Da quando ho aperto questo blog più volte mi è venuta voglia di raccontare lo spazio nei quali nascono la stragrande maggioranza dei post che finora ho scritto. Perché raramente prendo appunti appena mi viene in mente qualcosa, o nel momento in cui ciò che mi circonda preme l'interruttore della mia mente portandola a creare. Sono un diesel, probabilmente, o più semplicemente preferisco essere tranquillo quando devo scrivere. Ed effettivamente se un foglio bianco si accinge ad accogliere l'inchiostro delle mie penne, probabilmente si trova disteso su una superficie riconducibile ad un luogo che potrei tranquillamente chiamare casa. Ma, come i migliori sogni notturni, i miei scritti prendono forma tra le mura della mia camera, nella quale porto le mie impressioni per poi riportarle sotto forma di parole.
Nel post precedente, al quale in parte è legato questo e che è stato il fiammifero che ha acceso l'irrefrenabile desiderio di scrivere ciò che seguirà, ho fatto riferimento ad elementi che qui trovano posto (i Dylan Dog, i cd), spiegandone anche alcune peculiarità, alcuni significati. Ma di cose in questa stanza ce ne sono parecchie, non è tutto riducibile a questi due elementi. Perché c'è una vita, qua dentro.
Ma non è soltanto dentro ai muri che è racchiusa la mia storia: i muri stessi ne raccontano una parte. La mia stanza è grande, tutt'altro che calda (ed anche per questo motivo, dopo anni passati a temperature non propriamente confortevoli, preferisco il freddo al caldo: anche perché il freddo lo si può affrontare, il caldo no, è un nemico pressoché invincibile), con un soffitto a volte piuttosto alto. Due anni fa decisi di renderla a mia immagine e somiglianza: le cinque volte hanno cinque colori dell'arcobaleno, riproposti poi su tre delle quattro pareti. Perché la restante, quella che veglia sulla mia testa quando vado a dormire, è nera, con sopra disegnato un triangolo nel quale entra un fascio bianco e dal quale esce l'arcobaleno. Un modo come un altro per dire che quando dormo c'è la copertina pitturata di Dark side of the moon a vegliare su di me. Decisi di dare quest'impronta floydiana alla camera mentre stavo facendo un puzzle, sempre dei Pink Floyd, che invece capeggia su una libreria che comprai e che poi montai, nella quale sono riposti i miei cd, i libri dell'università, gli spartiti ed i testi delle canzoni che ho studiato, scritto o cantato negli ultimi anni. Ci sono anche alcuni vinili di mia madre, tra i quali ho mischiato quelli che ho portato a casa io: alcuni ad implementare la sua raccolta, andando a riempire i vuoti lasciati nelle discografie di De André e dei Pink Floyd, altri invece sono i primi pezzi di nuovi percorsi (Folkstone, Metallica, Iron Maiden, Litfiba). Di alcuni vinili ho deciso di appendere le copertine: sono tutti dischi di artisti dei quali ho visto dei concerti, ed insieme ad essi è incorniciato anche il biglietto del rispettivo live, a testimoniare che c'ero, che l'ho vissuto. Alcuni cd invece arrivano da luoghi lontani nei quali sono stato: c'è chi compra dei souvenir o delle cartoline, io compro cd, non per forza legati alla città o alla nazione nei quali li ho comprati. Al legame tra l'oggetto ed il contesto in cui l'ho comprato ci penso io. E così ci sono dischi comprati a Bilbao, a Tolosa, a Strasburgo, a Taranto, a Firenze, e così via. Sempre tra quei titoli ci sono dei regali: di amici, di parenti, di ragazze, e regali che io ho fatto ai miei genitori, ma che per comodità trovano spazio in camera mia. La parete opposta a quella con il murale è colei che porta il peso di milioni di parole: i Dylan Dog, i libri che ho letto e che voglio leggere, i miei diari, i miei quaderni. Su di lei poggiano le mie due scrivanie, sulle quali trovano spazio il computer, il mixer, la pianola, le casse, e che spesso hanno accolto la mia testa stanca o disperata, quando la mia forza fisica o di volontà non era sufficiente per contrastare la forza di gravità. Accanto alle scrivanie, infine, trova posto il mio armadio, nel quale ripongo i miei vestiti e che al tempo stesso è vestito. Da ritagli di giornale, da locandine, da scalette, dai biglietti dei concerti e dei film visti al cinema (risalenti la maggior parte al periodo in cui stavo a Torino con una delle mie ragazze, estremamente appassionata di cinema), da fotografie, da biglietti di auguri, da sottobicchieri provenienti dalle birrerie che ho frequentato con le persone a me care. Infine c'è la parete rossa, anch'essa mio specchio oltre che il sostegno allo specchio. E' un rosso acceso, è il rosso della lotta, mentre il rosso dell'amore, quello purpureo, è quello delle tende che alterano la visione del mondo fuori dalla finestra.
Ci sono mille altre cose, che per brevità e per timore di annoiare non cito, ma ovviamente non mancano gli altri strumenti (la chitarra, la batteria elettronica, il microfono, i tin whistle, il bodhran, che però al momento è in prestito altrove), il quadro di Buddha che sin da piccolo mi ha affascinato, le fotografie in compagnia delle mie migliori amiche, una stampa raffigurante il sogno cubano. i vestiti che per ultimi hanno accompagnato la mia vita fuori da questa camera sparsi sulla poltrona o sugli altri mobili, i videogiochi. E soprattutto qui dentro ci sono tutte le persone che hanno portato qualcosa nella mia vita: alcuni libri dei miei nonni, la tessera del PCI del mio nonno paterno, una lampada fatta da mio zio, dischi e libri dei miei genitori, simboli degli amori passati e simboli di esperienze condivise con i miei più cari amici.
Ci sono io, in questa stanza, ma questa stanza è me, ed in me, se in questa stanza ci sono tutte queste persone, tutte queste parole, tutte queste idee, tutte queste note, probabilmente c'è tutto questo, ed anche di più.
C'è chi sostiene che è interessante guardare dalla finestra alla quale abitualmente si affaccia una persona perché da quel panorama si possono intuire molte cose di questa persona... ma guardare il contenuto della stanza di una persona lo è altrettanto, se non di più. Non ho particolari ricordi di molte case che ho visitato, ma delle camere delle persone ho molti flash, che valgono più di mille parole.
Dato che i Pink Floyd hanno rubato la scena al resto degli artisti qui presenti, e dato che Dark side of the moon la fa da padrone, credo sia scontata la mia scelta.. "Home, home again.. I like to be here when I can"
Stefano Tortelli
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