Dal bloccare un Paese intero all'essere in sei in centro a Torino, dopo che l'anno scorso l'avevano bloccata, occupata, quasi militarizzata. La parabola dei Forconi è stata ovvia, scontata, senza alcun colpo di scena per chi già da prima che si manifestasse ne aveva analizzato le caratteristiche e le finalità.
Ai tempi venne accolta come manna dal cielo da chi per tanto tempo era stato seduto al proprio posto indignandosi ogni qualvolta fosse stato imposto dai mass media farlo, aspettando però che arrivasse un Messia ad alzarsi dalla sedia prima di lui. Servivano dei pastori, sono arrivati i Forconi, i quali promettevano di portare imboccare con fieno appena raccolto dai campi l'italico gregge dei "Sì, facciamo la rivoluzione! Ma stasera non posso, c'è la partita!!!". E mi ricordo che invece chi sempre si è impegnato nel sociale e nella politica guardava con scetticismo e timore questa rivolta popolare, questo movimento sociale del terzo millennio che palesò i suoi ideali con squadracce vere e proprie che percorrevano le vie della città obbligando i commercianti a chiudere, con saluti romani in Piazza Castello, con insulti ed intimidazioni nei confronti di chi non voleva manifestare con loro.
E' passato un anno, di acqua sotto i ponti torinesi ne è passata tanta (troppa nelle ultime settimane) e tante questioni proprie del Movimento dei Forconi sono venute, per rimanere in metafore acquatiche, a galla: il capo dei Forconi di Pinerolo è stato inquisito per evasione fiscale e truffa, molti esponenti su tutto il territorio nazionale si sono rivelati affiliati a Casapound, FN e Lega Nord, altri sono rimasti barricati, soprattutto in Veneto, nei propri presidi: gente che sì ha perso tutto, imprenditori che hanno dovuto chiudere, ma che forse non si sono ricordati COME hanno avviato la loro azienda. Perché il Veneto, ed in pochi lo dicono, in pochi ne parlano, ha ricevuto tanti aiuti quanto ne hanno ricevuti le regioni del Sud... ma questo è meglio non dirlo, "I LADRONI SONO DI CASA DA ROMA IN GIU" (che poi ci andrebbe un'analisi riguardo a ciò che è emerso negli ultimi giorni riguardo Roma, ma penso ne scriverò nei giorni prossimi).
In dodici mesi, dunque, da circa un centinaio di migliaia di manifestanti, presidi su tutte le strade principali e in Torino e per Torino, siamo passati a sei manifestanti con 300 poliziotti a presidiare...
E devo dire che la cosa mi ha fatto molto, molto sorridere, anche perché ai tempi fu difficile far capire a chi li sosteneva l'enorme abbaglio che si erano presi. Ma poi ci penso, penso ai miei anni di militanza e di banchetti alle 8 di mattina con -5° per raccogliere le firme per i vari referendum, e mi accorgo che anche noi non eravamo tanti di più. Per cui più che godere della loro sconfitta, vorrei che chi veramente crede in determinati ideali emerga dal silenzio e faccia sì che tornino in auge i tempi in cui Piazza S.Carlo ribolliva di solidarietà, di consapevole rabbia, di coscienza politica, di senso di appartenenza ad una classe sociale che deve rispecchiarsi in una frangia politica.
Perché in uno Stato dove i dipendenti di una fabbrica votano lo stesso partito del proprio datore di lavoro è un Paese senza coscienza politica, senza ideali, che va dove l'esigenza del momento può venir al più presto soddisfatta.
Ma ci tengo a riesumare ciò che scrissi allora, perché sintetizza lo sconforto che io ed altri provammo nel ritrovarci a pochi passi da un colpo di Stato.
Lo sapete quante volte, ai banchetti, quando raccoglievo le firme per i referendum, mi sono sentito dire "Ah, ma tanto sono pensionato, che mi serve firmare per i lavoratori", "Ah ma tanto io sono un impiegato, questo è per gli operai", "Ah ma la mia azienda non ha problema, figurati...", "Tanto io sono ancora uno studente, non lavorerò mai, che mi serve firmare per chi il lavoro ce l'ha?"...
Ecco, aveste firmato in passato, aveste partecipato democraticamente, aveste dato un contributo reale per l'interesse di tutti e non solo per il vostro, ora non avreste nemmeno il bisogno di scendere in piazza. Fatevi un esame di coscienza, tutti quanti, chiedetevi quanto siete responsabili degli ultimi governi, pensate alle assurdità che avete perpetrato nei confronti di voi stessi quando eravate convinti di avercela "solo" con il vostro prossimo.
E datevi con una mano una martellata sulle dita, e con l'altra falciatevi quella che vi ha colpito. Perché i responsabili primi siete voi, che fino all'ultimo ve ne siete stati fermi dando fiducia al politicante di turno che sembrava in grado di soddisfare i vostri bisogni più immediati senza avere un minimo di lungimiranza, senza chiedervi chi era la persona che stavate votando, senza porvi minimamente la domanda di come un partito, un movimento, un certo tipo di fare politica spunti all'improvviso.
Io continuerò sulla mia strada, ora dovrò resistere su due fronti anziché uno, ma tanto per quelli come me la storia è sempre la stessa. I diritti di una categoria vanno difesi, sempre, in ogni caso, anche quando la categoria di cui si fa parte non viene privata dei diritti. QUESTO, è fare il bene comune.
E forse vi suonerà un po' socialista, un po' comunista, ma del resto, i migliori politici, almeno in Italia, son sempre arrivati dalla mia parte.
C'è bisogno di crederci, veramente, fare quest'atto di fede. Benché sia difficile, benché sappiamo quali sono i limiti di questo Stato in smantellamento, benché tutto sommato anche se ci si lamenta sempre si riesce comunque andare avanti. Ma sopravvivere è una cosa, VIVERE è un'altra.
E per vivere bisogna mettersi in gioco: e farlo non per un periodo, non per tre mesi, non per un anno. Bisogna farlo quotidianamente, mettere in conto che tutto questo può provocarci molti mal di pancia... ma chi ha partorito lo sa: il dolore è enorme, ma vuoi mettere il piacere di poter cullare un figlio!?
Ecco: le idee, gli ideali, in tanti li abbiamo concepiti, in tanti siamo stati fecondati e portiamo in grembo una meraviglia. Ci sarà da soffrire, ma un giorno, forse, potremo cullare un'Italia migliore.
Scrissi tutto ciò il dodici dicembre, e subito dopo pubblicai una canzone di Bertoli, "L'Italia d'oro". Vorrei, dopo un anno, cambiare canzone, ma rimanere sul grande Pietrangelo.
Bisogna convincersi che, per vincere, bisogna far sì che non vincano loro. Mai. E' un aut aut, una diarchia di idee non può esistere.
Stefano Tortelli (testo in corsivo 12-12-2013)
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