domenica 8 febbraio 2015

Fino all'ultima nota di vita - Andrea Parodi






Stasera ho deciso di farmi del male, influenzato anche da uno dei miei contatti di Facebook che ha deciso di votare questa serata ad Andrea Parodi, voce storica dei Tazenda e dell'orgoglio sardo. 

Fabrizio De André, parlando con Andrea della Sardegna, terra che l'aveva adottato e che per Parodi era la casa natia, sostenne che non erano stati loro a scegliere quella grande isola come propria terra, ma la Sardegna a scegliere di esserlo, di manifestarsi in ogni momento, di far sentire la propria presenza come se, oltre ad averla sotto ai piedi, la si avesse totalmente attorno, sentendola respirare, avvicinarsi accarezzandoli. Ed è un discorso che si può mutuare, che si può applicare a certe voci, a certe personalità della musica. La domanda che si suol usare per scoprire i gusti musicali di una persona è: "Che musica ascolti?"; ma forse ci sopravvalutiamo, forse releghiamo ad una dimensione razionale, e quindi delle scelte, quella che invece è una realtà propria dell'inconscio, delle emozioni, dell'irrazionale. E' la musica che si fa ascoltare, e sono certi artisti che decidono di far sì che si sia in grado di rimanerne affascinati. Questo lo si può notare quando di un artista ci si innamora dopo tanto, tanto tempo che già lo si conosce. Cosa è cambiato rispetto a prima? Cosa ha fatto sì che se fino ad un dato momento è stato per noi inascoltabile, o al più siamo stati nei suoi confronti indifferenti, tutto ad un tratto ci ha totalmente travolti, legando la nostra esistenza a doppio filo con quelle note, quelle parole, quelle voci? 

I Tazenda li incontrai per la prima volta con Bertoli nella sua famosissima Spunta la luna dal monte, e sì, non mi dispiaceva come canzone, ma non è che mi colpì particolarmente (lo stesso discorso lo posso fare per Ivan Graziani, che se prima quasi lo consideravo insopportabile, tutto ad un tratto è diventato uno dei cantautori a cui più sono legato): innanzi tutto non capivo cosa cantassero, ma anche il modo in cui cantavano la parte in sardo non mi lasciava nulla di particolare. Ecco, forse ho toccato il nocciolo della questione con quel verbo "lasciare", che va in un certo senso a confermare la mia ipotesi sul decidere chi è passivo e chi attivo nella musica. E' la musica, di fatto, che lascia a noi qualcosa, non siamo noi che lasciamo qualcosa a lei. E' Lei che si concede a noi, è Lei che ci dona delle emozioni: che sia perché la stiamo ascoltando, che sia perché la stiamo creando, che sia perché la stiamo dedicando, che sia perché la stiamo suonando o cantando. E probabilmente è Lei a decidere quando farlo.

Andrea Parodi ha dedicato la sua vita alla musica ed alla sua terra, ed implicitamente ha dedicato la sua vita a tutti quelli che si sono innamorati della sua persona, della sua arte e dell'uso che ha fatto di quest'ultima. Come disse nell'introduzione alla sua versione di Hotel Supramonte (in occasione di un Tributo a De André tenutosi a Cagliari) la sua arte è stata fortemente influenzata dalla Sardegna, e non l'ha fatto solamente nell'utilizzo della lingua sarda per dar un senso alla sua meravigliosa voce, ma anche cantandone le tradizioni, la lotta, la cultura, le canzoni tradizionali.

L'ha fatto giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Dal 1978, anno in cui è entrato a far parte della band Coro degli Angeli fino al 2006, anno della sua morte ha, prima in Sardegna e poi nell'Italia intera ed in Europa, fatto conoscere un popolo, una terra, una realtà troppo poco considerata e rispettata, massacrata da un cancro che risponde al nome di "profitto ad ogni costo", al nome di "capitalismo sfrenato", al nome di "fanculo le tradizioni, è il soldo che comanda". E quanto possono essere nella storia di una società millenaria come quella sarda sessant'anni, se paragonata alla vita di un uomo? Un anno!? 

Il cancro è una brutta bestia, e chi ha avuto parenti morti di questa malattia ben lo sa. Si nasconde subdolamente in un corpo apparentemente sano, sembra possa essere un disturbo da nulla, causato magari dalla nostra disattenzione, ma poi all'improvviso si manifesta, e se è maligno, se colpisce un organo complicato da curare non c'è cura che tenga. Qualche mese, massimo un anno e ti porta via, distruggendoti, sconvolgendo il tuo fisico, il tuo aspetto, e se manca una certa forza interiore anche la mente, la lucidità. Andrea è stato, anche in questo, come la sua terra. Fino all'ultimo, nonostante un cancro estremamente distruttivo che l'ha di fatto debilitato totalmente, facendolo sembrare un anziano quando invece era ancora nello splendore degli anni, lui è rimasto lucido, lui ha cercato di combattere, lui ha sperato di poter andare avanti. 

Quando per la prima volta vidi questo video piansi tutte le lacrime che avevo per tanto tempo tenuto dentro di me, e benché non rappresentò l'unico elemento responsabile di quell'enorme commozione in quel periodo, di certo fu la mano che aprì il rubinetto arrugginito dei miei occhi. Il concerto dedicato a De André che prima avevo citato è datato 2005, lui aveva ancora i suoi lunghissimi capelli appena tendenti al grigio ed una folta barba, stava per cantare la canzone che ha legato Faber alla Sardegna, e la stava per cantare per ricordare Faber stesso, che ai tempi ci aveva lasciato già da sei anni a causa di un tumore. L'ultimo concerto di Andrea Parodi invece è di un anno dopo: autunno 2006, un viso prosciugato e glabro, un corpo chiaramente sofferente, una testa sulla quale si intravedono pochi capelli che cercano di ricrescere dopo la chemioterapia. Quel che non cambia è la voce, quel che non cambia è l'utilizzo che ne fa: perché se il 20 luglio 2005 lui stava cantando omaggiando il passato, il 22 settembre del 2006 canta per il futuro, canta per la sua compagna di vita, canta per il sangue del suo sangue, canta per la sua terra e per il suo popolo. Dona la sua voce per l'ultima volta a chi e ciò che più ama. 

Salutando il pubblico, ben sapendo che la Morte sarebbe andato a trovarlo per portarlo altrove, non disse addio, ma arrivederci. E con sua moglie Valentina accanto a lui su quel palco che già aveva a lui donato quattro figli, urlò quello che per me è il più bell'inno alla vita che io abbia mai sentito: "Arrivederci!! Magari con un prossimo figlio"...

Il 17 ottobre dello stesso anno, nemmeno un mese dopo la sua ultima esibizione, Andrea è andato via, ma in quella sua ultima interpretazione di No potho reposare è rimasto, di fatto, immortale, poiché in quelle ultime parole cantate ha riassunto la sua vita, ha riassunto il suo essere Sardo, il suo essere musicista. Lui ha dato fino all'ultimo, ha emozionato fino all'ultimo, ha amato fino all'ultimo. Ha vissuto, fino all'ultimo. Ed ha lasciato tantissimo a tutti noi.

Grazie Andrea, ci sarebbe estremamente bisogno di milioni di Uomini come te...





Stefano Tortelli


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