato italiano si sopporta l’ingerenza delle mafie e della criminalità
organizzata.
Io sono sempre stato abituato a
guardare l’Italia come un blocco monolitico, come ad un’entità unica con una
propria identità, con dei propri valori, con delle radici ben definite. Con una
cultura immensa, impareggiabile da ogni altro Stato mondiale, con una storia
millenaria e continua. Ovunque voi andiate in giro per l’Italia, che si parli
di Verga, di Leonardo, di Gramsci, di Marco Polo, la prima cosa che sentirete
sarà: era uno scrittore, un inventore, un politico, un commerciante ITALIANO.
Perché della nostra storia e della nostra cultura siamo tutti orgogliosi, della
grandezza e dell’importanza che da ormai tremila anni l’Italia ha nel mondo
anche, e ce ne freghiamo della regione dalla quale proveniva questo o quel
grande genio che tutto il mondo ci invidia. Lui era figlio dell’Italia come
tutti noi.
Questo è essere patrioti, questo
è essere italiani. E nel presente, nel presente essere italiani significa
restare qui a lottare, a diffondere idee giuste, ad essere solidali nei
confronti dei nostri connazionali che soffrono e di chi, una volta giunto qui,
soffre come noi, perché come noi calca la stessa terra, abita le stesse città,
osserva lo stesso cielo. La differenza sta qui: il nazionalismo punta a
chiudersi ed ad arroccarsi, proprio come la Lega al nord o i nostalgici dei
Borboni al sud, vomitando su tutto ciò che è diverso e lontano e che si offre a
noi. Il patriota è colui che difende la propria terra, ma difendendo la propria
terra difende anche chi ci si trova a viverci, a prescindere dal colore della
pelle, della lingua che parla, della nazione di provenienza.
Cerchiamo di essere credibili,
per una volta. Se volete la parità di diritti per tutti, prima di tutto
riconoscete il vostro status di essere italiani. Altrimenti che coerenza c’è
tra il vomitare sulla nostra carta d’identità, sulla nostra bandiera, e voler
far sì che lo ius sanguinis cessi di esistere per lasciar spazio al più giusto
ius soli!? A livello puramente logico, volete male agli stranieri più dei
leghisti e dei fascisti…
Io amo l’Italia, e proprio perché
la amo voglio contribuire a cambiarla, a migliorarla. Proprio perché la amo,
voglio restare. E proprio perché la amo voglio che vengano lasciate aperte le
porte a chiunque desideri partecipare al suo miglioramento. Scappando, invece,
non si risolve nulla.
E quindi, prima di urlare con superficialità dettata dalla distanza "Viva l'Irlanda libera", "Viva i Paesi Baschi", "Viva la Palestina", impariamo a dire "Viva l'Italia". E non soltanto quando trionfa negli sport.... E' l'unico modo per legittimare ogni altra istanza che si vuol portare avanti oltre le Alpi ed oltre il Mediterraneo.
Stefano Tortelli
Nessun commento:
Posta un commento