Domani si concretizzerà un sogno che da quando ho cominciato le medie mi ha sempre stuzzicato la fantasia, determinando in parte la scelta degli studi che sto portando avanti, condizionando anche il mio modo di essere nei confronto degli altri, e sotto certi aspetti anche la mia passione per i bambini ed i ragazzi. Da domani comincerò ad insegnare. Niente di eclatante: non è una cattedra, non è nemmeno un contratto a tempo determinato, non avrò neppure una classe. Ma non c'entra nulla, non ridimensiona affatto quello che andrò a fare, non condizionerà in alcuna maniera l'impegno che ci metterò per farlo al meglio. Saranno quattro ore a settimana, per sei settimane, di corso d'italiano per due ragazzi indiani, che a causa dell'apparente incompatibilità tra la cultura italiana e quella indiana hanno avuto non pochi problemi ad inserirsi nell'ambiente nostrano. E non è una questione di scuola, di incapacità di fornire degli stimoli da parte dei miei futuri colleghi, non è nemmeno disinteresse da parte dei due ragazzi. E' solo un ennesimo fallimento del sistema emergenziale italiano, che preferisce la cura alla prevenzione. Nelle falle del sistema succedono queste cose, e sempre nelle falle del sistema operano le persone come me, che studino o meno Comunicazione interculturale o corsi affini.
E' un punto di partenza estremamente stimolante, che mi vedrà rientrare in una scuola, che mi farà tornare in aula. Cambia solo la prospettiva con la quale la osserverò: e se ci si pensa sarà una continua interrogazione, sarà un continuo esporre le mie conoscenze, e non sarà un voto a determinare il mio rendimento, ma l'efficacia di ciò che esporrò, del suo meraviglioso potere di trasmettere le mie conoscenze ai ragazzi. Ed ammetto che sono estremamente emozionato, perché nonostante il corso di italiano per stranieri e della mia propensione a voler condividere la mia conoscenza con gli altri, sarà comunque un qualcosa di totalmente nuovo, un'incognita, un campo minato nel quale dovrò sapermi destreggiare al meglio.
In questa mia personalissima vigilia sento il bisogno e la voglia di ricordare chi più di tutti mi ha trasmesso questa passione. Sto parlando della mia professoressa di lettere delle medie, Margherita Aimar, che non solo mi ha insegnato la maggior parte delle cose che so relative all'italiano, alla storia ed alla geografia, ma che ha saputo infondermi la passione per la conoscenza, la curiosità, il desiderio di spiccare il volo sulle ali del sapere, che possono essere grandi come l'universo se solo lo si desidera. Mi ha insegnato ad essere mai sazio, a non accontentarmi mai, a puntare sempre al massimo in barba all'invidia degli altri. Mi disse anche sebbene il dantesco "non ti curar di loro ma guarda e passa" sia un'ottima via per essere superiori, il rispondere "Perché tu queste cose non le sai?" a chi invece domanda "Perché sai queste cose?" è la cosa migliore. Si può passare per saccenti, si può passare per boriosi, ma allo stesso tempo, forse, si stimola l'altro a darsi una risposta, a migliorarsi, a farsi eventualmente spiegare ciò che non sa. Ultimamente le sto rivalutando parecchio queste parole, perché la situazione è peggiorata in questi ultimi dieci anni, perché l'ignoranza è dilagante, ed innanzi tutto questa domanda spesso me la pongo da solo: "Perché non sanno?".
Margherita, come avevo scritto in qualche post passato, da più di due anni non c'è più. Se n'è andata nel dicembre del 2012, lasciando un vuoto enorme. Si è ammalata dopo essere andata in pensione, lasciandosi andare alla depressione, ai suoi vizi, e si sa, le malattie fanno presto ad arrivare con questi presupposti. La vidi per l'ultima volta una ventina di giorni prima che morisse, e già capii...
Di seguito voglio riportare la mia lettera aperta a lei indirizzata, scritta il 14 dicembre del 2012, la notte prima del suo funerale. Fece male, e fece incazzare, vedere solo altre tre mie compagne, in chiesa con me.. Ma va bene così, Margherita, io ti ricordo, Stefano ti ricorda, Chiara ti ricorda... e non ci crederai, ma spesso parliamo di te...
Ciao Margherita. Ho saputo che te ne sei andata all'improvviso, come un lampo a ciel sereno che quasi abbaglia.
Mi immaginavo sarebbe successo presto, ma speravo non così presto. Speravo di poter tornare a suonare il campanello di casa tua e prendere quel té che ci eravamo promessi di bere insieme.
Avrei voluto raccontarti tante cose, di me. Ma soprattutto di quanto sei stata importanet, per me.
Mi stupisti già il primo giorno di prima media, durante le presentazioni. Me lo ricordo ancora, era il 18 settembre del 2001, e Stefano, che era tra i primi dell'alfabeto, presentandosi disse: Io mi chiamo Stefano... subito lo fermasti e lo correggesti: No, Ambrogio. Tu non ti chiami Stefano. Tu SEI Stefano. Una correzione di forma, un dettaglio quasi ininfluente, ma che mostrava il tuo carattere, quello che era il tuo essere (che è ancora vivo in chi ti ricorda), ciò che sei stata: per te la persona, l'individuo, erano fondamentali. L'essere in sé veniva prima di come si viene considerati, "chiamati", dagli altri. E lo capii ancor di più giorno dopo giorno. Per dirne una, te ne fregavi totalmente dei voti... e forse è anche per questo che siamo sempre andati d'accordo. Capivi il mio disagio ne fare qualcosa di istituzionalizzato dalla società, con il fine di omologarci e renderci più controllabili. Fosse stato per te son sicuro che di voti non avresti mai voluti dare, ed ecco perché ce ne davi così tanti... l'abbondanza, l'opulenza, rendono le cose meno importanti, superflue.
Ed apristi totalmente gli orizzonti della mia mente: acquisii una logica ed una capacità di scrivere immense, mi portasti a fare ragionamenti così contorti da essere banali se spiegati a chiunque (del resto è un circolo, è un cerchio, qualcosa di estremamente contorto è quasi elementare...); mi mostrasti quella che poteva essere la mia strada, avevi il piacere, condiviso, di parlare con me del più e del meno, tant'è che molti intervalli ho preferito passarli con te anziché a giocare...
Ed anche oggi non è molto cambiata la cosa: preferisco di gran lunga divertirmi con la mente, mia ed altrui, che calarmi in situazioni estemporanee che lasciano il tempo che trovano, e nelle quali mai totalmente mi sento a mio agio. E non sai quante ragazze ho conquistato grazie a te, quante persone mi stimano per i ragionamenti che TU mi hai insegnato a concepire e partorire.
Avrei voluto dirti tutto questo e molto altro, ma non ce n'è stato il tempo... Ma penso tu lo sappia, perché se c'è un'altra cosa che è da te che ho imparat è il capire al volo gli altri... anche solo con uno sguardo. ed io il 22 novembre avevo capito, vedendoti per pochi minuti, che la tua ora stava per arrivare...
Un abbraccio enorme mia cara amica e maestra di vita quotidiana.. Verrò a trovarti presto.
Grazie davvero Margherita, domani sarai con me... più del solito.
Ti dedicai quel giorno questa canzone, la dedicai ad un'altra donna che mi ha segnato finché c'è stata e che, son sicuro, ti avrebbe adorata (tu e mia nonna eravate decisamente simili, per tante, troppe cose) e con te avrebbe chiacchierato per ore intere... questa è la vostra canzone...
Ora preparo la cartella, che domani devo andare a scuola.
Stefano Tortelli
Nessun commento:
Posta un commento