Leggo da più parti, soprattutto sui Social Network, miriadi di post che puntualmente, tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio, riportano gli stermini perpetrati nei secoli dei secoli (amen) in pronta risposta a chi ricorda il massacro degli Ebrei da parte dei Nazisti. Faccio veramente fatica a comprendere questi gesti, a dar loro una connotazione. Sono raffazzonate apologie alle politiche di Hitler, portando avanti il puerile discorso "Ma anche loro han fatto questo"? E' un modo per sminuire l'importanza dell'evento che più ha caratterizzato la seconda guerra mondiale, poiché è solo una delle tante persecuzioni? E' un camuffato odio per gli Ebrei, ma mosso da altre motivazioni rispetto a quelle del nazional-socialismo? O è anche un approfittare del periodo del giorno della memoria per far finta di ricordare tutto e tutti e poi, per il resto dell'anno, pensare solo al presente?
E' stucchevole questa battaglia a colpi di post e condivisioni, e visto l'andazzo generale, principalmente su Facebook, non mi meraviglierei che fosse anche giostrato in un'ottica commerciale, giusto per procacciarsi nuovi mi piace a pagine qualunquiste che si travestono da portatrici di verità. E come la maggior parte delle persone cade nei tranelli dei mass media manovrati dal Potere, anche sui social gli utenti si fanno influenzare dalle pagine che hanno schiere di "seguaci", pronti a diffondere non tanto il contenuto quanto il nome della suddetta pagina. Ma tutto questo, alla coscienza ed alla coscienza delle persone, porta realmente a poco, ed anzi porta ad un ulteriore anestetizzarsi dell'interesse nei confronti di qualsivoglia questione.
Negli ultimi giorni ho parlato dello sterminio degli Ebrei, degli atti terroristici dell'agosto 1945 perpetrati in Giappone dagli Stati Uniti e dell'epurazione totale dei Catari nell'Occitania, ora ho intenzione di aggiungere un'altra triste storia di ieri: quella degli Indiani d'America.
A volte mi chiedo cosa possa aver pensato il primo Indiano d'America (Nativi Americani è forse il termine più appropriato, ma universalmente i nativi del Nord America sono conosciuti come Indiani o Pellerossa, e per cui utilizzerò questi due termini, anche per circoscrivere il mio raggio d'azione) quando i primi inglesi ed i primi americani si sono insediati nelle loro terre. A differenza delle popolazioni del Sudamerica, le tribù Pellerossa erano per lo più nomadi, gli unici monumenti che hanno costruito sono delle cripte, e quindi se è vero che non avevano delle città da difendere, è vero anche che l'intero Nord America era la loro terra. Perché seguivano le mandrie dei bisonti durante le loro transumanze, si contendevano i territori di caccia con le altre tribù e con gli animali feroci, seguivano il ciclo delle stagioni sia con le attività temporali sia con quelle religiose. Recenti studi sostengono che il primo vero contatto tra gli europei ed il nuovo continente ed i suoi abitanti sia da pre-datare di qualche secolo, al tempo dei Vichinghi, che una volta raggiunta la Groenlandia percorsero a piedi l'intera landa, attraversarono l'attuale Canada e raggiunsero i territori dove ora sorge la città d New York. Vennero però scacciati, i Vichinghi, anche perché la loro indole non era tanto diversa da quella dei Pellerossa: non intendevano espandersi, non intendevano soggiogare altre popolazioni, si limitavano al massimo ad alcuni saccheggi ed al rapire più autoctoni possibili, di certo non era nei loro piani creare una nuova Vikingland altrove. Secoli dopo, però, nei territori occupati da una trentina di diverse tribù indiane giunsero un altro tipo di europei: più subdoli, più assetati di potere, più desiderosi di ricchezze. Ma soprattutto più evoluti militarmente, economicamente e politicamente.
