Gli Area salutano il pubblico a fine concerto, nel miglior modo possibile.
Ritmi intensi in questi ultimi giorni, sere che finiscono presto per lasciare spazio a notti di sonno quasi ininterrotto, giornate piene, dai tanti spunti e con pochi spazi per affilarli e renderli frecce infallibili per il mio arco.
Del resto ognuno ha la sua "arma": le arti spesso vengono paragonate da chi le destreggia a strumenti di battaglia, una battaglia però che ha fini nobili, una battaglia senza spargimenti di sangue che però ha lo scopo di elevare il proprio essere, esprimere la propria essenza, dar voce e forma alle proprie istanze, per perseguire, in cuor proprio, l'obiettivo prefissato. E c'è chi si scrive e canta per amore, c'è chi scrive e canta per gioia, c'è chi scrive e canta per promuovere i propri ideali, per elogiare la bellezza, per riscattare un periodo buio.
Ma d'altro canto si scrive e si canta, come si dipinge, si suona e si scolpisce, per esprimere una propria passione e lodarne altre cento. Queste arti, queste armi (e chissà se questa coppia minima ha un nesso etimologico, viste le similitudini avvicinano queste due parole), sono sì fini, ma anche mezzi.
E potrei citare Guccini che nella sua Cirano avvicina la penna ad una spada, potrei citare i Del Sangre che nella loro Billy the kid cantano di una chitarra che è "un sei corde che spara e ferisce più di una pistola". Ma chi meglio di tutti, secondo me, ha reso arma uno strumento dell'arte, sono stati gli Area: "Il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia, che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita".
Ecco, questa tastiera, visti gli innumerevoli tasti, è come la mitragliatrice di Juan in Giù la testa: munizioni infinite a mia disposizione da far esplodere una dopo l'altra al ritmo della vita; fintanto che avrò voglia di combattere.
Stefano Tortelli
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