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domenica 24 maggio 2015

L'amore a quattro zampe... e due angeliche ali




Quando scrissi le righe che più avanti riporterò c'erano molte differenze rispetto ad ora, era passato meno tempo, non c'era Thor ed il grande amore ed il ricordo che avevo di Duca era ancora intatto, intero e non era stato mai messo alla prova: prima di Thor era stato l'ultimo cane che ho avuto, con lui son cresciuto per tredici anni, l'ho sostanzialmente visto nascere e tredici anni dopo, con le lacrime agli occhi, l'ho seppellito, dandogli l'ultimo saluto, sentendo per l'ultima volta la sua pelle, il suo calore, il suo peso, che però stavolta non mi sbilanciava sulle gambe, quando a peso morto si appoggiava a me per poi cadere e prendersi le coccole... Era l'ultimo saluto, e dopo due anni e mezzo scrissi le righe che seguono, ripensando alla sera prima che morisse:

"Non dimenticherò mai il suo sguardo la notte prima che lasciasse questo mondo. 
Era lì, sdraiato sul pavimento della cucina, ansimante e consapevole che il momento di partire per quella sua ultima corsa era ormai prossimo: un ultimo alternarsi nel cielo della Luna e del Sole, ed il viaggio sarebbe cominciato. 
Mi fissava con quei suoi occhi scuri, enormi, pieni di tristezza, rassegnazione, ma anche di liberazione. I suoi occhi come i miei lasciavano fluire le lacrime dagli angoli delle orbite, e mi piaceva credere che anche lui stesse ripercorrendo nella mente i tredici anni vissuti insieme: le corse nel giardino, il suo rifugiarsi in camera mia durante i temporali, le tante guerre con la gatta ed i piatti di latte passati sottobanco… e tante, tante altre cose. 
Mi ha visto crescere, portare a casa prima amici e poi ragazze, tutti terrorizzati al primo approccio dalla sua irruenza, da quel suo gran vocione che tanto manca nelle silenziose notti di questa piccola frazione dispersa nel nulla. 
Sapeva farsi notare, sì con l’irruenza e con il riecheggiare del suo “parlare”, ma anche con la sua bellezza: il suo manto fatto di chiaro-scuri luccicava ai raggi del sole, il suo passo era degno della fierezza dei suoi antenati di montagna, il suo viso era perfettamente simmetrico, con quel piccolo neo sotto l’occhio destro, un po’ come le dive di Hollywood. Il più bell’esemplare della sua razza che io, insieme a tante altre persone, abbia mai visto. 
Nel nostro giocare siamo quasi sempre stati leali, nonostante a volte siamo arrivati a farci del male, eppure ci siamo sempre perdonati, ritrovati, come due amici che nonostante tutto continuano a volersi bene, ad affrontare ogni giorno insieme, perché consapevoli di non poter trovare miglior compagno di avventura. E penso a volte di poter rivivere certe cose con i suoi simili guardandoli giocare con chi ha la fortuna di averli accanto, eppure so che non potrà mai esserci un rapporto del genere, perché lui era speciale, lui dopo poche settimane dalla sua nascita già mi seguiva per il giardino, curioso, voglioso di assaporare il mondo, di scoprire cosa c’era oltre la casa di sua mamma. Ed è per questo che fra cinque ho scelto lui, per il suo assomigliarmi, per il suo desiderio di novità. 
E poi lui ancora è con me; perché se anche di notte non lo posso più sentire abbaiare a qualche gatto, lo posso vedere nei sogni, dove spesso scodinzolando viene a trovarmi per poter condividere ancora qualche momento insieme, in un universo parallelo dove le persone, gli animali, i luoghi e le cose che ci hanno segnato non muoiono mai."

Dopo un anno e mezzo, che tra l'altro è più o meno lo stesso periodo di tempo che mi vede ora in compagnia di Thor, il discorso non è cambiato, ed anzi si è rafforzato, e non per demeriti di Thor ma perché finalmente ho potuto mettere alla prova i ricordi, le emozioni, l'amore per Duca, che è rimasto imperturbato, intatto, limpido e luminoso, e questa presa di coscienza si è fatta via via più chiara mese dopo mese, che ha portato al migliorarsi del rapporto tra Thor e me, che all'inizio era conflittuale ma che da luglio in poi ha preso una bellissima piega e che nelle ultime settimane lo porta a dormire ai piedi del mio letto, o meglio a vegliare sui miei sogni. 

