sabato 10 gennaio 2015

"E un sollievo di lacrime a invadere gli occhi, e dagli occhi... cadere"




Era un freddo gennaio di sedici anni fa quando hai raggiunto i verdi pascoli. Martedì undici gennaio millenovecentonovantanove. Ero piccolo ed avevo le lacrime agli occhi, già allora. Ti sto ascoltando ed ho le lacrime agli occhi ora. Come le avevo ieri sera. Come le ho ogni volta che penso, che scrivo, che parlo della tua morte. Girano parecchio le palle, sai? Anche perché tu sei stato il primo ad andartene, e già sei stato la lacuna peggiore che si potesse venire a creare nel panorama culturale italiano, ma poi a cadere sono stati Gaber e Bertoli, Fossati e Guccini si sono ritirati, De Gregori si è perso e non sa tornare. Girano parecchio le palle, assolutamente. E mi chiedo perché ancora ora la tua mancanza è così forte, e girano le palle anche per questo. 
Ad ora non c'è nessuno che vale te ed i primi quattro che ho citato, siamo in mezzo ad una strada Fabrizio, siamo in un pozzo di piscio e cemento, e difficilmente ne verremo fuori. E quindi manchi ancora di più. Manchi ed allo stesso tempo mi chiedo: servirebbe un Fabrizio De André oggi? Ed in che veste? Servirebbe sui palchi o servirebbe come profeta, come guida, come politico? Certo, tu il politico non lo avresti fatto. Ma per tanti tu sei un profeta, ancora ora. Il problema è che ci sono praticanti e praticanti, ed a guardarmi attorno, di gente che veramente ti ha capito, ce n'è davvero poca. Non basta avere tutti i tuoi cd, aver visto documentari su documentari, ascoltare tuo figlio. Non basta. E nemmeno cantarti e suonarti è sufficiente, e si capisce al volo, soprattutto in questo senso, chi è sul serio con te e chi solo per gioco: lo si sente dalle corde, dalle voci, dagli sguardi. E probabilmente anche io non ti ho capito fino in fondo, non lo so, non sono io a doverlo dire, non sono io a dover portare avanti questa istanza. 
Posso però dire che mi ci ritrovo spesso nelle tue parole, nel tuo modo di porti, nei tuoi pensieri, nel tuo interpretare i testi delle canzoni. Ed interpretare non nel senso di spiegarli. I testi non vanno spiegati, i testi vanno capiti, altrimenti perdono il loro senso poetico, la loro valenza evocativa. Ma c'è una cosa che sempre mi sorprende, e che soltanto in te vedo di me: io mi ritrovo nei tuoi occhi, nei tuoi sorrisi, nelle tue espressioni. Mi ci ritrovo totalmente, e per quanto possa adorare altri artisti non c'è nessuno che mi fa sentire un tutt'uno con lui quanto mi succede con te. Del resto non è un caso che io abbia dedicato a te questo blog, abbia usato i titoli dei tuoi album come etichette per ciò che scrivo, abbia fatto mia Il suonatore Jones. Non è un caso che le tue siano le prime parole che mi vengono in mente se devo parlare di amore, di morte, di religione, di vita, di lotta. E probabilmente non sei stato il migliore a parlarci di questi argomenti, almeno in termini oggettivi. Ma sei quello che più lo ha fatto come io lo farei, se ne fossi in grado, se sapessi scrivere canzoni, se sapessi scrivere poesie. 
C'è di buono che tutto quello che hai lasciato è immortale, e fidati, la tua paura di non essere ricordato è la cosa più sciocca che potessi provare, è il timore più assurdo che potessi avere: non ti dimentichiamo, Fabrizio, non ne siamo in grado. Io non ti dimentico, non ne sono in grado. Non posso fare a meno di te. Ed anche se a volte ti lascio in disparte, dedicandomi ad altri poeti, ad altri musici, ad altre voci, da te torno, da te torno sempre. Di passanti ce ne sono parecchi, di amanti anche, di altri che prima di te sono arrivati al mio cuore pure. Ma tu, tu hai saputo catturarmi in tutto e per tutto, e solo tu sai darmi ciò che inutilmente potrei mettermi a cercare altrove. 
E m'innamoro di tutto, Faber, perché come te sono curioso, sono molto più curioso di tanti altri. Ma il mio amore artistico sei tu. E come tutti sei imperfetto, come me eri iroso, instabile, apparentemente incoerente. Ma c'è una tua frase in cui mi rispecchio, ed in cui probabilmente anche tu ti ritrovavi, ed entrambi, se è come dico io, con un pizzico di presunzione, con un'eccessiva autostima: "lui disse mi basta, mi basta che sia più profondo di me". Altro che la fossa delle Marianne, Fabrizio. Altro che l'immensità dello spazio. Profondo come te, Fabrizio, non c'è nulla.

Sto per chiudere, e il fato vuole che ad accompagnare queste mie ultime parole siano le tue radici. E' cominciata Creuza de ma, la forza che ha stappato definitivamente la bottiglia che conteneva le mie lacrime cinque anni fa, quella domenica che come quella che tra quattro ore comincerà era l'11 del primo mese, ed a chiudere il tributo a te dedicato per il decimo anniversario della tua morte c'erano due tuoi compagni di strada: tuo figlio, l'Oceano, e Pagani, il grande maestro. E quando le immagini ancora erano sfocate, prima che lo diventassero per il pianto, tuo figlio era tale e quale a te. E quando vidi chiaramente, quando lo stupore nei miei occhi si tramutò in pianto perché no, non eri tu, non era il mio sogno che stava divenendo realtà, allora sì che mi sono reso conto di quanto tu sia unico, irripetibile, inestimabile, insostituibile.

Grazie Fabrizio, grazie per avermi reso quello che sono, grazie per avermi dato la forza, grazie per avermi prestato le tue parole, più di una volta, per riuscire a dire quello che la mia mente non sapeva mettere insieme. 
Grazie. "La vita senza la musica sarebbe un errore", diceva Nietzsche. Ma la vita senza la tua musica sarebbe un peccato capitale. 

Non so proprio che canzone scegliere... dovrei metterle tutte... ma metterò quella che più ti rappresenta, quella che in sé raccoglie le tue radici, che ancora si manifestano con nuovi germogli.. tra i ciottoli di una mulattiera...



Stefano Tortelli


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