Non perché a Natale, slogan pubblicitario alla mano, si è tutti più buoni. Ma perché a Natale probabilmente ci ridimensioniamo, ci svestiamo dei panni da super esseri viventi, da semi-dei mancati, da insensibili macchine razionali che aspirano al successo ad ogni costo. Torniamo ad essere animali, a Natale, ci circondiamo degli affetti più cari, ci riavviciniamo a chi per il resto dell'anno abbiamo dimenticato, che sia fisicamente o mentalmente... o attraverso una telefonata o un messaggio. Ma si torna ad essere quell'animale sociale che invece, nell'arco del resto dell'anno, ha anteposto una A alla sua essenza pur di sopravvivere in questo mondo che, alla faccia della tanto sbandierata globalizzazione, dell'essere costantemente tutti in contatto, dell'avere i social network, Whatsapp, del cellulare con il 3G e della possibilità di spendere in qualsiasi momento della giornata, ci vede soli in mezzo all'apparente tutto che invece è il nulla più totale. Perché l'umanità si sta perdendo, si stanno perdendo le più elementari basi di convivenza, di coesione, di collaborazione, si stanno perdendo le dinamiche proprie del relazionarsi tra simili, sia nel bene sia nel male: ci si nasconde dietro i silenzi perché si sono perse le capacità di dire e di sentire, di scrivere e di leggere, di provare emozioni e di far provare emozioni.
Ed il paradosso è che ci si ragiona, su questi meccanismi, si ragiona su come essere ancora più inscalfibili, ancora più insensibili, ancora più asettici, ancora più distaccati. Ed ancora più grande è il paradosso che tutto ciò si fa in preda ad un'enorme emozione negativa, ad un'arma di distruzione di massa, al più grande deterrente possibile ed immaginabile di ogni rapporto umano: la paura. E' la paura che nega tutto ciò che è proprio del nostro essere donne e uomini, del nostro vivere in pace e solidarietà, amandoci e rispettandoci, dando tanto quanto riceviamo, vivendo gli spazi che la natura ci ha dato in armonia, in totale serenità, rispondendo soltanto ai nostri migliori istinti. Perché i peggiori, quelli che nell'uso comune si etichettano come bestiali, tutto sono tranne che propri del nostro essere animali, del nostro essere Esseri viventi. Sono costruzioni, sono elementi antropopoietici, sono un superstrato dato da una società che di società non ha più nulla, essendo ora non più al servizio delle persone, ma le persone al suo servizio.
E per cui siamo qui, a leggerci, a parlarci, ad ascoltarci, ma non ci capiamo. Parliamo tutti lingue diverse, in una Babele che conta sette miliardi di individui parlanti sette miliardi di idiomi differenti, con una previsione di crescita ovviamente enorme di entrambi i dati. E questo avverrà finché non ci si ritroverà, finché non ci fermeremo davanti allo specchio, guardandoci negli occhi ed accorgendoci che a Natale il nostro aspetto è lo stesso della Vigilia e di Santo Stefano, e di tutti i giorni precedenti e di quelli a venire. E dopo essercene accorti dovremo allora decidere di estendere il nostro essere più umani, e quindi più animali, ai giorni che verranno, come se Natale fosse sempre, per far sì che del Natale non ci sia più bisogno.
Tutto questo lo scrivo mentre sto ascoltando Happy Christmas di John Lennon, e pensando alla Christmas Song dei Jethro Tull, riflettendo su ciò che queste due canzoni vogliono dirci, cercando di capire cosa possa esserci dietro e nel profondo di quelle parole così abilmente messe in rima.
E rimanendo nel terreno fertile nel quale Lennon ha seminato, penso anche a quel grande capolavoro che è Imagine, a come sia così semplice dire e cantare queste cose, ma come possa anche essere frustrante guardarsi attorno, anche tra gli affetti più cari, e rendersi conto che cantare, dire e fare tutto ciò individualmente sia anche possibile, e magari riesce anche bene, ma far sì che possa estendersi all'umanità intera sia estremamente complicato, se non impossibile.
Ma intanto voglio ascoltare le parole di Lennon ed immaginare questo mondo, e forse, ora come ora, è già un grande traguardo pensarlo, crearselo nella testa ed auspicarne la realizzazione, provando a convincere quante più altre persone possibili che sì, insieme possiamo riuscirci.
Facciamocelo questo regalo di Natale, immaginiamo tutti insieme. E festeggiamo. Arriverà il momento in cui ogni giorno potremo cantare Happy Christmas, anche con 35° all'ombra, perché sempre sarà attuale, perché sempre sarà festa, perché sempre avremo voglia di cantare.
Perché non ci sarà più paura, non ci saranno più distanze, non ci saranno più guerre, non ci sarà più odio, non ci sarà più prevaricazione.
E quindi Buon Natale, Yoko. Buon Natale, John. Buon Natale, Stefano.
Stefano Tortelli
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