martedì 6 gennaio 2015

Vagiti di Lotta e guaiti di fascismo - Il G8 di Genova visto da un undicenne




Qualche sera fa mi sono messo a lavorare ad un video per una canzone dei miei amici Del Sangre, con la speranza che li possa aiutare a preparare il terreno all'uscita del loro nuovo album, a riportare in auge il loro nome, a farlo conoscere a chi ancora non ne ha mai sentito parlare, ma soprattutto non li hai mai sentiti suonare. Il video che ho creato è una semplice slideshow accompagnata dal testo della canzone, che ha come ospiti i Fratelli Severini, spina dorsale dei Gang, e Marco Mezzetti. E la scelta della canzone, in primis, è stata fatta proprio per questo: i Gang sono da sempre i primi promotori dei loro amici musicisti, soprattutto quando la musica che i loro amici propongono è vicina alla loro, per sonorità e tematiche, e per cui rendere di pubblico dominio una loro collaborazione ha anche lo scopo di far conoscere agli amanti della combat rock band marchigiana i loro fratelli di pentagramma fiorentini. 
La canzone in questione si intitola Genova, e non a caso. Parla dei fatti del G8 di ormai quattordici anni fa, parla di ciò che è stato quel summit tra i Potenti della Terra, parla di ciò che è successo per le strade della città, nelle scuole della città, nelle caserme della città. E se ci pensate bene noi questo sappiamo, conosciamo quello che teoricamente dovrebbe essere il "contorno"; di quello che si sono detti gli otto padroni in pochi lo sanno, quasi nessuno se lo ricorda. Io mi ricordo quei giorni a Genova, ed in particolare mi ricordo un dibattito che si tenne la sera del 20 luglio, il giorno in cui è stato ucciso Carlo Giuliani. E potrei glissare su questa faccenda, sulla sua morte, ma non lo faccio, consapevole che la mia voce sarà contro corrente, ma forse può servire a far capire come sono stati bravi i mass media e chi li controlla a ridurre tutto a quel fatto. Nelle vie adiacenti a Piazza Alimonda furono due a sbagliare, uno dei due più dell'altro, e benché la mia fede politica sia ben chiara a tutti non ho alcun problema ad asserire che chi ha commesso l'errore più grave, e tristemente si è trovato a pagarlo al prezzo più caro, è stato proprio Carlo Giuliani. Perché è un fatto, e sicuramente anche io avrei agito come quelli che si trovavano in quel momento sulla camionetta. Se una persona arrivasse, mentre sono in automobile, con qualcosa in grado di uccidermi e lo scagliasse violentemente contro il mio finestrino per uccidermi o comunque farmi del male ed io avessi a disposizione un'arma per difendere me e chi è con me, beh, sparerei. Non ci sono storie, non ci sono cazzi, e nella morte di Carlo Giuliani, nella dinamica propria di come il tutto è successo, ben poco ci vedo di strano, di scandaloso, di deprecabile (ATTENZIONE: non sto assolutamente assolvendo i carabinieri che erano sulla camionetta, santi non erano; ma ripeto, è tanto sbagliato il modo in cui loro hanno agito quanto ciò che ha portato loro a sparare, e spero che su questo si possa essere tutti d'accordo. Perché è assolutamente giusto essere di parte, è assolutamente comprensibile difendere a spada tratta chi pensiamo possa rappresentarci, ma questo non deve essere un limite alla capacità di immedesimarsi in chi, in quel momento, stava temendo per la propria vita). 
