Teoricamente avrei dovuto avvisare mia zia che sarei arrivato di lì a poco circa un quarto d'ora fa, appena staccato dal volontariato, per avere già la cena preparata dalle amorevoli mani di una donna che più che zia per me è sempre stata ed è tutt'ora una nonna, non tanto anagraficamente parlando quanto per il modo di essere con me.
Ma come dicevo ieri quando bisogna scrivere, quando si ha fame di lettere, tutto il resto viene dopo. L'amore del resto è così, non ci si può far nulla, fa passare tutto quanto in secondo piano anche quando il tutto è fondamentale per la vita stessa.
Colpa di un libro, colpa di un autore, del quale ho scoperto da Facebook che oggi ricade l'anniversario della morte. Fin qui tutto bene, ma non è un autore come un altro: è un simbolo, un simbolo come altri che ha contraddistinto in modo estremamente intenso un periodo altrettanto pieno di emozioni, di passioni, di felicità.
Il suo nome giunse davanti ai miei occhi un giorno come un altro, tramite un messaggio privato su Facebook, scrittomi da una donna alla quale mesi prima feci leggere alcune mie cose. Perché è così che funziona: ci si conosce, si parla, ci si confida le proprie passioni e si arriva a volerle condividere tramite un file word o un link di una canzone. Mi disse: leggilo, nel suo modo di scrivere ci ritrovo molto del tuo, non so spiegarti perché, ma prova e poi dimmi. Insieme all'autore c'era anche il titolo di un suo libro, io la ringraziai sin da subito benché non conoscessi minimamente di lui, e scherzai sul fatto che forse la similitudine stava nell'assonanza tra i nostri cognomi. Il giorno dopo presi la metropolitana, dal centro raggiunsi il Lingotto, entrai nella stessa Feltrinelli nella quale ora lavoro e della quale parlai in Come api, e presi uno dei libri dell'autore. Non era quello da Lei consigliato, non ce l'avevano, e ripiegai su quello che è considerato il suo masterpiece (benché io non la pensi così, e non sono il solo). Andai in un bar e cominciai a leggere i primi racconti, non capii dove trovasse i punti in comune con il mio modo di scrivere e le chiesi. Lei mi riprese, dicendomi che per l'appunto era il libro sbagliato, che avrei dovuto trovare quello che Lei mi aveva suggerito.
Nel mentre finii quello che comprai. Poi, dopo qualche tempo, Quel libro lo ebbi, e non perché lo comprai, non perché lo presi in biblioteca. Me lo diede Lei, che coprì un giorno come tanti ma diverso dagli altri le distanze che ci Separavano, ritrovandoci a condividere per la prima volta le stesse camere, gli stessi luoghi, la stessa aria. Vivemmo per la prima volta le nostre Camere Unite, spazi limitati che per noi erano enormi: non ci serviva tutto quello spazio, non ci è mai servito, eravamo rimasti lontani per così tanto tempo, sognandoci e desiderandoci, che era come bestemmiare stare anche solo a venti centimetri di distanza l'uno dall'altro. Ed altre camere si sono succedute nei nostri incontri successivi, quando delegavamo ai treni il compito di fagocitare le rotaie che ci separavano per renderci di nuovo un tutt'uno, una cosa sola, un qualcosa che, chissà come, chissà per quale ragione superiore, era riuscito a ricongiungersi, nonostante i mille ostacoli, nonostante le milioni di possibilità di fallimento.
Solo che si sa come vanno queste cose, Guccini dice che "ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione... il peccato fu creder speciale una storia normale...". Di normale, qui, non c'era assolutamente nulla; di normale, qui, non c'era nemmeno l'ombra. E ce ne accorgemmo negli sguardi dei passanti, nell'essere così diversi rispetto al passato, nell'essere se stessi per la prima volta, dopo anni ed anni di limitazioni autoimposteci o imposte da agenti esterni. Nonostante questo ora le nostre sono Camere separate, separate da centinaia di chilometri, separate da qualcosa di difficile definizione ma che non ci permette di ricongiungersi. Del resto il problema dei Figli della Luna era che sì, condividevano lo stesso corpo, condividevano tutto, ma sfortunatamente guardavano in direzioni opposte. E si può anche essere schiena contro schiena, ma se non si trova la forza di girarsi entrambi non ci si riconoscerà mai.
Ma Camere separate è lei, Pier Vittorio Tondelli è lei: o meglio è una sua manifestazione, o meglio è un suo dono, uno dei primi. Cominciammo a leggerlo in due momenti diversi, ma non so per quale motivo entrambi ci fermammo allo stesso punto del libro, meravigliandoci quando, in una delle nostre camere unite, guardando i nostri rispettivi libri, ci accorgemmo che ci eravamo fermati allo stesso paragrafo.
Non mi stupirei se un giorno, da non so dove, Tondelli possa vederci entrambi riprendere o ricominciare, nello stesso giorno, quel libro, per continuare quella storia, per assaporarla fino in fondo, non adducendo scuse di tempo mancante o di ricordi troppo dolorosi. Ci vuole poco, del resto, a farli diventare magnifici.
Ad accompagnare questo post voglio mettere una canzone di un gruppo che Lei mi fece conoscere, e che, con le dovute proporzioni, è paragonabile a Tondelli ed alle sue Camere separate.
Del resto ogni persona ed ogni cosa che ho vissuto resta inevitabilmente parte di me: a volte asportata, lascia una cicatrice enorme, ma sempre parte di me è. E sempre lo sarà.
Stefano Tortelli
Nessun commento:
Posta un commento