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Cartina degli Stati che riconoscono la Palestina. Una delle tante carte geografiche che non vi vorrebbero mai far vedere. |
E’ curioso come gli Stati del
cosiddetto Occidente, che si considerano i paladini della democrazia nel mondo,
tanto da essersi sentiti in dovere di esportarla a colpi di pozzi di petrolio,
raid aerei e depredazioni di materie prime, manchino all'appello e si dimentichino, soprattutto, dei principi democratici, soprattutto quando riguardano una condizione universale, globale. Se prima era l’imperialismo coloniale
legittimato dagli eserciti ad esportare la democrazia, ora il compito è dell’imperialismo
economico, che teoricamente lascia totale libertà di autodeterminazione alle
altri Nazioni ma di fatto le vincola, con ancor più efficacia, ad un rapporto
di collaborazione e subordinazione nei confronti dell’Europa Occidentale e
degli Stati Uniti. Ed è subdolo l’imperialismo economico, perché il nemico si
nasconde, è lontano, non è riconosciuto come invasore: anzi, talvolta è il
salvatore, talvolta il liberatore, talvolta il curatore, talvolta è colui che
apparentemente da lavoro, porta il progresso, importa il benessere. E non c’è
bisogno di andare troppo lontano per capire come questo meccanismo sia stato
messo in atto in tutto il mondo, tant’è che basta pensare all’Italia: da quando
il nostro Paese ha abbracciato il sistema sociale statunitense, firmando di
fatto un contratto di annessione alla realtà a stelle e strisce, la Penisola
italiana ha cominciato a farsi sommergere dai mille problemi, dalle mille
contraddizioni, fino ad essere in crisi, fino ad avere l’acqua alla gola. Il
Mediterraneo sta per sommergerci, ma a quanto pare va bene così, per ora il
desiderio di riemergere è ancora lontano dall’instillarsi in noi, siamo ancora
convinti che l’acqua non salirà ulteriormente.
La democrazia però, a quanto
pare, vale soltanto quando fa comodo, e se negarla serve per far sopravvivere l’ultima
realtà legata all’antico sistema imperialistico, e quindi quello prettamente
coloniale, allora si fa di tutto per sacrificarla in nome dell’egemonia
nordamericana. Mi riferisco a ciò che avviene in Terra Santa dal 1988, anno in
cui l’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) autoproclamò l’esistenza
della Palestina, senza comunque negare l’esistenza di Israele. Attualmente gli
Stati indipendenti nel mondo sono 204, ma nel 1988 erano decisamente di meno.
Questa piccola precisazione è doverosa, poiché subito dopo l’auto-proclamazione
dell’OLP furono ben 90 gli Stati che riconobbero la Palestina come Nazione
autonoma ed indipendente. Se non erano la maggioranza, poco ci mancava. Se
pensiamo invece all’oggi, al presente, le Nazioni che riconoscono la Palestina
sono 130 su 204. La quasi totalità dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa
orientale, la Russia, il Sudamerica, la Svezia, Cuba. 130 su 204 significa la
maggioranza, ed alla luce del fatto che sono proprio gli Stati occidentali ad
aver promosso la nascita di organizzazioni mondiali come ONU e NATO, con lo
scopo di prendere decisioni in democrazia per gestire, teoricamente, in modo
proficuo ogni situazione che riguarda l’andamento del mondo intero, è lampante
come siano questi Stati ad osteggiare con più determinazione il riconoscimento
della Palestina. Le motivazioni comunque non sono difficili da trovare: lo
Stato di Israele è di fatto l’ultimo superstite della decolonizzazione, l’ultimo
residuo di quella che era la politica in vigore dall’800 fino alla fine della
seconda guerra mondiale, è di fatto l’ultima India, l’ultimo Vietnam, l’ultimo
Maghreb, l’ultima Corea. Allo stesso tempo è anche un caso unico, poiché, di
fatto, non vi è stata alcuna invasione militare in terra palestinese quando fu
istituito lo Stato di Israele, si è voluta risarcire la comunità mondiale
ebraica dandole la Terra promessa citata nei Testi sacri, andando a destabilizzare
totalmente una realtà che ben poco c’entrava con ciò che è stato perpetrato in
