sabato 7 febbraio 2015

L'umilmente presuntuoso



Qualche giorno fa mi sono iscritto ad un gruppo di scrittori che, ogni tre/quattro giorni, propone un tema riguardo il quale scrivere dai 100 ai 400 caratteri. Una bellissima idea, anche perché, essendo i temi espressi con una singola parola, è curioso osservare come altre persone le interpretino, le descrivano, le sentano. Sono per lo più emozioni, idee, stati d'animo, ed essendo di per sé qualcosa di soggettivo, difficilmente definibile scientificamente, le accezioni che possono venire date sono pressoché illimitate. Da quando sono nel gruppo sono state proposti due temi: la presunzione e l'illusione, e mi sono sorpreso nel trovare in entrambi i casi tanti scritti simili, non tanto nella forma quanto nel contenuto. L'illusione spesso viene associata alla delusione, quando invece io credo sia un qualcosa di meraviglioso, qualcosa per cui combattere. O meglio, è il mezzo che porta a combattere per far sì che il fine si concretizzi disintegrando l'illusione. Tant'è che le mie poche parole riguardo ad essa sono le seguenti: 
"L'illusione è quel qualcosa che una volta raggiunto cessa di essere tale. E' come voler descrivere il silenzio a parole, il buio con i colori.
E le illusioni vanno usate, sono mezzi per raggiungere un fine che le disintegrerà. 
L'illusione null'altro è che l'anticamera della realtà."

La presunzione, invece, è stata massacrata, avvicinandola alla saccenza, all'auto-celebrazione, all'egoismo (nella sua peggiore accezione), all'ignoranza, all'estrema vanità. E quando si parla di presunzione io mi sento sempre tirato in ballo, c'è poco da fare. Il mio primo rapporto con la presunzione l'ho avuto in seconda elementare, quando la mia passione nei confronti della scuola è stata massacrata: "Stefano, smettila di fare il presuntuoso, è inutile che alzi la mano, è inutile che vuoi dimostrarmi che sai ciò che gli altri non sanno". Mi ha segnato quel rimbrotto fattomi dalla maestra di italiano, mi ha segnato nel profondo, perché per tanto tempo ho taciuto anche quando sapevo, perché quasi mi sentivo in colpa a prendere un buon voto. Stavo dimostrando che sapevo più degli altri e QUESTO NON SI FA. Come si fa, dico io, come si fa a distruggere il desiderio di conoscenza e di condivisione di quest'ultima con gli altri? L'assurdo è che poi, quando c'era bisogno, mi venivano affiancati i compagni di classe che erano estremamente indietro nel programma per aiutarli a capire, per migliorare... Ma tant'è...

Con il passare degli anni le cose non sono cambiate, ed anzi, in certi contesti, mi hanno creato non pochi imbarazzi, fino ad arrivare ad essere io per primo ad avvertire il mio interlocutore. Mi ricordo cosa scrissi alla mia ultima ragazza quando ci sentimmo una delle prime volte e stavamo parlando di musica: "Giulia, se ad un certo punto ti sembra che salgo in cattedra e che faccio il professorone di musica e la cosa ti da fastidio avvertimi. E' l'ultima cosa che voglio sembrare, ma spesso succede che passo per tale". Lei mi rispose dicendomi che era l'ultima cosa della quale dovevo preoccuparmi perché nel campo musicale sapeva lei per prima di non avere la mia cultura e che anzi apprezzava che i nostri discorsi potessero essere accompagnati da nuove canzoni, nuovi artisti... come se venisse a crearsi qualcosa di totalmente nuovo. Non per nulla, poi, divenne la mia ragazza. Si fece prendere per mano ed accompagnare lungo strade che lei non conosceva, ed io mi feci prendere per mano ed accompagnare lungo strade per me ancora inesplorate e che lei, invece, già aveva percorso. In altre situazioni invece mi son sentito tarpare le ali, quando magari utilizzavo parole desuete o comunque tutt'altro che di uso comune, oppure citavo artisti ai più sconosciuti, o anche solo mi esprimevo con congiuntivi, condizionali e i vari tipi di passato anziché limitarmi al presente, all'imperfetto ed al passato prossimo. "Ma quanto te la tiri?" "Ma parla come mangi" "Certo che sei proprio egocentrico". A questo punto io mi chiedo cosa serva sapere quando poi l'unico scopo della conoscenza dev'essere portare a casa la pagnotta, anziché allargare i confini del suo utilizzo rendendola fruibile anche agli altri. Ma la frase che più mi infastidisce, in queste situazioni, è "Ma come fai a sapere queste cose?", che sebbene possa essere un complimento, una lusinga, nasconde comunque un rendermi eccezionale, cosa che non credo proprio di essere. Tant'è che spesso in mente la risposta che più mi verrebbe spontanea è un'altra domanda, ovvero "Perché tu queste cose non le sai?". Ed attenzione, non è una domanda retorica che prevede risposte come "Perché sono stupida/o", "Perché non ci arrivo", "Perché non sono intelligente quanto lo sei tu", ma una domanda che in sé racchiude la seguente frase: "Guarda che tu sei come me, e se solo tu volessi quel che so io lo potresti sapere anche tu". Anche perché intelligenza e conoscenza sono due cose che ben poco hanno a che fare: la conoscenza ce la si costruisce, l'intelligenza è un talento, che può sì trarre nuova linfa dalla conoscenza e che permette di interconnettere le nozioni che si sono apprese o acquisite, ma che non può da sola riempire lacune riguardo tematiche che non si conoscono. Io non sono intelligente perché conosco valanghe di artisti e di canzoni a memoria, e nemmeno perché so citarti Hemingway, Hesse, Platone o Socrate, e tu (ipotetico) non sei stupido perché non conosci gli integrali o le leggi della fisica. Tutt'al più l'intelligenza la si può misurare quando si riescono ad assemblare le proprie conoscenze per dar vita ad un pensiero che le incastri alla perfezione, sfruttando al contempo storia, musica, filosofia, letteratura, matematica, fisica, geografia, etc... 

