mercoledì 10 dicembre 2014

Aspettando Godo

Una delle tematiche più ricorrenti nella letteratura è l'attesa. L'attesa di una lettera, l'attesa del momento giusto, l'attesa di un arrivo, di un ritorno, di una partenza. Questo perché l'attesa è portatrice di una gamma di emozioni vastissima: eccitazione e paura, fretta ed ansia, gioia e timore. A tutto ciò si aggiunge un totale cambio delle percezioni sensoriali: un minuto sembrano dieci, un giorno sembra una settimana, ogni voce che bussa ai padiglioni sembra quella di chi stai aspettando, ed allo stesso le situazioni contingenti portano a pensare che si aspetterà ancora, perché mancano nonostante tutto i giusti presupposti, le giuste condizioni, i giusti parametri. 
Ed è quello che passa per la testa di chi aspetta a farsi avanti, è quello che passa per la testa di chi dice "Chiamo domani", è quello che crede chi presume sia ancora presto per fare la rivoluzione, sia ancora presto per cambiare le cose, sia ancora presto per inseguire un sogno. E quindi l'attesa diventa una condizione esistenziale, un modus vivendi che si impadronisce del Vivere, costringendolo ad assoggettarsi al volere altrui o all'assenza di determinate condizioni. E sono tante le persone che affollano le sale di attesa di questo mondo, annullando un'esistenza capace di dar luce a qualcosa di meraviglioso, sopravvivendo e non vivendo, lasciando ammuffire sogni colorati e profumati in cassetti che, quando verranno aperti, se verranno aperti, lasceranno uscire un odore maleodorante emanato da una massa informe grigiastra che una volta era l'incarnazione di ogni proprio sogno. 
Attendere, aspettare, se vissuti in questo modo, sono la giusta strada da percorrere se si vuole raggiungere la pazzia, l'annientamento, l'autodistruzione. 
E ne so qualcosa, perché per tanto tempo ed in tante situazioni ho aspettato, annullandomi e ripercorrendo il corridoio della sala d'attesa con le mani dietro la schiena e lo sguardo rivolto verso il tabellone degli orari. Ed ad ogni occhiata allo schermo i minuti di ritardo aumentavano inesorabilmente, diventando ore, giorni, mesi. Ma è una condizione della mente, nulla di più, nulla di meno. E' come nel film "L'angelo sterminatore": le vie d'uscita da quella sala d'attesa sono sempre aperte, la città è lì fuori che ti aspetta ricca di nuove opportunità, ma tu la porta la vedi chiusa, tu credi che lì fuori ci sia il nulla, perché il tutto è su quel maledetto treno perennemente in ritardo. 

Bisogna per cui imparare a dare la giusta dimensione all'attesa: se quel treno deve arrivare arriverà, ma intanto si può uscire dalla stazione, girare per la città, perdersi nelle sue luci, nei suoi volti, nei piaceri che offre, continuando a coltivare le proprie passioni, ubriacandosene, sballandosi delle proprie droghe preferite, stampate sui libri o incise sui dischi, o compresse in una penna che è sufficiente impugnare per dar vita a visioni su carta ancora vergine. E soprattutto bisogna ricordarsi che i piaceri possono derivare anche dagli altri: dagli amici, dai passanti, dalle "Passanti", dai propri idoli in carne ed ossa, dalla famiglia. 

E così può anche capitare che quel treno sia ormai in arrivo e tu essere da tutt'altra parte, dimenticandone l'importanza che aveva in passato e che si è andata disperdendosi. Perché l'attesa, se goduta, diventa vita, e ciò che si attende o si è atteso null'altro è o è stato un espediente per vivere ancora di più. 

Per poi morire, quando sarà, con tanti rimorsi... e nemmeno un rimpianto. 

Un po' come un certo Jones... che di "mestiere" faceva il suonatore...



Stefano Tortelli


Nessun commento:

Posta un commento