Europa, per secoli, a chi si professava ebreo. Sarebbe stato più logico, come è
normale che succeda durante i trattati di pace, dare parte dei territori
tedeschi agli ebrei o, visto che gli USA ci tenevano tanto, dar vita ad una
realtà ebraica in Nord America. Ma ovviamente tutto ciò non avrebbe avuto alcun
peso strategico, soprattutto quando non sono stati né gli USA né gli Alleati a
sbattere in faccia al mondo la realtà nascosta dai nazisti in Germania e
Polonia. Se quindi si fosse creato uno Stato autonomo di professione ebraica in
Europa, questo facilmente si sarebbe schierato con l’Unione Sovietica, vera ed
unica liberatrice degli ebrei di Auschwitz e degli altri campi di sterminio
principali. Ed allora ecco il meraviglioso gesto della Gran Bretagna: liberare
di fatto la Palestina dalla presenza istituzionale britannica ma ripartire i
territori palestinesi in due Stati autonomi, Israele e Palestina, lasciando poi
alle due neonate realtà il compito di gestirsi. Di fatto, però, la Palestina post-coloniale
ha cessato di esistere nel 1967 poiché annessa ai territori di Israele. Ed
intanto l’Occidente stava a guardare, compiacendosi di ciò che Israele stava
facendo ed auto-compiacendosi per aver messo in atto un programma così audace
di controllo diretto di un’area enorme senza, di fatto, metterci piede
direttamente.
Se nel mondo valessero davvero i
valori democratici, stando ai numeri, la Palestina dovrebbe essere riconosciuta
come Stato autonomo da diversi anni ormai, vista la maggioranza mondiale di
Nazioni che ne riconoscono l’esistenza. Se poi ci basassimo sulla popolazione
mondiale che indirettamente riconosce la Palestina, beh, la vittoria sarebbe
schiacciante, visto che da sole India e Cina ospitano circa la metà degli
abitanti del pianeta. Ma come ben si sa il parere di ogni individuo conta ben
poco a qualsiasi latitudine e longitudine, per cui sono gli Stati che
rappresentano gli uomini a fare testo.
Il testo attualmente dice che il
64% degli Stati mondiali riconosce la Palestina. Circa due terzi del mondo. Nel
restante terzo abbiamo la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, gli Stati Uniti,
il Canada, l’Australia, il Giappone, il Messico ed altri Stati ancora. Nel
restante terzo ci sono gli Stati che detengono la maggior parte delle risorse
economiche mondiali, o per lo meno così vogliono continuare a farci credere.
Nel restante terzo figurano quelle realtà che storicamente hanno con una mano
mostrato al mondo i documenti che legittimano il loro essere democratici e nell’altra
l’arma con cui hanno soggiogato il resto degli Stati. E’ quindi chiaro come la
maggioranza che fa testo non sia quella dei popoli ma quella del soldo, e di
come a decidere il destino del mondo non sia un coro di persone più numeroso ma
il coro di persone che ha più soldi per amplificare la propria voce.
Sbaglia chi ne fa una questione
religiosa, sbaglia chi ne fa una questione etnica. La questione palestinese
dovrebbe essere una questione ideologica, dovrebbe rappresentare il punto di
svolta in grado di chiudere finalmente l’antico sistema capitalistico, per poi
poterci concentrare su quello attuale. La questione palestinese, se risolta con
il riconoscimento della Palestina senza dover passare per le armi o i negoziati
tra i due Paesi ma per il volere della maggioranza degli Stati mondiali,
sarebbe l’indicatore di una finalmente raggiunta democrazia a livello mondiale,
dove il parere di ogni Stato, dal Lichtenstein alla Cina, vale uno, vanificando
così tutte le varie organizzazioni parallele e di settore che operano solo per
i propri interessi. Qualsiasi sia la loro natura.
Anche perché la meglio gioventù
mondiale si è schierata chiaramente, ma a quanto pare questo non conta affatto.
Il futuro non ha valore per i potenti di oggi, tanto da negarlo a chi combatte
per migliorarlo. Rachel Corrie, Vittorio Arrigoni e tanti altri hanno sognato
il futuro e sono morti per i loro sogni. Direi che è ora di smettere di
proibire ai sognatori di poter dar vita ad una realtà migliore.
Stefano Tortelli
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