Io so di sapere, io so di essere intelligente, ma io credo, anzi presumo, che tutti possono, se solo lo volessero, conoscere una miriade di cose che al momento ignorano. Anche perché ora i mezzi ci sono: il web è gratuito, i libri non sono più un lusso come non lo è la musica, e nemmeno studiare è così proibitivo come poteva esserlo una volta. Temo però che il vero problema sia questo: se i libri costassero di più, se la musica costasse di più, molti sarebbero stimolati ad apprendere il più cose possibili perché il loro sfoggio di conoscenza sarebbe quasi paragonabile all'avere una fuoriserie in garage, perché si realizzerebbe il legame tra denaro e conoscenza, cioè "Io so perché posso permettermelo". Una vera ricchezza usata come sfoggio di opulenza... 

La presunzione poi, se usata come definizione richiede, può costantemente mettere nella condizione colui che presume di avvalorare le sue presunzioni, rendendole verità, rendendole concetti inattaccabili, rendendole di fatto realtà. La presunzione e l'egocentrismo sono elementi imprescindibili per il proprio sviluppo, per l'esaltare nei fatti le proprie qualità e le proprie capacità.

Non fossi stato presuntuoso non mi sarei mai messo a corteggiare una ragazza, non mi sarei mai posto il problema di aprire questo blog, non mi sarei mai osato di cantare in un gruppo né tanto meno salire su un palco e sostenere un concerto, non avrei mai pensato di poter andare ad insegnare in una scuola, a ragazzi con difficoltà nell'apprendere la lingua e con i quali docenti con molta più esperienza di me hanno avuto enormi problemi. Non fossi stato presuntuoso non avrei nemmeno dato un esame all'università, e paradossalmente è proprio qui che l'assenza di presunzione si è palesata, fermandomi più di una volta sul ciglio dell'aula, negandomi dunque la possibilità di mostrare a me stesso che facevo bene a non essere presuntuoso. 

Presunzione, povera compagna di vita, mi hai lasciato sempre nei momenti di maggiore bisogno. Ora, dato che siamo in periodo di esami, non tradirmi, fammi credere in me stesso ancora qualche volta, poi per un po' potrei anche lasciarti in pace, almeno nel campo universitario. 

Davvero, se la gente fosse un po' più presuntuosa, se la gente si stringesse attorno a chi sa apprendere da chi vuole condividere anziché tacciarlo per saccente, se la gente si preoccupasse di raggiungere una determinata conoscenza anziché stizzirsi se qualcuno ne sa di più, forse il mondo sarebbe estremamente più bello, e la stessa gente non si lamenterebbe più della mancanza di politici validi, di grandi artisti, di ottimi insegnanti. Perché ci sarebbero, e sarebbero molto meglio di quelli passati, perché è un fatto che l'evoluzione, in ogni campo, che si è venuta a verificare negli ultimi decenni, non può che essere di grande aiuto all'umanità intera.

Peccato che all'evoluzione si è delegata la maggior parte della nostra capacità di elevazione ed autodeterminazione, rendendoci ancora più vuoti di chi una volta non aveva niente ma che, anche solo vivendo la propria vita, era un'enciclopedia vivente.




Stefano Tortelli

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