Ieri sera ero a Pinerolo, al circolo Arci Vicolo corto. Un posto molto particolare, arroccato in cima ad una rampa di scale della città storica, nascosto alla vista ma facilmente udibile dalla strada ciottolata dalla quale vi si arriva. E' un Arci vecchio stampo, dove può anche capitare, come ieri sera, di ritrovarsi Bunna degli Africa Unite sorseggiare una birra in mezzo agli altri frequentatori, intenti a ballare canzoni che vanno dagli anni '50 agli anni '80.
Ad un certo punto, dopo una Cucurucu di Battiato mixata alla buona, ecco la sorpresa: Diesel di Finardi, datata 1977. Diesel oltre che il titolo della canzone era anche quello del suo terzo album, e di tempo e di canzoni ne sono passati molti da allora. Ma il sound e la grinta sono rimasti gli stessi, immutati nonostante gli anni che passano, e ne sono stati la prova lampante i cinque concerti suoi ai quali ho assistito quest'anno.
Complice la band, complice un nuovo disco, Fibrillante, estremamente rock e rievocante gli albori del cantautore italo-americano, ai suoi concerti sembra di assistere ad una rievocazione storica: sono una macchina del tempo le sue esibizioni, ci si ritrova a respirare quella che probabilmente era l'aria degli anni '70, un turbinio di riff ed assoli mischiati al fermentare di idee politiche e contestazioni.
I CCCP si definivano fedeli alla linea, Finardi lo è di fatto: poiché dopo quarant'anni di carriera ha mantenuto la stessa lucidità nel descrivere l'ambiente che ci circonda, nel parlare dell'attualità e degli evidenti, agli occhi dei più attenti, problemi che attanagliano la nostra società. Nei suoi testi racconta di gente che non ce la fa più, di chi si perde e chi urla, auspica la nascita di un nuovo umanesimo, di un nuovo senso di solidarietà che è andato perdendosi in tutte le classi sociali, catechizzate ormai trasversalmente dal glorificato Dio Denaro.
Eugenio è un "uomo d'altri tempi" che si è catapultato nel presente per rispolverare uno dei tanti scopi che ha la musica ma che è andato perdendosi negli ultimi decenni, sintetizzato troppo soventemente in slogan e canzoni fin troppo di parte per risultare credibili e convincenti poiché facilmente etichettabili. Finardi invece ha saputo magistralmente essere sibillino e diretto allo stesso tempo, riportando in auge un modo di scrivere e quindi di contestare che era proprio di Ivan Della Mea, Fausto Amodei e, in questo caso ci sta proprio, compagnia cantante!
Eugenio Finardi è quindi una necessità impellente nel panorama musicale italiano, lui stesso cerca di soddisfarla ma è auspicabile possa anche essere un esempio per tanti altri: non bisogna mai smettere di lottare, e farlo con le parole, in musica, è una strada estremamente importante che è necessario ricominciare a percorrere. C'è decisamente bisogno di donne e uomini come lui.
Ed a proposito di uomini, benché io abbia glorificato il suo modo di comporre riguardo i temi sociali, Eugenio ha saputo scrivere canzoni d'amore che lasciano senza fiato: per la loro umiltà, per la loro intensità, per la loro ineguagliabile dolcezza. Una di queste si intitola "Un uomo", una canzone che dev'essere un manifesto per ogni persona che desidera amare ed essere amata, una canzone che dovrebbe dare gli standard sia agli uomini di come cercare di essere sia alle donne di cosa cercare. E io, lungi dal considerarmi tale ed affibbiarmi un'etichetta così importante ed ingombrante, l'ho metaforicamente appesa al muro come poster di un idolo al quale tendere. Un manifesto, in tutto e per tutto.
Stefano Tortelli
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