domenica 18 gennaio 2015

Riflessioni su "L'arte d'amare" di Erich Fromm




Ieri sera avevo preannunciato che i post sul tema amore-politica sarebbero stati due, e benché contassi di scrivere le prossime righe ieri stesso, mi trovo a farlo ora. Il tutto verterà principalmente su un libro che lessi circa un anno fa ed alcune mie riflessioni sull'amore, sul suo manifestarsi, sulla sua natura, ed anche sul suo apparente finire. In verità, superficialmente, di politica qui ce n'è poca, in quanto il discorso sarà più sulle meccaniche individuali o comunque circoscritte, ma è la natura del libro in sé e tutte le varie mie considerazioni ad esso relative che avvicinano alla politica ciò che seguirà.

L'amore, nella sua forma matura, implica fede, attività, umiltà, coraggio, ed è l'unica risposta veramente sana alle contraddizioni dell'esistenza umana. In questo volumetto, Erich Fromm, forse il massimo esponente dei post-freudiani, illustra, nella teoria e nella pratica, un'arte dell'amore, il modo in cui si può apprendere tale arte, l'infinita pazienza e l'incessante pratica attiva che, come tutte le arti, esige che l'amore non sia frainteso e scambiato per qualche oggetto da barattarsi al supermercato delle merci o dei simboli di prestigio della nostra civiltà, la quale, del resto, non potrebbe sopravvivere un giorno di più senza l'amore: questo è ciò che è riportato sulla quarta di copertina dell'edizione "Il saggiatore" (1963) de "L'arte d'amare. E' possibile l'amore nella civiltà repressiva?", che presenta e sintetizza alla perfezione il contenuto di questo volumetto che supera di poco le 150 pagine. E' una lettura breve ma estremamente intensa, ricca di spunti di riflessione. Mi ricordo i giorni in cui lo lessi: era difficile, in certi punti, andare avanti senza che mi venisse il groppo in gola dalla commozione, da ricondurre principalmente a due fattori. Innanzi tutto era per me un'emozione enorme ritrovarmi a leggere concetti e riflessioni che molto rispecchiavano la mia conoscenza teorica e l'applicazione pratica dell'argomento, soprattutto dopo due anni di volontaria autoanalisi sul tema. Perché dopo circa sei anni passati ad innamorare ed innamorarmi con estrema facilità, anteponendo sempre la Lei di turno a tutto il resto e mettendo così a rischio amicizie, rapporti con genitori e parenti ed anche la mia salute psico-fisica, avevo sentito la necessità di staccare la spina per un po', concedendomi eventualmente qualcosa di passeggero (cosa che non sono evidentemente in grado di fare, perché anche quando ce n'è stata la possibilità l'ho dopo poco rifiutata, per non prendere e per non prendermi in giro). Di conseguenza ritrovare la mia autoanalisi racchiusa in un libro di sessant'anni prima rappresentò qualcosa di meraviglioso per me, era come ripercorrere quei 20 mesi parola dopo parola. E poi a farmi arrivare al punto di chiudere il libro in un bar per non commuovermi davanti al resto delle persone era l'abilità di Fromm (e del traduttore) di passare da un argomento all'altro con estrema disinvoltura, creando una rete di collegamenti fittissima ma estremamente perfetta ed inequivocabile, cosa che ho sempre cercato di fare anche io, sebbene con risultati alterni. 

Ora, lungi da me fare un'analisi del testo in questione, perché tutto sarebbe tranne che oggettiva, perché non rispecchierebbe il significato in primis dell'autore, e probabilmente nemmeno di molti altri che l'hanno letto. Perciò voglio dargli un'interpretazione, sfruttando miei pensieri scaturiti prima di leggerlo (di alcune cose ne parlavo anche alle superiori con la mia ragazza d'allora), altri nati leggendolo, altri ancora frutto di discorsi che l'hanno riguardato direttamente o indirettamente, fatti con la persona della quale mi sono innamorato durante e dopo la lettura ed anche recenti, ora che questo amore ha perso ogni sua espressione tangibile. 

Innanzi tutto sarebbe da comprendere cosa sia l'amore. Fromm lo suddivide in diverse categorie, che se analizzate profondamente mostrano il loro essere un blocco monolitico, che presenta differenze sì importanti ma non discriminanti. Parte dall'amore per se stessi, condizione fondamentale per poter provarlo verso l'esterno: quante volte abbiamo sentito dire che per stare bene con gli altri bisogna stare innanzi tutto bene con se stessi? Il paradosso è che invece ai più viene molto più semplice delegare agli altri il compito di farci stare bene, di amarci, di metterci nella condizione di dire, a posteriori, di stare bene con se stessi. Niente di più falso: non sono gli amici che possono darci i mezzi per amare noi stessi, non lo sono i partner, non lo è Dio, non lo sono i genitori. Noi siamo gli unici a dover dar vita ai meccanismi che ci possano permettere di sentirci bene con noi stessi; altrimenti è un grosso problema, altrimenti si arriva a fraintendimenti, altrimenti ci si mette nella condizione di distruggerci o distruggere chi ha provato a sostituirsi a noi stessi in questo compito. E scrivendo ciò mi viene da pensare a quante persone hanno dedicato "La cura" di Franco Battiato alla persona che amano. E sono due le riflessioni che ne derivano: una, è quanto veramente questo desiderio di curare non celi un bisogno di essere curati, mettendo in pratica un meccanismo alquanto complesso che promuove il bisogno di curare per curare se stessi, e quindi gratificarsi (un egoismo alquanto mascherato, ma sempre egoismo è... penso ad esempio a chi vive con eccessivo zelo il proprio rapporto con gli animali, paventando estreme carenze in quello che è invece il rapporto con gli umani... e casualmente i cani ed i gatti che sono oggetto di questo amore tutto sono tranne che equilibrati, ma meglio soprassedere); l'altra, è l'automatico porsi al di sopra della persona alla quale si dedica questa canzone, palesandone tutte le debolezze e l'inferiorità psichica ed ergendosi al ruolo di medico, di infermiere, di esperto in materia, quando invece, nella maggior parte dei casi, si tenta di costruire un qualcosa che possa dar vita ad un meccanismo di dipendenza attraverso il quale chi si convince di essere la parte debole necessita di quella apparentemente forte... solo che poi, finita la relazione, la realtà viene a galla, ed il medico non ne esce più, perché nel curare si è dimenticato di imparare come farlo, in primis, con se stesso. Ci sarebbe poi da aggiungere un dettaglio non irrilevante: Battiato ha scritto questa canzone non per la persona che amava, non per la madre, non per una sorella in difficoltà, e nemmeno per un'amica; Battiato, La cura, l'ha scritta per se stesso, l'ha scritta per la sua anima. Personalmente, preferisco di gran lunga dedicare "E ti vengo a cercare": molto più umile, molto più vera, ma soprattutto paritaria. 

