giovedì 4 dicembre 2014

Il vallo di Roger



Quello che sto per toccare è uno dei temi che probabilmente più spesso ricorrerà nei post del mio blog. Per alcuni è solo un disco, per altri è anche un film, per altri ancora è un'esperienza meravigliosa. Per me è anche un saggio filosofico. "The Wall", album del 1979 dei Pink Floyd, successivamente divenuto anche film (nel 1982, con Bob Geldof, l'ideatore del Live Aid ed uno dei primi esponenti della musica irish folk in chiave moderna a livello internazionale, nei panni del protagonista), è un concept nato dalla mente di Roger Waters, bassista e fondatore della band, che descrive in modo estremamente eclettico la condizione dell'individuo nel mondo odierno. Recentemente Roger ha rilasciato un'intervista in cui dichiara che The Wall null'altro è che la descrizione della condizione psicofisica e sociale di un qualcuno che ha perso l'Amore (in senso relativamente lato, in quanto lui si sofferma principalmente sulla sofferenza nata dalla perdita del padre, in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale). Ma c'è secondo me anche di più, ed il concetto di Amore perduto può allargarsi all'intera sfera delle passioni: come già ho scritto in passato ogni passione è un atto d'amore nei confronti dell'oggetto della passione stessa, che sia un hobby, che sia un'ideale, che sia una donna o un uomo, che sia la passione per la conoscenza e l'arricchimento (in senso metaforico) personale (e quindi un amore per se stessi).
The Wall è uno dei mattoni con i quali ho costruito questo edificio in continuo divenire che è la mia personalissima visione del mondo circostante. Un edificio sempre pronto ad accogliere nuovi mattoni, ma da buon capomastro è importante che io sappia scegliere il materiale migliore per poter continuare a costruire. Del resto è storia recente, e ne abbiamo puntualmente conferma dai fatti di cronaca, che se si utilizza materiale scadente ed economico per erigere nuove costruzioni è sufficiente un piccolo terremoto od un'inondazione per farle crollare.
Ma questo edificio sicuramente è dotato di innumerevoli finestre su ogni sua facciata, per far sì che io possa vedere in ogni direzione, esplorare, scorgere nuove fonti di materiale per continuare a costruire.

Ho avuto la fortuna di poter Essere al concerto di Roger Waters a Roma il 28 luglio 2013, un'esperienza unica che descrissi circa un mese dopo, qui riproposta.

28 luglio 2013. Roma. Non so se sia stata l’influenza dello Stato Pontificio a poche centinaia di metri dall’albergo dove alloggiavo, ma tutto ad un tratto, dopo aver considerato totalmente aberrante e deviante il cieco affidarsi ad un Credo religioso per alleviare la propria esistenza, sono forse riuscito a tollerarlo, o per lo meno capirlo.
E tutto nasce dai motivi per cui io fossi a Roma. Un concerto, due ore scarse di musica sentita e risentita in quasi ventitré anni passati tra musicassette, cd e vinili e tanti, tanti altri concerti. Non era la prima volta che andavo così lontano per assistere ad uno show, che investivo tempo e denaro per allietare le mie orecchie, la mia mente, il mio cuore con il susseguirsi di quelle sette note tanto magiche. Ma stavolta era diverso: è successo in un periodo in cui non mi sarei assolutamente potuto permettere una spesa del genere, e per questo devo ringraziare i miei compagni di viaggio e di passioni che mi sono venuti incontro per poterci essere, per poter anch’io prendere parte a questo evento.
E cosa c’è di diverso da chi prende e parte per Santiago, Gerusalemme, Roma, La Mecca? Come quello dei credenti, il mio è stato un PELLEGRINAGGIO in tutto e per tutto. Svegliarsi alle 6 di mattina, prendere il treno, camminare, camminare e camminare, senza pensare al caldo, senza pensare al problema fisico che in più di un’occasione mi ha proibito di fare anche solo una partitella a calcio. Poche parole tra me e gli altri dall’albergo allo stadio, in quei quattro chilometri di cammino che assolutamente non si son sentiti, come se non fossi stato io a camminare ma la strada a scorrere sotto i miei piedi.
Infine arrivare allo stadio, entrare, aspettare che le luci si spengano per assistere allo show, per partecipare a quell’evento, a quel RITO a cui tanti, prima di me, avevano partecipato ed assistito, anche più di una volta, ma sempre con lo stesso spirito, con la stessa cieca convinzione che li portava ad escludere tutto il resto, tutti i problemi, tutte le preoccupazioni.
E sarà che uno come ROGER WATERS, di per sé, si tende a divinizzarlo, come, soprattutto tra gli amanti del rock, succede per tanti altri. Roger il profeta, Roger il messia di un messaggio che di fatto ridicolizza sia ciò che lui fa sia chi apprezza il suo agire. Una contraddizione nei fatti, ed è forse proprio per questo che alla fine del concerto, catatonico e quasi in trance, ho realizzato che ciò per cui prima avevo gioito e pianto, le parole che avevo sentito e cantato e le musiche che avevano fatto viaggiare la mia mente contenevano la totale negazione e condanna di ciò che avevo appena vissuto, sia nello stadio che per arrivarci.
Ho agito come un buon credente che predica bene e razzola male, io come tutti gli altri 60.000 presenti, noi del pubblico come lo stesso Waters, il suo gruppo ed ai tempi i Pink Floyd.

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, disse Gesù ai tempi… finora mi ero permesso di stigmatizzare la cieca fede in Dio e nel suo agire, mentre ora, da buon peccatore nei confronti della razionalità come ogni credente, mi limito a non condividere il loro agire, continuando ad affidarmi alla religione delle sette note, l’unica che possa veramente, a mio modo di vedere, riunire ogni scopo ultimo di tutte le religioni esistenti. 

Da allora, a suffragare la mia tesi, mi sono ritrovato ad ascoltare ogni 28 di ogni mese intercorso tra oggi ed il concerto il doppio cd, a volte sostituito dal film. Un rito, per ricordare, rivivere, rievocare quella serata sconvolgente. 

Tra tutte le canzoni di The Wall questa è sicuramente la più toccante, e tra l'altro quella sera chiamai casa per farla sentire ai miei genitori. Per i minuti che sono stati al telefono con me c'erano due persone in più che piangevano, commosse, allo Stadio Olimpico.


Stefano Tortelli (testo in corsivo 27-08-2013) 

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