I miei sogni sono da sempre molto condizionati da ciò che ho pensato, vissuto, letto, detto, visto il giorno prima. Come i sogni che, secondo Freud, sono tipici dei bambini, i miei prendono spunto dalle ultime esperienze e, come un abile regista, il mio subconscio crea spesso delle parodie alquanto pacchiane della realtà, altre volte la implementa di elementi fantastici che, tutto sommato, sarebbe bello esistessero, altre volte ancora, ma più raramente e come oggi pomeriggio (forse anche a causa della stessa influenza che mi porto avanti da ormai un mese e che puntualmente, nel weekend, si palesa in tutta la sua grandezza), con allegorie degne dei più grandi sceneggiatori di Hollywood o Cinecittà.
Domani ci saranno le elezioni in Grecia, c'è aria di cambiamento e rivoluzione, ma come riportavo nel post riguardante l'anniversario della fondazione del PCI non sono pochi i pseudo-compagni che sputano sentenze a sproposito su Tsipras e sul suo partito. "E' un prodotto del capitalismo!!!", "Partecipa a libere elezioni! Le libere elezioni sono democratiche! La democrazia è figlia del sistema capitalistico!!", "Tsipras non ha mai detto di essere comunista! I comunisti sono altri!", e puttanate varie (puttanate nel vero senso della parola, perché sotto sotto questi elementi, quando sono soli con una penna ed una scheda elettorale davanti, se va bene fanno la croce sul PD... se va bene... quindi sono prostitute, si vendono in cambio anche solo del poter dire: "Ohhh, sìììì! Ho vinto le elezioni", ma tra sé e sé, perché fuori dalla cabina elettorale loro hanno votato comunista): questi sono i commenti delle menti eccelse che bazzicano le pagine anarcomuniste di Facebook, gente che parla parla ma non ha mai fatto nulla, o che tuttalpiù ha partecipato a qualche occupazione con quelli dei centri sociali (gente che, per inciso, di comunista o anarchico ha ben poco). Solo che ripeto, alla gente piace mostrarsi migliore degli altri, anche quando gli altri sono come te, sono tuoi fratelli e tuoi compagni, sono quelli con i quali potresti fare la rivoluzione. Logicamente poi arriva il vero compagno di turno che si prende gli insulti da questi, ed arriva il secondo vero compagno a dire: "Beh, vi preoccupate dei fascisti, ma tanto a distruggerci ci pensiamo già noi". Tutte queste questioni evidentemente hanno condizionato il mio subconscio, che nel momento in cui è stato chiamato all'opera dall'emittente che mi fornisce i sogni quotidiani ha dato vita ad un'allegoria meravigliosa che ora proverò a raccontare.
Era pomeriggio, ero in compagnia. C'erano un paio di ragazze ed un paio di ragazzi, camminavamo per le strade di una grande città. Non era Torino, non era Bologna, non era Roma o Milano. Era una città immaginaria, senza nome, ma chiaramente moderna, caratterizzata da grandi palazzi, larghe strade e numerose insegne. Le strade erano però deserte, come quelle proprie di una città soggetta al coprifuoco, o come quelle che si possono percorrere durante degli eventi di portata mondiale che, ovviamente, vengono vissuti in solitudine davanti alle televisioni. In quel momento, comunque, la città era nostra, e le nostre parole rompevano il silenzio della via abbandonata dall'uomo. I nostri discorsi spesso erano confusi, ed a caratterizzarli, almeno agli inizi, erano i nostri modi di essere, il nostro abbigliamento, i nostri volti. I due ragazzi, come me, avevano i capelli lunghi e la barba, indossavano vestiti propri degli anni '70, della contestazione studentesca, delle lotte nelle piazze; le ragazze avevano sguardi intensi, capelli lunghissimi, una delle due era mulatta, l'altra europea ma con un abbigliamento tipico dell'America del Sud. Sapevamo che stava per succedere qualcosa di estremamente epocale, ne stavamo parlando, sorridevamo, ma allo stesso tempo eravamo tesi, inquieti: si era fatto tutto il possibile, ma chissà se quel possibile era sufficiente, chissà se si era lasciato comunque qualcosa di intentato. Si stava facendo buio in quella città senza nome, e la compagnia di