Il 21 maggio era il quarto anniversario della morte di Duca, e proprio quella notte Duca, per l'ennesima volta, ha voluto manifestarsi, è voluto venirmi a trovare in sogno, e l'ha fatto nel modo più bello, ripetendo ciò che tante volte ha fatto in vita: nel sogno ero a letto (e questo contribuì a farmelo sembrare reale), probabilmente era mattina, avevo in mano qualcosa da mangiare, Duca era accanto a me, seduto e scodinzolante, che mi guardava e pretendeva un boccone; io alzai ciò che avevo in mano, mi spostai sul letto, e lui salì, per prenderlo, per sì mangiare ciò che avevo in mano ma soprattutto per giocare, per farsi fare e fare le coccole. Un'altra volta ancora, come quando eravamo entrambi cuccioli, come quando io mi stavo affacciando all'età adulta e lui stava lentamente andando verso la vecchiaia. Come quell'ultima notte, quando mai avrei voluto andare a dormire lontano da lui, quando avrei preferito dormire con la mia testa sul suo corpo, fregandomene del fatto che fosse sporco e maleodorante a causa della malattia che lo stava distruggendo. 

Quando scrivo di Duca, quando parlo di Duca, non possono che brillarmi gli occhi, non può che chiudermisi la gola... ma nel brillare dei miei occhi c'è lui, e c'è con una limpidezza sempre più intensa, proprio perché questi miei stessi occhi hanno modo di vedere nella realtà un degno suo erede come Thor, per il quale il mio amore è forte, anche e soprattutto perché ha saputo aspettarmi, anche e soprattutto perché è conscio dell'eredità che ha raccolto. E nonostante questo non ha paura di mettersi in gioco, come non ho paura io di dimenticare... perché dimenticare è impossibile già di suo, dimenticare Duca è nemmeno immaginabile.

Una persona un giorno mi disse che il paradiso degli animali è oltre il ponte dell'arcobaleno, ed è lì che i padroni ed i loro compagni a quattro zampe si ritroveranno... forse è per questo che Duca aveva paura dei temporali, gli piaceva così tanto stare qui che nemmeno voleva vederlo, un arcobaleno. E, pur di essere sicuro di non scorgerlo neppure con la coda dell'occhio, si andava a rifugiare negli angoli più bui della casa, solitamente sotto, da mio zio... Ed ogni volta che vado nel corridoio che porta alla camera dove Duca si rintanava inconsciamente penso di poterlo vedere da un momento all'altro. Ed è proprio quando mi rendo conto che non può essere così mi rendo conto che lui c'è, che è rimasto. E non oltre il ponte dell'arcobaleno, ma qui, con me in me. 

Succede sempre. Ogni volta.




Stefano Tortelli

domenica 19 aprile 2015

Acousteen: artista, fan, devoto al Boss fino al midollo... e grande amico





Nella tarda mattinata di venerdì 10 aprile, mentre mi stavo preparando per pranzare e poi andare a scuola ad insegnare, mi è arrivato un messaggio su Facebook che più o meno recava queste parole: "Ehilà, carissimo! Stavo pensando: ma se stasera provassimo a fare un duetto su Desolation Row/Via della povertà, così, alla buona? Tu canti De André, io Bob, tre strofe a testa, la si improvvisa, così, su due piedi." Un bel modo per cominciare la giornata, un bel modo per prepararmi ad una serata che mi incuriosiva parecchio. Ivan, un carissimo mio amico, l'autore di quel messaggio, avrebbe suonato da solo, con le sue chitarre e le sue armoniche, in piazza a Vigone, davanti ai suoi amici, ai suoi conoscenti, ai suoi familiari, le canzoni di uno dei suoi miti. Facendole, come si suol dire qui in Piemonte, "alla sua maniera", in acustico.

Il mito in questione risponde al nome di Bruce Springsteen, un artista che per molto tempo Ivan aveva sì apprezzato ma mai particolarmente approfondito: un po' come una persona che incroci tante volte in giro, o in birreria, con la quale capita anche di scambiare due parole ma senza andare oltre a discorsi che possono anche essere seri ma mai personali. Poi però è cambiato qualcosa: Ivan andò per la prima volta a sentire un concerto del Boss e ne rimase folgorato, rapito, colpito. Bruce l'aveva fatto innamorare, era finalmente entrato nel profondo, aveva scosso le sue emozioni, la sua mente, il suo cuore. Fu la sua via di Damasco, quel concerto, e da allora ha sempre più approfondito la conoscenza del rocker del New Jersey, andando a sentirlo più volte possibile live, studiandoselo a casa con in mano la chitarra e lo stereo a palla, parlandone per ore con le sue ragazze, i suoi amici, me. 

