Quelle che andrò a raccontarvi sono due storie a me molto care, e tutto sommato è superfluo sottolinearlo, poiché non fosse così non scriverei a riguardo; ci sono tante cose che apparentemente o effettivamente sono superflue in senso assoluto, tante altre lo sono in senso relativo, e non è da me scrivere tanto per scrivere, parlando di ciò che non mi interessa, di ciò che non sento mio, di ciò che non mi rispecchia.
Oggi è l'anniversario dell'eccidio dei sette Fratelli Cervi: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Avevano dai 22 ai 42 anni la notte che vennero uccisi brutalmente settantuno anni fa. Erano contadini, lavoravano la terra con il padre Alcide a Gattatico, una località della campagna emiliana non tanto lontana da Reggio Emilia. L'Emilia Romagna ha dato i natali a grandi militanti politici di sinistra, e loro non erano da meno: ogni giorno avevano a che fare con i simboli dei loro ideali, la falce ed il martello, condividevano nella loro casa il pane, si riunivano attorno al focolare a raccontare storie, a ballare, a sorseggiare il vino che loro stessi producevano. Erano una famiglia come tante, ma ciò che a loro ha regalato l'immortalità nella storia dell'Italia anti-fascista è anche la croce che ne ha abbracciato gli ultimi respiri. Perché durante la seconda guerra mondiale, quando il partito cominciava a vacillare sotto i colpi delle penose sconfitte in campo militare, l'economia che di conseguenza era andata in crisi, la repressione da parte dei fascisti e dei tedeschi portarono ad un sempre più forte movimento di persone, ideali ed armi. E tutto ciò andava nascosto, questo movimento, per rimanere implacabile, doveva nascondersi, agire clandestinamente, con tanta attenzione quanta determinazione. E la casa dei Fratelli Cervi divenne così un nascondiglio per i partigiani, un punto di ristoro per le staffette, un'oasi sicura ma sempre all'erta nella quale esprimere liberamente le proprie idee, i propri sogni, le proprie speranze, da allargare all'intera Emilia, all'intera Italia.
Ma dopo Natale, in seguito all'uccisione di un fascista in un paese limitrofo, il 28 dicembre fu eseguito l'ordine di fucilazione per rappresaglia dei Sette Fratelli Cervi, i figli della Pianura, dopo essere stati catturati un mese prima, tra il 24 ed il 25 novembre dopo uno scontro a fuoco avvenuto nella loro casa. Sette fratelli, una famiglia intera spazzata via dall'odio, dalla repressione, dalla più triste pagina della storia millenaria della nostra penisola. Sette figli di un padre che per ancora alcuni giorni si è trovato solo, rinchiuso in una prigione, senza sapere che il sangue del suo sangue era stato lavato via dal nero piombo fascista. Ma una volta fuggito di prigione dopo un bombardamento alleato, Alcide ancora ha portato avanti i suoi ideali, le sue battaglie, i suoi sogni. In suo nome ed in nome dei figli, fino all'età di 95 anni, quando si è spento con accanto i suoi nipoti e le sue nuore, ed altri 200.000 italiani ai suoi funerali.
Settantuno anni fa cominciò questo primo racconto che ancora oggi andrebbe riportato nei libri di storia, nelle pagine dei giornali, per le vie delle città. E fortunatamente tutto ciò avviene, con scuole, piazze e strade a loro dedicati dal Nord al Sud Italia passando per la Sardegna. Ed io ho avuto l'onore di ascoltare la nipote di Alcide parlare a me ed ad altri giovani in quello che ora è il Museo Cervi, in quella che allora era la casa dei suoi zii. Respirare quell'aria fu assolutamente particolare, perché mi ricordava quella che è propria della mia casa: i campi rigogliosi del maggio padano, la brezza primaverile che se qui è figlia della Alpi lì è generata dagli Appennini, i grandi alberi ed il silenzio a circondare i muri di quella cascina di campagna. Ma in quell'aria c'era ben di più: c'erano i ricordi, c'era il sangue, ma c'era anche la speranza di un mondo migliore, il desiderio di uguaglianza, fratellanza, libertà, tutti sentimenti propri di ogni luogo se solo qualcuno in quel momento li sta portando avanti con tutto se stesso. E quel giorno, quel 19 maggio del 2007, eravamo in trenta a voler continuare questa lotta, ad indossare quelle famose scarpe rotte, a voler trasformare l'aria in vento. A voler far rivivere con noi Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore... ed Alcide.
Quella mattina vedemmo diversi cimeli nella Casa Museo Cervi: il trattore che comprarono dopo tanti sforzi per poter arare i campi, il mappamondo tanto caro ad Alcide, la simbolica rappresentazione di un albero genealogico sotto forma di quercia con sette rami. E vedemmo un breve documentario riguardante la loro storia, con alcune scene tratte dal film "I sette fratelli Cervi" del 1968, chiusosi con una canzone che inevitabilmente mi riporta a quel giorno, in quel luogo, con tutti i compagni accanto a me a cantarla ancora una volta. Ed a commuovermi, di nuovo. Perché come cantano i Gang nei loro ultimi versi: "E in quella pianura, tra Valle Re e i Campi Rossi, noi ci passammo un giorno e in mezzo alla nebbia ci scoprimmo commossi".
Stefano Tortelli
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