Finora ho accennato in più di un'occasione ai vari motivi per cui sono arrivato qui... c'è però una persona che devo assolutamente ringraziare: una persona che mi ha aiutato a crescere, che c'è sempre stata, che sebbene ora non ci sia più continua ad avere un ruolo di prim'ordine nella mia vita.
Cercavo una poesia martedì mattina quando scrissi a Giancarlo Cattaneo: ne ricordavo il contenuto, ma non il titolo e l'autore. Nel giro di un minuto scoprii che la scrisse Julio Cortàzar e che si intitolava, semplicemente, La nonna. Una poesia meravigliosa, scoperta una notte di più di due anni fa: tornavo a Villafranca in macchina da Torino con la mia ragazza d'allora, entrambi prediligevamo in quel periodo ascoltare la radio anziché mp3 o cd, e per la spola era tra Radio Virgin e Radio Capital.. ma la seconda vinceva (e vince tutt'ora) il ballottaggio il 90% delle volte, e così ci ritrovammo ad ascoltare Parole Note. Ad un certo punto venne declamata questa poesia, e lei ed io rimanemmo di sasso, attoniti e commossi dinanzi a tanta meraviglia, con i pensieri rivolti alle rispettive nonne: le mie solo più nei ricordi, le sue lontane un migliaio di chilometri. Ma presenti. Quella sera più che mai.
"Dall'altra parte del mare
Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.
Nonna tu nei cortili dell’estate, già alzata all’alba, sola ad aprire imposte e ricevere il sole,
accompagnando la febbre dei miei ultimi sogni con lo strofinio appena udibile dei tuoi passi,
entrando dalla parte del giorno a restituirmi il mondo
nella fragranza del caffellatte.Non dimentico nulla, io crebbi sulla sponda della tua vestaglia e dei tuoi scialletti,
del tuo gusto per il lilla che ti fa come una cenere di colombe fra i capelli e le guance,
e sento un’altra volta il soave andare delle pantofole che ti portai dal Cile.
E sto vedendo la lunghissima treccia che tu lasci libera
quando ti alzi, come un ricordo dei tuoi anni di ragazza.
Tu non lo sai, nonna, però in te finisce il tempo, la successione
dei giorni e delle spiagge, delle aule e dei pianti, dell’amore nei suoi mille specchi,
dell’uomo e del bambino che riconciliano le loro distanze nei tuoi occhi, oh paese della pace.
Ti vedo e sono piccolo e sono proprio io, e niente impedisce che il piccolo e l’uomo ti diano
lo stesso bacio e si rifugino nel tuo abbraccio.
Questi capelli che tu accarezzi e che pettinasti per la prima volta, questa fronte che stai baciando e che lavasti
dal sudore della nascita, queste mani che vanno per il mondo palpando i suoi bei vuoti, e che guidasti nel primo
incontro con il cucchiaio e la palla,
tornano al posto del riposo, e non se ne vanno, nonna,
sebbene io viva alzato verso tante rotte, e non se ne vanno, nonna.
La nonna spunta con il giorno a visitare l’orto e le galline
spartisce l’acqua e il mais, ammira i pomodori e i loro progressi,
e gode del racemo che si inerpica, del lampadario delle prugne regine claudie,
e va per le profondità della casa distribuendo l’ordine.
A volte mi alzo, l’accompagno e, associato ai suoi riti, do da
mangiare agli uccelli e irrigo le veccie, sento il tremito dell’acqua sui rampicanti che bucano i muri e
che la ricevono crepitando e si riempiono di scintille.
Ho dieci anni, vivo insieme ai bruchi e alle anatre, sono tenero e crudele,
ammazzo e proteggo, ordino come un re le cose del mio regno,
e sopra di me sta la nonna, le arrivo già all’altezza delle spalle, sulla punta dei piedi arrivo a baciarla,
e i nostri occhi si scoprono nell’allegria comune dei polli nati durante la notte.
Il nostro giardino durò quanto l’infanzia. Né tu né io lo dimenticheremo,
nonnina.Non dimenticheremo il sapore delle pesche bianche,
delle barbabietole, delle zucche incendiate.
Fu il tempo del riso al latte coperto di cannella, del piacere delle pannocchie sulla tavola tesa sotto i pergolati.
Stai nella cucina in penombra, con i glicini alla porta,
e curi le cadenze delle bacinelle di gelatina,
le marmellate invernali che ordinerai nella credenza.
Io sto lì, con Giulio Verne e una botta al ginocchio,
felice, guardandoti, sicuro che niente potrà mai accadermi, che in mezzo al mare o all’assalto del polo con il
capitano Hatteras, o appeso al cielo con Michel Ardan,
tu mi tieni con te, vicino al fornello da cui l’aroma
inzuccherato cresce come un soave vulcano dipinto a lapis.
Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.
E non solo ieri, nonna. A ogni svolta stai lì, piccola
sotto l’architrave, imbacuccata nella tua vecchiezza
senza macchia,
nella tua piccola salute,
e ogni volta che mi trae da porte e passi e uomini,
io so che tu stai lì. E che il tuo amore senza altra causa che se stesso
ci sostiene nella notte e ci restituisce l’alba dell’incontro,
e il tempo gira la testa e ci accetta interi,
con il bambino che piange tra le tue braccia,
con il viaggiatore che si lava della polvere nel tuo sorriso,
con la giovane nonna che corre in mezzo alla neve per rallegrare il nipote,
con questa vecchietta che sostiene sulla soglia la lampada del benvenuto.
E il primo che muoia sappia che niente muore
e che la perfezione regnò nel suo giorno."
Qualche tempo dopo scoprii questa canzone, che credo possa rappresentare nel suo essere rustica sia nella forma sia nel contenuto, un ottimo corrispettivo musicale a questa poesia. Perché le parole saranno meno ricercate e l'atmosfera più distesa, ma sicuramente le emozioni che hanno scaturito queste due composizioni sono le stesse.
Ps: parlerò sicuramente più avanti della mia nonna materna (ma anche dei Vad Vuc), stamattina sono ancora anestetizzato dal sonno e le parole faticano ad arrivare sulla tastiera. Del resto anche per loro è un dì di festa!!!
Stefano Tortelli
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