All'inizio la convivenza non era stata particolarmente violenta, poiché gli Europei si stanziarono principalmente sulle coste orientali dell'America settentrionale, creando avamposti qua e là in attesa di nuovi pionieri che potessero continuare ad esplorare il territorio. Del resto non dev'essere semplice avanzare per migliaia di chilometri nel cuore di nuove regioni, mai esplorate e ricche di pericoli, perciò il procedere dei colonizzatori fu tutto sommato lento e quasi svogliato. Ad accelerare i processi di colonizzazione contribuirono sicuramente le cadute degli imperi precolombiani del Sud America, poiché se dapprima le guerre le nazioni europee se le facevano tra loro e sui loro territori, da quel momento venivano fatte in parallelo: se gli Spangoli ed i Portoghesi si erano impossessati delle terre dal Messico in giù, gli Inglesi, i Francesi e gli Olandesi non potevano di certo stare lì a guardare, dato che le ricchezze che gli iberici avevano conquistato tra lo Yucatan e le Ande facilmente sarebbero state convertite in nuove armi e nuove flotte commerciali da muovere contro le vecchie monarchie europee. E perciò, se il Sud America parlava un latino spagnoleggiante, il nord doveva per forza essere francofono ed anglo-germanofono. Ecco, la politica avanzata dell'Europa, eccolo, il proto-capitalismo con connotazioni coloniali. Durante le esplorazioni del Nord America grandi miniere d'oro fecero luccicare gli occhi dei bianchi, e si sa che potere abbia l'oro sull'uomo: gli occhi luccicano, ma lui luccica di più, così tanto da acciecare la coscienza ed alimentare sogni di gloria e ricchezza. Bastò parlarne nel Vecchio continente per far giungere migliaia e migliaia di uomini pronti a tutto pur di arricchirsi ed arricchire il proprio Stato d'origine, che ben presto sarebbe stato tradito in un'ottica autarchica finemente camuffata da indipendenza. E così, prima vi furono le guerre tra francesi ed inglesi, poi tra gli inglesi d'America e gli inglesi d'Europa: perché le prime colonie cominciarono ad organizzarsi, a desiderare un'autosufficienza, a volersi liberare del giogo inglese. E così cominciarono a sorgere i primi Stati, che tutti insieme, appassionatamente, combatterono per la propria indipendenza dalla Corona britannica. Gli Stati Uniti d'America nacquero così dal sangue, versato su una terra che non era madre di nessuno dei due contendenti ma che si ritrovò, tutto ad un tratto, dei figliastri adottati nei peggiori orfanotrofi d'Europa.
C'era comunque ancora tanto spazio, e sebbene vi fossero state alcune scaramucce tra alcune tribù ed i nuovi americani, tutto per qualche anno procedette liscio. In verità i primi conflitti riportati sono però datati 1775, anno in cui cominciò la Guerra d'Indipendenza Americana, ma i fatti più gravi avvennero nel XIX secolo. Considerate che all'inizio della Guerra d'Indipendenza, le colonie erano tredici e che queste sarebbero state i primi tredici Stati Uniti d'America. Ecco, ogni nuova stella sulla bandiera statunitense può idealmente rappresentare la fine di una tribù pellerossa. Come scrivevo prima le tribù native erano circa una trentina, gli Stati Uniti erano tredici, e quindi, alle cinquanta stelle non ci si arriva per poco.
Il discorso appena fatto è puramente simbolico, ma non si discosta poi tanto dalla realtà storica. Più gli Stati Uniti si ingrandivano, più i pellerossa si ritrovavano costretti a spostarsi, a combattere, a morire per la loro terra, per la loro cultura, per la loro libertà, vennero calpestati, imprigionati, schiavizzati, torturati, violentati. Venne dato fuoco alle loro tende, abbattuti i loro totem, sterminate le mandrie di bestiame che rappresentavano la loro principale fonte di cibo. E tutto ciò venne fatto grazie ad armi estremamente più potenti, grazie ai cavalli, ed anche grazie alle malattie che i coloni portarono da casa.
Dal 1775 al 1890, da est ad ovest, una dopo l'altra caddero le tribù indiane, uno dopo l'altro morirono valorosamente i loro capi, uomini valorosi fedeli alle proprie tradizioni ed alla loro madre, massacrati da questi figliastri estremamente diversi da loro. Sand Creek, Woundeed Knee, Little Big Horn. Nuvola Rossa, Toro Seduto, Piccolo Corvo. Luoghi e nomi che sono i simboli di un popolo, di una cultura e di una libertà che non c'è più.
Dalla loro nascita, quindi, gli Stati Uniti null'altro hanno fatto che recar danno ovunque siano andati, aggiungendo milioni e milioni di scheletri nel loro armadio. Scheletri di Nativi americani, di africani deportati e fatti schiavi, di messicani, di europei, di giapponesi, di vietnamiti, di coreani, di arabi. Una mattanza che dura da due secoli e della quale faremmo tutti volentieri a meno, ma della quale invece loro si vantano con tanto di film propagandistici in cui gli indiani prima impersonano i nazisti e poi i comunisti, e di una storia in cui i loro eroi sono i generali che compirono quei massacri.
Per fortuna, sebbene sia una piccola consolazione, nel resto del mondo ancora vengono ricordati i Sioux, gli Apache, i Navajo, ancora si ricordano i nomi dei loro condottieri, ancora si racconta la storia delle loro culture, ancora si ricorda con orrore i luoghi dei massacri.
Se c'è una giustizia divina, i Verdi pascoli, ora, gli indiani se li stanno godendo nell'aldilà, senza più nemici, senza questo figliastro che si è fatto adottare dalla madre America e che ora ne sta stuprando il nome ed il corpo.
Stefano Tortelli
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