E quindi, amando se stessi, si può realmente amare tutto il resto. Spesso mi è stato detto che sono egocentrico, ricco di autostima, che mi sopravvaluto, e cose così. Forse hanno ragione, forse in questo c'è anche un'ammissione di stima estremamente celata. Io mi limito a dire che sì, ho autostima. Ma autostima cosa significa? Autostima significa stimare se stessi, di conseguenza essere consapevoli di se stessi, sapersi dare un valore coerente a quello che si è. Autostima significa sapere da dove si parte, che basi si ha per poter eventualmente migliorare. Ed autostimarsi, darsi il giusto valore, implica un amarsi, sottintende un tenere al proprio essere. Ed eventualmente, se non ci si va bene come si è, impegnarsi a migliorarsi. Solo che è un concetto difficile da spiegare, bisogna sentirselo dentro, bisogna soprattutto imparare a covarlo per poi farlo proprio una volta uscito dall'uovo. Ed è necessario, altrimenti ci si frega e si frega chi ci circonda (diffidare dei falsi umili è una delle cose che mi hanno insegnato i miei genitori, ed hanno ragione, hanno assolutamente ragione). Ma, supponendo anche che possano aver ragione loro, a questo punto mi chiedo perché un altrettanto numero di persone abbiano desiderato sottolineare, anche solo dopo poche ore dall'avermi conosciuto, che sono una delle persone più intense che abbiano incontrato, se non la più intensa. C'è anche chi ha ammesso che mai sarebbe stato in grado di trovare tutto ciò che io racchiudo in una sola persona, ma tant'è, evidentemente non è sufficiente, e va bene così.

E qui si arriva alla parte finale del libro, alla disintegrazione dell'amore nella società moderna. Sul post riguardante la bellezza ho implicitamente trasportato dall'amore a, per l'appunto, la bellezza, concetti propri di quest'ultima parte del libro, ma per quanto riguarda l'amore il discorso è ben più complicato, ed onestamente mi infastidisce molto di più. Perché ormai l'amore vero è assoggettato a mille altre questioni che possono martoriarlo, cessarne la sua espressione (ma non la sua esistenza, tra l'altro più da parte di chi ha lasciato o evitato che da parte di chi è stato lasciato o è stato evitato), addirittura portare a credere che l'amore non esiste. L'amore invece esiste, resiste, solo che spesso viene scambiato per altro, solo che altro spesso viene scambiato per amore. Come è riportato in quelle righe di presentazione del libro, sono tempi di crisi per l'amore, e se sessant'anni fa erano teorizzabili ed appena percepibili, ora credo che chiunque possa rendersene conto. L'amore è schiavo del denaro, è schiavo della convenienza, è schiavo della paura di spiccare il volo sulle sue ali, è schiavo delle catene dettate da ciò che ci circonda o ci ha circondato. Ed ogni scusa è buona per rifiutarlo, in nome di altre cose che sono apparentemente più importanti, più necessarie, che hanno la priorità. Solo che poi, a conti fatti, senza l'amore non si va da nessuna parte. Tutti vogliono amare, ma troppi lo rigettano quando si presenta nella sua forma più limpida, meno corrotta, più autentica. Sarà che ormai ci si è convinti che può esistere solo nelle canzoni e nei romanzi... ma voglio dirvi una cosa: ciò che si può cantare o scrivere come minimo è immaginabile; e tutto sono le canzoni d'amore o i romanzi che lo glorificano, ma sicuramente non fantasia. 

L'amore c'è, l'amore esiste, l'amore è ovunque. L'importante è amare se stessi e volersi donare a chi ama se stesso a sua volta, l'importante è unire questi due amori in una sola cosa. L'amore puro esiste, gente, non abbiate paura che sia morto. E' come il comunismo: se ci si convince che può tornare a splendere del suo rosso più intenso, e ci si convince in tanti che può essere così, allora tornerà a trionfare, senza corruzione, senza limiti, senza interferenze. 

E poi venitemi a dire che il rosso non è un colore meraviglioso...

Dato che l'ho citata, e dato che Battiato ancora non è entrato nella playlist del blog, voglio mettere come sottofondo E ti vengo a cercare, nella versione in compartecipazione con i CSI. Continuo a cercarti, Amore, in qualche modo, che sia in sogno o che sia nella realtà, dietro un angolo della strada o su appuntamento, ti troverò. O mi troverai. L'importante è che continuiamo a cercarci, prima o poi ci (ri)troveremo.


Stefano Tortelli

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