Ultimamente fatico enormemente a riprendere sonno una volta svegliatomi, per qualsiasi motivo, in piena notte. A volte è la sete a svegliarmi, altre volte il caldo, altre volte ancora qualche suono particolarmente stridente proveniente dallo streaming TV o dal documentario messo poche decine di minuti prima per conciliare il sonno.
In queste situazioni spesso la mente comincia a viaggiare, imitando ciò che fino a poco prima faceva nel mondo onirico. Solo che il mio conscio, desto anziché assopito, ne segue i passi, la accompagna lungo il suo errare, e se qualche speranza di riaddormentarmi poteva ancora esserci prima dell'inizio di questa luna di miele tra queste due parti del mio Io a quel punto non lo è più.
Per cui mi ritrovo ad ascoltare musica, a leggere, a scrivere, immaginando chi come me può essersi ritrovato nella medesima situazione in passato, magari partorendo poesie, racconti o canzoni di un'intensità immensa.
Dei resoconti di viaggi, che ricoprono anche il ruolo di invito a viaggiare, soprattutto se accompagnati da un rincorrersi di note.
La seguente riflessione è un omaggio ai cantautori scritta in una situazione simile il 7 marzo scorso, probabilmente una delle cose scritte nell'ultimo anno di cui vado più fiero.
I cantautori vanno ascoltati di notte. La loro musica è un piacere peccaminoso, le loro parole sono come le mani di una donna che lentamente ti scoprono, ti denudano, arrivando fino a toccarti nell'intimo, nell'anima.
Ed è con la luce soffusa di una piccola lampada da comodino che la mente riesce a leggere meglio ogni singolo verso, scoprendo in quella rima, notte dopo notte, un nuovo significato. E nel mentre scorrono i fotogrammi della tua esistenza rievocati dalla melodia, gli occhi delle persone amate in passato, le espressioni degli affetti presenti, i contorni dei sogni che, in un futuro, si vorrebbe divenissero realtà.
I cantautori vanno ascoltati di notte, perché è di notte che anche loro si sono persi. Tra le righe dei fogli bianchi, spogli ancora di inchiostro, su pentagrammi ancora muti, con il posacenere pieno e la bottiglia ormai vuota, rinnegando per l'ennesima volta un letto ormai geloso della scrivania. Lui ordinario, ordinato, freddo ed abbandonato a se stesso, lei ricoperta da fogli, sporca di temperatura di mattina e talvolta, lei stessa, cuscino per una testa resa troppo pesante da volumi di parole che inesorabilmente la gravità attira verso il basso.
Sì, i cantautori vanno ascoltati di notte, per provare, almeno lontanamente, a ragionare come loro, a carpirne i segreti, a capirne il lavoro.
Ed ad amarlo sempre di più.
Di certo quando scrissi queste righe avevo un'ispirazione non da poco: Leonard Cohen, il cantautore che forse più di ogni altro, anche per il suo timbro estremamente profondo e graffiante, risponde alla mia descrizione. Lo immagino a scavare dentro di sé, accanto a dove nasce quella sua voce viscerale, alla ricerca delle parole giuste che possano codificare le sue emozioni. E non è cosa da poco, riuscire a codificarle, riuscire a creare un contatto diretto tra Pancia e Testa, riuscire a far camminare fianco a fianco istinto e razionalità, riuscire a dare un senso ad un turbinio di suoni intensi.
Probabilmente il segreto sta tutto lì, e voglio pensare che in qualche modo, anche io, sono stato e sono in grado di dar vita a questo nesso bilaterale, che come un pistone in un motore ad 8000 giri compie il percorso tra le viscere ed il centro del linguaggio in nanosecondi muovendo così la mano sul foglio, la quale sembra spesso che sappia già da sola cosa fare mentre la mente è già due righe dopo pronta a darle nuove istruzioni.
Ma chi scrive lo sa, tutto questo, cosa significa.
Stefano Tortelli (testo in corsivo 07-03-2014)
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