Sono tanti i possibili insegnanti che possiamo incontrare lungo il nostro cammino su questa Terra: scrittori, cantautori, sceneggiatori, insegnanti di professione, filosofi, statisti. Sono cose che ho già detto, lo so, ma la mia ridondanza è doverosa, alla luce degli ennesimi stimoli che la quotidianità mi offre per arrivare ad alcune congetture.
Dopo l'esame dato la settimana scorsa e complici le feste di Carnevale che hanno tenuto chiusa la scuola nei giorni in cui avrei dovuto fare lezione, ho dedicato gli ultimi giorni alla visione integrale delle prime due stagioni di X-Files, alle quali devo aggiungere le prime cinque puntate della terza serie. Di spunti ne da tanti, soprattutto ad una persona che crede all'esistenza degli alieni, all'esistenza di entità non visibili, al fatto che non siano casuali certe coincidenze e che ancora meno lo siano certe incongruenze. Ma non è questa, almeno per ora, la sede in cui parlerò di Scully e Mulder, né tanto meno dei fantasmi o degli alieni. Come ogni serie che si rispetti, però, anche X-Files ha un filo conduttore ben curato, sebbene spesso sia nascosto e controverso, ma considerare questo un aspetto negativo sarebbe sbagliato. Anzi, il segreto di X-Files è proprio questo... Ci sono però degli episodi cruciali nei quali è impossibile nascondere il filo, ed allora eccolo sbattutoci in faccia, con due o tre episodi legati tra loro, dei veri e propri film all'interno della serie. L'ultimo di questi film nel telefilm è quello che raccorda la seconda e la terza stagione, narrato per larghi tratti da un capo indiano. Senza andare a perderci nella trama, ciò che emerge dal suo racconto, implicitamente ed esplicitamente è il seguente: di Storia ce n'è una sola e viene scritta dai vincitori, che racconteranno ciò che a loro fa comodo.. ma di storie, e quindi di memorie, ce ne sono tante, infinite. E finché queste verranno raccontate la verità continuerà a sopravvivere, benché in condizione di latitanza, di illegalità, in netta minoranza. Ieri sera Marino Severini, cantante dei Gang, ha detto praticamente la stessa cosa spiegando il perché sia necessario raccontare storie del passato, soprattutto quello della resistenza partigiana. Le nostre radici risiedono nella memoria, non nella storia.
Due insegnanti di diversa provenienza (il creatore di X-Files è statunitense, Marino è italiano) e di diversa professione per uno stesso concetto, applicato in modo differente, la cui forma differisce anche nell'ambito che va a trattare: X-Files è fantasia, la Resistenza è realtà.
Ho già detto in articoli passati che l'arte è allegoria della realtà, ed è molto più efficace quando viene presentata di soppiatto perché leggere tra le righe o interpretare è molto più efficace che il prendere così com'è una determinata scena, un brano tratto da un disco o da un libro, senza suscitare particolari ragionamenti interiori. Certo, bisogna essere in grado di ragionarci su, e qui si torna alla questione dell'intelligenza, ma dato che io presumo di esserlo e presumo che chi mi legge lo sia, do certi presupposti come certi.
Finora avrò visto una quarantina di episodi di X-Files, e teoricamente ci sarebbe da scrivere un post almeno per la metà di questi. Alcuni sono fantasiosi, fanno riferimento a leggende americane o cristiane, e offrono pochi elementi sottoponibili ad analisi, ma altri sono una miniera di riflessioni. Ad esempio c'è una puntata in cui un uomo aveva la passione per le unghie ed i capelli delle donne morte: lavorava per un'agenzia di pompe funebri e depredava i cadaveri, ma poi, una volta licenziato, ha dovuto trovare un'altra strada per ampliare la propria collezione di trofei: uccidere. Ora, senza andare a prendere in considerazione casi limite come quelli dei serial killer (che comunque spesso si appropriano di qualcosa che apparteneva alla vittima), voglio prendere in analisi alcuni casi che mi è capitato di incontrare lungo la strada. Persone che si svenano per avere una moneta od un francobollo, decine e decine di euro per acquistare il primo numero in edizione originale di Dylan Dog (altro che decine, si parla di centinaia di euro), dischi acquistati e mai ascoltati, e se nuovi nemmeno liberati dal cellofan. Un accumulo continuo di oggetti o denaro (perché c'è anche chi guadagna e non spende, e non in ottica di risparmio ma in ottica di accumulo), il tutto volto a soddisfare il proprio bisogno di possedere, di avere. C'è addirittura chi fa diventare una collezione le persone con cui è andata a letto. Cinque, dieci, venti, cento. Ma ne basta anche una, sotto un certo punto di vista... Mi chiedo però se si ricorda il nome, le generalità, l'aspetto, l'odore di queste donne o uomini con le quali ha avuto un amplesso, se ne ha mai assaporato l'essenza, se mai si è posta il problema di quali emozioni queste persone possano aver provato.