Una sera, mentre eravamo all'Orso, quello che è il rifugio di noi amanti di campagna della birra e della buona musica, non ricordo come cominciammo a parlare dell'interpretazione, delle cover, del provare a cantare un artista e "come un artista". Ricordo che entrambi sottolineavamo la difficoltà oggettiva nel riuscire a cantare come Dylan, come De André, come Guccini, come Springsteen: avevamo del resto lo stesso sogno, lui ed io, un sogno mosso dalla stessa passione, anche se rivolto a due artisti differenti. Lui avrebbe tanto voluto fare un one man show riproponendo Dylan, io avrei voluto dar vita ad una cover band acustica di De André e Guccini. Già però in lui aleggiava l'idea di cambiare meta e dirigersi verso Springsteen, ma per l'appunto mi sottolineava come fosse difficile, impossibile, riprenderlo, riproporlo tale e quale. Voce bastarda, quella di Springsteen, e del resto vale la stessa cosa anche per gli altri tre citati, vale la stessa cosa per un altro mito come Cohen, e perciò era quasi convinto che non avrebbe perseguito ancora per molto quel sogno. Ma dopo qualche birra ed un'ora di chiacchiere pensai al mio rapporto con De André e Guccini, pensai a come io abbia cominciato a cantarli bene quando ho preso coscienza del fatto che non avrei mai potuto ottenere il loro stesso risultato ma che, facendomi muovere dalle loro stesse motivazioni, sarei riuscito a renderli al meglio: non avrei più cantato i pezzi di De André e Guccini come De André e Guccini, avrei semplicemente cantato De André e Guccini. Mi ricordo che gli dissi: "Se vuoi cantare come Bruce parti già sconfitto, non perché non ne sei in grado ma perché, comunque vada, già solo perché avete due voci diverse, due accenti diversi, il risultato non potrà mai essere quello. Ma se lo canti, se vuoi cantare Bruce, se vuoi emozionare attraverso le sue canzoni, allora è sufficiente che tu percepisca le sue canzoni come se fossero tue. come se le avessi scritte tu, come se stessero raccontando la tua storia. Perché non c'è altro verso: io finché ad alcune canzoni non ho dato una situazione di riferimento, un volto, un'emozione che le rappresentasse non sono mai riuscito a cantarle davvero. Le imitavo, ma non cantavo" .

Dopo qualche settimana ci ritrovammo a condividere molte serate insieme, in giro a sentire concerti, a bere, a confidarci, a far notte fonda. E talvolta anche a suonare, a buttare giù qualche idea: perché così funziona tra amici, così capita tra amici che oltre essere amici condividono anche le stesse passioni, e le vivono nello stesso modo. E così, tra un concerto e l'altro, una birra e l'altra, un apprezzamento ad una ragazza e le risate per l'ennesima cazzata detta, è venuta a crearsi una fortissima amicizia: in nome sì della musica, ma soprattutto in nome dei bellissimi momenti passati insieme e della stima reciproca. 

Da quella serata di inizio ottobre son passati sei mesi, tante birre, miriadi di cazzate e centinaia di canzoni canticchiate, ascoltate e suonate insieme. Ed intanto, lui che oltre a saper cantare sa anche suonare divinamente, ha continuato il suo percorso riguardante il Boss. Un concerto a marzo a Torino, uno meno di dieci giorni fa a Vigone. Suona anche alcuni pezzi del suo primo amore, Bob Dylan, durante il suo show, quando per due ore smette di essere Ivan Audero e diventa Acousteen. Ed a Vigone, quel venerdì 10 aprile, alla sera, ci siamo ritrovati un'altra volta con lo sguardo rivolto verso la stessa direzione, che incontrava altri sguardi fissi su di noi, pronti a guardare due amici che, per qualche minuto, mettono in gioco le loro emozioni sullo stesso pezzo, in due lingue diverse, così come fecero al loro tempo Bob Dylan negli Stati Uniti e De André in Italia. Ma mai era successo che lo facessero insieme, sullo stesso palco. Noi un palco vero e proprio non ce l'avevamo, ma le passioni di Bob e Faber abbiamo provato a riproporle al meglio in un paesino della provincia torinese. 


Ed oltre alla felicità di aver finalmente cantato De André davanti ad altre persone, durante un concerto, per la prima volta, quel venerdì sera ero estremamente orgoglioso. Non di me, ma di questo mio amico che attraverso la sua immensa passione e devozione per l'arte di Springsteen ha saputo riproporlo meravigliosamente, emozionandosi ed emozionando. Senza scimmiottare, senza pretendere di essere come Springsteen. Semplicemente, omaggiandolo al massimo delle sue possibilità, mantenendo la propria identità, raccontando sì la storia delle canzoni ma anche quel che quelle canzoni rappresentano per lui: il pensiero per suo padre legato a My hometown, sua nonna che gli chiede di fare quel pezzo che le piace tanto, i cenni riguardanti donne del passato e gli amici di sempre. Insomma, si è raccontato per due ore attraverso le canzoni del Boss, che però, se noi non avessimo saputo che erano del Boss, avremmo tranquillamente potuto dire: "Wow, gran bei pezzi ha scritto Ivan, boia faus!!". 

Questo è Ivan Audero. Queste sono le sue passioni. Questo è il progetto Acousteen. Questo è il mio amico.

Ps: forse direttamente non ti ho ancora ringraziato per avermi permesso di esserci, e non solo venerdì ma da qualche anno a questa parte e, soprattutto, in questi ultimi mesi. Grazie, Ivan! Ed ora basta con i sentimentalismi, mettiamo su un pezzo che sennò ci scende la lacrimuccia e non si addice a due uomini rozzi come noi! E visto che l'ho citata, e visto che nella tua "hometown" ci siamo conosciuti, direi che questa canzone ci sta tutta.





Stefano Tortelli