lunedì 4 maggio 2015

Undercover: Reinterpretazioni d'autore

Metallica - Garage, inc. (1998)






Chiunque abbia imparato a suonare o abbia avuto il talento di cantare ha mosso i suoi primi passi con il microfono o lo strumento in mano eseguendo brani non originali, già scritti, già, suonati, già cantati. Come in qualsiasi arte bisogna cominciare partendo da qualcosa che già esiste, per poi eventualmente discostarsene, dando vita a qualcosa di proprio, dandogli poi il proprio marchio di fabbrica, inconfondibile, subito riconoscibile. Una propria firma, che sia nel modo di suonare, di cantare, di scrivere, di dipingere. Ciò vale per tutti, da chi stenta a sbarcare il lunario, oppresso dalle leggi di mercato e dal poco rispetto che c'è nei confronti delle band emergenti ed in generale nei confronti dei giovani musicisti, a chi ha fatto fior di milioni, riempiendo le arene e gli stadi di mezzo mondo, vendendo milioni di dischi, facendo emozionare milioni di fan. 

Eppure verso le cover c'è sempre un astio enorme, come se rappresentassero una mancanza di rispetto, un voler essere come l'artista che in origine ha scritto il brano, come se fossero solo delle esecuzioni, dei compitini, che nulla trasmettono se non la capacità o meno di poter fare un dato pezzo. A parte che il riuscire, ad esempio, a rifare una canzone dei Queen, tanto per citare un gruppo, è cosa da pochi, perché è necessario un cantante che abbia già solo il coraggio di cimentarsi in un compito così arduo, ma poi credo che sia molto superficiale ed estremamente irrispettoso verso chi fa le cover sostenere che sia semplicemente un riproporre qualcosa che è stato fatto da altri. Innanzi tutto bisogna, secondo me, considerare le cover come degli omaggi che vengono tributati da chi ripropone il brano a chi l'ha inciso per primo: un atto d'amore, di riconoscimento, di affetto, di stima. Certo, forse questo non vale per chi ha la classica scaletta rock anni '70-'80 con i soliti venti pezzi triti e ritriti ma giusti per far divertire per due ore la gente e non sbattersi più di tanto ad impararli e suonarli, ma, almeno per come vivo io il fare cover e come lo vedo in chi ci mette l'anima, il discorso precedente è probabilmente il caposaldo di chiunque scelga di eseguire un certo pezzo. Inoltre non bisogna sottovalutare la capacità di metterci qualcosa di proprio, di arricchirlo, di modificarlo, rendendolo, sebbene in piccola parte, qualcosa di personale: a volte bastano le emozioni che accompagnano il momento in cui lo si suona o lo si canta per renderlo diverso, per sentirlo proprio, eseguirlo e farlo ascoltare facendolo quasi considerare a chi lo riceve qualcosa che poteva benissimo essere autentico, inedito. 

Queste considerazioni spesso mi accompagnano quando vado a sentire un gruppo cover, oppure ascolto un album di qualche artista che ha deciso di tributare i propri idoli, o semplicemente una singola reinterpretazione, o traduzione, che null'altro fine ha se non essere proposta, a volte quasi per compiacere se stessi che l'ascoltatore. Anche perché ormai troppo spesso si reputa come un qualsivoglia prodotto ogni canzone che viene registrata, come se l'unico suo scopo fosse quella di far avere soldi a chi l'ha incisa, martoriando sostanzialmente ciò che è la vera funzione dell'arte, ovvero l'esprimersi creando, e creare lo si può fare anche rimodellando a proprio piacimento qualcosa che già esiste. Quando ancora, ad esempio, erano in voga i 45 giri, band come i Metallica o gli Iron Maiden registravano delle cover da inserire come B-Side, talvolta registrate live o comunque in modo molto approssimativo: facevano da contorno, non avevano alcuna pretesa, se non quella di essere attraverso la cover, essere in modo diverso rispetto all'A-Side, al singolo, alla propria creazione totalmente inedita. E vorrei soffermarmi sui Metallica, perché in questa particolare forma d'arte sono senza dubbio dei maestri: in un periodo non propriamente felice della loro lunga carriera hanno deciso di riprendere tutto il vecchio materiale cover pubblicato come b-side negli anni passati, registrarlo nuovamente, aggiustandolo e migliorandolo, ed inserendo alcune nuove cover appositamente scelte per la pubblicazione di un doppio album, il Garage, inc. Ebbene, delle ventisette canzoni che qui sono contenute non ce n'è una che non sia migliore dell'originale, non ce n'è una che si possa considerare come un riempitivo, non ce n'è una in cui non si percepisce la loro inconfondibile impronta, la passione che ci hanno messo a farla, il piacere nel tributare una volta i Motorhead, un'altra i Queen, un'altra ancora i Lynyrd Skynyrd. 

E queste sono un po' le cose che avevo voluto sottolineare quando scrissi riguardo il mio amico Ivan ed il suo progetto dedicato a Bruce Springsteen, sono le cose che dico di me quando mi ritrovo a cantare i miei idoli. E probabilmente sono le stesse cose che passano per la testa a chi reinterpreta in un tributo De André. E De André, in tutta la sua genialità, si è anche lui ritrovato a reinterpretare, previa traduzione, canzoni di altri: Cohen, Brassens, Dylan, il tutto grazie anche all'aiuto di quella meravigliosa donna che rispondeva al nome di Fernanda Pivano (ed alla quale prossimamente dedicherò un post del blog). La traduzione di un brano porta ovviamente ad una sua reinterpretazione, ad un aggiustamento della sua metrica, e la grandezza qui sta nel riuscire a rendere quasi intatto il messaggio originale, senza stravolgerlo, senza sgonfiarlo, ma nemmeno arricchendolo, sempre che non si voglia semplicemente adottare la musica (un po' come capitava a volte negli anni '60, quando i gruppi beat italiani portavano in Italia i successi anglo-americani cambiandone totalmente il testo). Ma in ogni caso ci va coraggio, che si sia degli artisti affermati o dei ragazzi a cui semplicemente piace emozionarsi ed emozionare cantando e suonando qualcosa che sentono come proprio anche se proprio non è. 

Quando ancora usavo Spotify avevo creato una playlist con centinaia di cover, e spesso passavo le ore a sentire l'originale e poi la reinterpretazione dell'artista di turno, con lo scopo non tanto di paragonarle dal punto di vista tecnico, ma cercando di carpire le emozioni di chi stava riproponendo il brano e analizzando anche le mie, di emozioni. E' difficile scegliere una canzone in particolare da considerare la portabandiera della mia tesi, ma visto che questa è forse una delle prime cover che io abbia mai sentito, eseguite tra l'altro da un altro grande gruppo che ha segnato parte della mia vita, opterò per questa. In questo caso, stiamo parlando di Sympathy for the devil dei Guns n' Roses che, in origine, era dei Rolling Stones: è sempre stato difficile capire quale fosse la più bella, e per cui mi son dovuto trovare nella "spiacevole" situazione di amarle tutte e due. Certo, il fatto che la versione dei Guns sia stata registrata per il film "Intervista col vampiro" la rende una chicca ed un collegamento ipertestuale meraviglioso, ma quella degli Stones è la mia canzone preferita del gruppo di Jagger, per cui....



Stefano Tortelli

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