Che siano monete, dischi, libri rari, fumetti, persone, il principio è lo stesso. Il possedere è alla base della loro natura, e questa natura è influenzata da freudiani impulsi sessuali mai totalmente espressi, e quindi almeno in parte repressi. Il capitalismo ha di certo facilitato questo meccanismo, promuovendolo e mettendolo a disposizione di qualsiasi tipo di tasche: c'è chi colleziona macchine, chi case, chi tappi di bottiglia, chi cartoline. Il paradosso però è che viene snaturato il prodotto del capitalismo: il capitalismo dovrebbe fornire beni di consumo, non beni da accumulare, e questa disfunzione all'interno del sistema è alquanto curiosa. Resta comunque il fatto che il capitalismo è sempre un passo avanti e sa bene come creare nuove cose da collezionare, anche perché sa che di malati ce ne sono parecchi, per di più inconsapevoli di essere affetti da questo germe.
Non nego il fatto che anche io colleziono fumetti e dischi, ma lo scopo è un altro. Saranno pur tutti in ordine i miei fumetti di Dylan Dog, ma tutti sono stati letti almeno una volta, e che siano prima, seconda o terza edizione mi interessa ben poco. I miei cd anche sono in ordine alfabetico per artista e cronologico per anno di pubblicazione, ma giusto per poterli trovare più in fretta ed ascoltare, vivere, rigare, consumare, strappare. A volte penso alla mia prima auto, alle decine di migliaia di chilometri che con lei ho fatto, le città che insieme abbiamo raggiunto e visitato, le persone che sono salite in macchina e che con me hanno cantato a squarciagola le canzoni dei miei cd, con le quali sono andato ai concerti, suonati o ascoltati... Mille storie ad essa legate, mille ricordi, mille cose da ricondurre a quella Grande Punto, anche una sua sorellina, o meglio una sua Evoluzione, che in terra veneta ho guidato come se fosse mia. Tutti quindi possono possedere, ma vivere un qualcosa, stabilire un legame, un rapporto con gli oggetti, una reciprocità, è un altro discorso, e non ha assolutamente a che fare con il collezionismo, con l'accumulo, con il piacere dato esclusivamente dall'avere una cosa.
Il guardare ma non toccare, nel collezionismo, diventa l'avere ma non usare, e facilmente si trasforma in un non avere: un non aver vissuto, un non aver partecipato, un non aver condiviso.
Il verbo avere è meraviglioso, perché oltre ad essere sinonimo di possesso è, soprattutto, il participio passato di azioni compiute. Ho vissuto, ho visto, ho amato, ho letto, ho ascoltato, ho emozionato. Queste, però, sono cose dettate dal vivere e dall'essere, non dall'essere in base all'avere...
Tutto questo ve lo dice un collezionista... ma di esperienze, che nessuno potrà togliermi, ma che chiunque potrà "toccare".
Non so perché, ma questa canzone di De André spesso la riconduco alla condizione che può vivere un irrefrenabile collezionista. Forse sta tutto in un verso: "e ogni giorno un altro giorno da contare"... se si riconduce tutto alla quantità, il tutto diventa un nulla.
Stefano Tortelli
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