giovedì 23 aprile 2015

Dante Di Nanni, un eroe immigrato






Difficilmente dimenticherò i racconti di mia nonna riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale, soprattutto dei due anni che seguirono l'armistizio dell'8 settembre del 1943, quando talvolta i conflitti tra fascisti ed anti-fascisti erano una scusa per sistemare questioni in sospeso tra vicini di casa e talvolta come l'amicizia, l'affetto e l'aver affrontato tante situazioni difficili insieme fino a quel fatidico giorno andavano oltre ogni differenza ideologica e politica. Mi raccontava di come, quando fu sfollata, partecipava alle staffette partigiane, di come mio nonno, che allora era camicia nera, aiutò il figlio dei vicini, partigiano, a nascondere i fucili (che si infilò nei pantaloni, rischiando lui stesso la vita) che il comando fascista voleva trovare per avere la prova inconfutabile che fosse un nemico del fascismo. Ma anche degli atti gratuiti di violenza compiuti da banditi che si spacciavano per partigiani, sia nei suoi confronti (da parte di un presunto partigiano che la mise al muro con mio zio, ancora in fasce, in braccio... questo partigiano venne poi ucciso dai suoi stessi compagni perché traditore) sia nei confronti di alcuni tedeschi che tutto erano tranne che i nazisti che si vedono in tv. E mia nonna, che nonostante avesse personalmente sofferto più a causa dei partigiani che a causa dei fascisti (benché lei stessa fosse un'ardente anti-fascista già da prima dell'Armistizio), mai si sognò di fare di tutta l'erba un fascio, di estendere il suo odio nei confronti di un singolo partigiano a tutti i partigiani, come mai appoggiò, solo perché moglie di un camerata che ingenuamente viveva nel mito del Duce, il fascismo senza sé e senza ma (ed anzi venne malmenata durante una parata perché si rifiutò di fare il saluto fascista). Stiamo parlando di una donna di altri tempi, di una persona che già di per sé era speciale ma che, probabilmente, faceva anche parte di una generazione capace di discernere il bene dal male al di là del buono e del cattivo di turno. Del resto lei, quando ebbe mio zio nel '44, aveva appena 19 anni, mio nonno 18, e fu proprio a quella generazione che venne dato il compito di "sporcarsi le mani" per ricostruire un'Italia devastata dalla guerra. 

Vivevano in centro all'epoca della guerra, e non molto distante da dove lei ha vissuto quel capitolo della sua storia si stava consumando l'ennesima perdita illustre di un grande eroe della resistenza torinese, suo coetaneo, che morì due giorni prima del diciannovesimo compleanno di mia nonna. Era il 18 maggio, i genitori di Dante Di Nanni erano arrivati a Torino per lavorare dalla Puglia, lui a Torino lavorò studiando la sera, finché durante la seconda guerra mondiale non venne arruolato. Il giorno dell'Armistizio, come tanti soldati che avevano fino a quel giorno combattuto per il Duce ed il Re, scappò dalla caserma e raggiunse i primi partigiani, cominciando ad organizzare la Resistenza, cercando di creare un piano per piegare la dominazione nazi-fascista nel Piemonte. Era scappato a Boves, località non molto lontana da Cuneo, ma presto sarebbe tornato a Torino per lasciare il suo nome alla storia e le sue gesta in nome della nostra libertà. Il 17 maggio del 1944, con i suoi compagni di brigata, attaccò una stazione radio che creava interferenze sulle frequenze di Radio Londra: dovevano eliminarle per permettere alle comunicazioni di riprendere, per far sì che il coordinamento dei partigiani potesse nuovamente sussistere. Distrussero la stazione, risparmiarono la milizia di presidio facendosi promettere che non avrebbero denunciato l'attacco, ma vennero traditi. Presto ebbero i nazi-fascisti alle costole, presto vennero tutti feriti, alcuni catturati. Rimasero in due: Pesce e Di Nanni, quest'ultimo gravemente ferito ed accompagnato dall'amico in una via di Borgo S. Paolo, via San Bernardino, perché potesse essere medicato. Mentre Pesce cercava aiuto per far sì che l'amico potesse raggiungere l'ospedale trovò la sua casa circondata dal nemico, e ben presto anche l'alloggio dove si trovava Di Nanni fu preso d'assedio dalle truppe nazi-fasciste. 

Non so cosa scattò in Di Nanni in quel momento, ma credo che il suo atto sia uno dei più eroici che si possano immaginare: perché lui, già morente, sarebbe ormai morto in ogni caso, e che fosse per le ferite precedenti o per le ferite alle quali si era esposto poco sarebbe cambiato; perché lui la libertà per la quale stava dando la vita non l'avrebbe mai minimamente assaporata; perché, nonostante ciò, si armò di fucile, dinamite e bombe a mano e resistette all'assedio per quattro lunghe ore, uccidendo diversi miliziani e sabotando grazie ai suoi ordigni alcuni veicoli tedeschi. E, quando ormai era allo stremo delle forze e non più in grado di combattere, piuttosto che lasciare che fosse il nemico a prendere la sua vita decise di buttarsi, cadere nel vuoto, lanciandosi dal balcone al grido di "Viva il partito comunista".

Si suicidò, e con tutte le armi che aveva a sua disposizione poteva scegliere anche altri modi per porre fine alla sua eroica agonia. Ma voglio pensare che si sia lanciato dal balcone per versare il suo nobile sangue sulle strade lastricate della città che aveva accolto la sua famiglia, alla quale aveva dato lavoro, e che Dante aveva istruito, e poi avvicinato all'ideologia socialista. 

In Borgo San Paolo, da decenni ormai, una delle vie più belle del quartiere è a lui dedicata e si trova a poche decine di metri dalla casa di Via San Bernardino nella quale è nata la sua eroica storia. La storia di un figlio di una terra allora lontana come poteva essere la Puglia durante il ventennio fascista, la storia di un ragazzo che a Torino ha conosciuto il lavoro, la cultura, le idee, un ragazzo che prima in fabbrica e poi, di nascosto, sotto le armi ha maturato la sua decisione di dare una svolta a questo Paese appena si fosse presentata l'occasione di farlo, senza posticipare, senza tirarsi indietro, senza mollare nemmeno un centimetro. E non ha mollato nemmeno quando sapeva che ormai era finita, ha sparato ogni singola cartuccia urlante libertà fino a che ha avuto sufficiente sangue nelle sue vene per poter premere il grilletto, non dando nemmeno la soddisfazione ai suoi aspiranti carnefici di poter dire che l'avevano ucciso loro. Un eroe di altri tempi, un uomo di altri tempi, dello stesso anno di mia nonna, con gli stessi sogni di mia nonna. Lui è stato uno dei molti che ha messo i semi per far diventare realtà i sogni, mia nonna è stata una delle molte che ha fatto in modo che a questi semi non mancasse nulla. 

A lui è stata dedicata anche una canzone meravigliosa degli Stormy Six, ripresa da diversi artisti ma che, nella sua versione originale, soprattutto se ascoltata nel contesto dell'album dal quale è estratta (Un biglietto del tram, che non fatico a definire uno dei più grandi album riguardanti non solo la Resistenza ma l'intero periodo '42-'45, da Stalingrado all'arrivo degli Americani passando per Dante Di Nanni, gli scioperi di Torino e le persecuzioni degli ebrei), rappresenta un tributo emozionante e meraviglioso ad uno dei più grandi eroi di Torino, della Resistenza e dell'Italia intera.



Stefano Tortelli



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