Il problema, lo schifo, l'assurdo è tutto ciò che ha portato a questa morte, è tutto ciò che ha portato alle oscenità della Diaz, ai pestaggi in piazza, alle telefonate dei poliziotti che festeggiano la morte di Giuliani come se fosse un gol segnato in un derby, agli infiltrati fascisti che da tutta Europa sono arrivati per creare il caos nel corteo e far sì che la polizia potesse essere libera "di sangue sporcare le piazze e le porte". Sangue innocente, sangue pacifico, sangue che sì, in quel momento, stava CERCANDO di difendersi. Ma come prima scrivevo, ben ricordo quella trasmissione sulla Rai la sera dei primi scontri: c'era Bertinotti, allora segretario di Rifondazione Comunista, che spiegava il perché della protesta, che la giustificava, che metteva in luce gli orrori che han portato ai disordini e le atrocità che sono state adottate per sedarli. Ricordo la rabbia nelle sue parole, il dolore, la voglia di continuare a lottare (che ha poi perso sette anni dopo, ma benché non condivida il suo aver abbandonato la politica posso capire che, ad un certo punto, ci si possa anche stancare dello schifo bipartisan che sempre più si è accentuato, arricchendosi anche dei goliardici pentastellati), il voler andare avanti, nella speranza che tutto quello che si era visto, tutto quello che era stato raccontato e si sarebbe raccontato riguardo quei giorni a Genova avrebbe smosso gli animi delle persone, le avrebbe svegliate, le avrebbe liberate da quel sogno avvelenato chiamato capitalismo e vendutoci da Berlusconi e dai suoi compagni di merenda. Ed in studio con lui c'era Storace, che condannava l'intera protesta etichettandola come violenta ed anti-democratica, quando poi, secondo Amnesty International, durante quelle tragiche ore genovesi abbiamo assistito alla più grave sospensione dei diritti umani e dei principi della democrazia in uno Stato Occidentale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. 
Ed agli occhi di un bambino che si apprestava a cominciare le medie era ben chiaro chi tra i due era il buono e chi il cattivo: perché alla fine tutto si riduce a questo, quando si è piccoli, ed il cattivo non era quello con la R moscia, il cattivo non era quello che inneggiava ai No-Global ed auspicava la fine del sistema capitalistico, il cattivo non era il rosso. Il cattivo era il nero, che godeva nel vedere il rosso sui marciapiedi, sulle strade, sui muri della scuola Diaz, sui termosifoni, sui visi di giovani che hanno visto infrangersi le loro voci ed i loro volti sotto i colpi dei manganelli. 
Mi ricordo bene quella sera, mi ricordo bene il dolore che provavo nel vedere certe immagini, mi ricordo bene quello che in me nacque: ebbi il mio primo vagito di lotta, ebbi per la prima volta il desiderio di capirci di più, di andare più a fondo, di comprendere al meglio quel che mi circondava, di sapere. Era nata la mia curiosità per ciò che riguarda il sociale, il lavoro, il benessere di tutti, le meccaniche della politica. 
E voglio pensare che anche altri, con me, quella sera abbiano avuto quest'illuminazione, abbiano urlato per la prima volta per coprire la nera cagnara, per contrastare il Potere, per desiderare di soverchiarlo in nome di una reale giustizia, di una reale uguaglianza, di una reale convivenza. 
Da allora almeno un paio di volte a settimana qui in casa si parla di politica, ci si confronta, spesso ci si scontra, ma sempre con l'obiettivo di arricchire il proprio punto di vista, di renderlo più critico, più consapevole, più razionale, ma sempre alimentato dal rosso fuoco della lotta, dall'intestino desiderio di riscossa, di riscatto, di ribellione. E tutto questo ho spesso provato a portarlo fuori dalle mura di casa: tra i banchi di scuola, con gli amici, con le ragazze, o all'università, ai banchetti per raccogliere le firme dei referendum, sui social network. 
Continuerò a farlo, continuerò a portare avanti le mie idee. Per me, per chi mi circonda, per la causa. E per i ragazzi di Genova, che tredici anni fa, forse inconsapevolmente, mi hanno invitato ad unirmi mentalmente a loro. Ed io quell'invito voglio continuare ad accettarlo ogni giorno.


Stefano Tortelli



Nessun commento:

Posta un commento