cinque persone si era ridotta. Eravamo rimasti in tre: l'europea, uno dei due compagni ed io. Eravamo sotto casa del ragazzo: un palazzo altissimo, tipico delle periferie industriali, anonimo all'esterno ma ricco di particolari all'interno di ogni appartamento caratterizzanti la provenienza, le idee, le attitudini di chi lo abitava. Una volta salutato eravamo rimasti solo più lei ed io. I discorsi si stavano facendo sempre più fitti ed intensi, gli occhi di entrambi erano sempre più luminosi, un po' per le emozioni e la commozione, un po' perché se si crede a ciò che si dice, se ci si crede veramente, è impossibile nasconderlo: il fuoco negli occhi vale più di mille parole. Lei però era estremamente preoccupata, tesa, aveva paura. Cercavo di tranquillizzarla, ed ad un certo punto ecco che il sogno diventa un po' più chiaro: era il giorno prima delle elezioni politiche in quel luogo, lei aveva 29 anni e, se le cose fossero andate bene, sarebbe salita al potere. Una donna, under 30, primo ministro di uno Stato. La libertà, l'anarchia fatta persona era in procinto di sedere al vertice di una Nazione. Eravamo giunti davanti al portone del suo palazzo: "Non voglio rimanere sola stanotte, non voglio sognare da sola, non voglio svegliarmi da sola". Salivamo insieme le scale, ed il mio conscio, mentre ancora la pellicola del sogno si stava proiettando sulle palpebre chiuse, mi suggeriva che qui le cose stavano facendosi estremamente interessanti. Stavo per condividere il letto con la Rivoluzione, stavo per fare l'amore con il desiderio di Libertà, stavo per riposare al fianco dell'Anarchia. La Rivoluzione, la Libertà, l'Anarchia stavano per essere alla guida di una realtà europea grazie ai meccanismi propri della democrazia, grazie all'impegno di compagne e compagni, grazie all'unione e non alla divisione.
Era mattina ormai, ci eravamo rivestiti e, senza quasi aver chiuso occhio, dovevamo raggiungere il nostro futuro. La mia donna ed io eravamo pronti per quello che sarebbe stato il nostro compito per gli anni a venire: guidare i giovani, guidare il paese, renderlo un posto migliore, per tutti. Per gli studenti, per gli operai, per gli stranieri, per le donne e per gli uomini di ogni provenienza e "direzione", di ogni condizione economica e di ogni estrazione sociale. L'ansia non era poca, ma la voglia di vivere tutto questo era troppa per venire turbata dal timore.
Mi sono poi svegliato, colpito ed emozionato dal sogno. Ci ho pensato su, e ci sto pensando tutt'ora. Quella donna non mi ricordava nessuna ragazza che ho incontrato ultimamente o che ho vissuto in passato, come non ci son legami tra la ragazza mulatta ed i due ragazzi con la realtà. Ci son solo i paralleli nelle elezioni (ma in Grecia) e negli ideali, sempre presenti nella mia vita, che io stia dormendo o sia sveglio. Raccontando il sogno ho però chiaramente fatto riferimento alla personificazione della Libertà e dell'Anarchia propri di Fabrizio De André nella sua canzone "Se ti tagliassero a pezzetti". Ho però voluto aggiungere un terzo elemento in questa ragazza dubbiosa ma desiderosa di trionfare, con me al mio fianco: la Rivoluzione. E voglio sottolineare che la rivoluzione, prima di essere un aspetto collettivo, dev'essere individuale, dev'essere una spinta che parte dall'interno, dall'inconscio... dal subconscio.
Sarà per questo che si parla di sogni quando si desidera ardentemente qualcosa. E' il nostro subconscio che ci mostra la direzione, ma la strada da prendere e, soprattutto, la decisione di percorrerla o meno, è tutta qui, nel mondo reale, nella nostra volontà.
Ps: raramente parlo di anarchia, e mai mi sono considerato anarchico. Solo che, da più parti, dopo la lettura dell'ultimo post sono stato definito tale, non come insulto ma come elogio. Mi fa piacere ma, come per ogni etichetta, passo oltre, limitandomi a scrivere quel che più rispecchia il mio modo di pensare, di essere e di agire. Per rifugiarmi in un'etichetta ho una vita intera.
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