lunedì 26 gennaio 2015

Goodbye Demis, goodbye.






Stasera è decisamente difficile scegliere quale argomento affrontare per primo, tra la commemorazione della Shoah, le elezioni in Grecia, la morte di Dacia Valent (più per quel che ha suscitato che per il fatto in sé) e quella di Demis Roussos. Appena ho finito di fare lezione ai miei due studenti indiani sono salito in macchina, aspettando che la mia amica Sara uscisse dal laboratorio di falegnameria per fare due chiacchiere prima di andare alle rispettive case. Avevo da poco parlato con il direttore della scuola per sistemare gli ultimi dettagli riguardanti il progetto che sto seguendo e, visto che era ancora presto, ho deciso di telefonare a mia madre per informarla sia del colloquio con il dirigente sia delle mie ancora cagionevoli condizioni di salute. Stavo già pensando, nel mentre, a cosa scrivere riguardo la persecuzione degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale e la vittoria di Tsipras in Grecia, ma un'ultim'ora, direttamente comunicatami al telefono da mia madre ha soffiato via dalla scrivania della mia mente gli appunti riguardanti i sopracitati argomenti. Perché proprio sul finire della telefonata mi dice, con voce triste: "Ah, Ste, è morto Demis". "Chi?" "Demis Roussos". 

Sul momento, preso com'ero dal cercare di resistere ancora un po' alla bronchite e dagli altri pensieri mi sono lasciato relativamente scivolare addosso la cosa. Perché sì, lo ascolto, perché sì, ammiro la sua voce inconfondibile ed inimitabile, ma non è propriamente una colonna portante della mia vita musicale. Tornato a casa, però, mi son reso conto della portata enorme di ciò che era successo: non tanto a livello oggettivo, ma soggettivo. E vi dirò, un brivido di terrore mi ha percorso la schiena quando ho sentito dire da mia madre "E' morto...". Perché ero conscio che al novantanove per cento si stava parlando di un artista del mondo pentagrammato, e, benché la questione anagrafica sia l'ultima da tenere in considerazione in un universo fatto di eccessi e di vizi come quello musicale, la paura che si stesse parlando di Guccini o Cohen era concreta. Quella manifestazione di estremo timore mi ha fatto così capire lo stato d'animo di mia madre, mi ha permesso di immedesimarmi, di entrare nella sua testa. 

Forse lei ed io viviamo la musica in modo fin troppo viscerale, ma sarebbe alquanto ingiusto, limitativo e superficiale definire ciò in questo modo. Perché vedete, Guccini e Cohen non vanno a costituire un parallelo con Roussos soltanto per ciò che sono per me (anche perché sono fondamentali anche per mia madre); vanno a costituire un parallelo per un elemento ancora più profondo, che li rende, insieme a pochi altri ancora in vita (Pink Floyd su tutti) una sorta di eredità esistente tra lei e me. E per lei, Roussos, era l'eredità musicale dei suoi genitori, era i primi vinili comprati dal "su' babbo" per lei, era i commenti con mia nonna sulla beltà di Demis, era il cantarlo con entrambi. E prima poteva essere un gioco come tanti, poi è diventato passione, infine qualcosa di interiore, in grado di caratterizzare un ricordo di un momento, di un periodo, fino ad esserlo di una vita intera. 

Mi ha fatto tenerezza, oggi, vederla triste, in cerca di un abbraccio, e sentirla rimproverarmi con la voce tremolante quando, mentre era tra le mie braccia, le ho intonato We shall dance imitando con lei un ballo. Ed oltre a farmi tenerezza, commuovendo anche me, ha per l'ennesima volta palesato il fatto che certi cerchi sono bel lungi dal chiudersi: non è il cadere di un simbolo che annulla la sua essenza, il suo esserci stato e la possibilità che possa esserci ancora. E quindi non è con la morte di Demis Roussos che certi ricordi svaniscono. Anzi: in certe situazioni, soprattutto quando si parla di artisti che è un po' di tempo che si sono ritirati o che hanno caratterizzato un periodo della propria vita ormai lontano, la "morte del simbolo" fa in modo che tutto riaffiori. In modo più intenso, con un bagaglio di emozioni immenso. Ma con ancora tanto spazio, in questa valigia portatrice di ricordi, sensazioni, sentimenti. Basta trovare il modo di riempirla, e credo che oggi, insieme, un nuovo souvenir made in Roussos si sia aggiunto a questo bagaglio senza fondo.

Ps: Demis era un compagno greco, ha vissuto nel suo Paese la dittatura dei colonnelli ed è stato più volte censurato per il suo stile e per i suoi testi. Strano, anzi bastardo il destino che ha voluto proibirgli di veder germogliare il seme della speranza nella sua terra. Ma da una parte, forse, ha un significato recondito anche questo: forse, finalmente, il vecchio combattente Demis sa di poter riposare in pace, con la sua amata terra pronta ad indicare la strada all'Europa intera... tremila anni dopo...




Stefano Tortelli

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