domenica 28 dicembre 2014

Castelli in aria sotto un letto di nuvole

R. Magritte, "Il castello dei Pirenei"



E' usanza comune collocare in luoghi familiari concetti astratti o elementi fantastici. Ed ecco che progetti fantasiosi e mirabolanti diventano dei castelli in aria, i sogni abitano i cassetti dei nostri comodini, i mostri si nascondono sotto i nostri letti. Dev'esserci qualcosa di ancestrale in questo meccanismo psicologico che si attua poi a livello linguistico: del resto ogni cosa che non è stata spiegabile (o non lo è tutt'ora), si riconduce a qualcosa che è sì trascendentale, ma che ha riferimenti propri del nostro vivere quotidiano, in modo da poterci autoconvincere di capirla, visualizzarla, infine accettarla. Basta pensare alle centinaia di allegorie contenute nei testi religiosi, ai luoghi in cui gli Dei vivono (il Monte Olimpo per Zeus, le profondità del mare per Poseidone, la caldera di un Vulcano per Efesto): tutto viene spiegato, ricondotto a ciò che noi conosciamo, ma allo stesso tempo collocato in luoghi a noi comunque irraggiungibili. Il Dio c'è ma non si vede, è un trucco, è una magia.
Quando avevo circa sette-otto anni mi ritrovai ad avere un castello in aria sotto il mio letto. Era per me è un mostro terribile, che ogni volta che mi si presentava davanti mi inquietava, mi terrorizzava, mi metteva nella condizione di dover subito fare in modo che la presenza scomparisse al più presto. Sto parlando di un famoso quadro di Magritte, "Il castello dei Pirenei": una sua stampa era contenuta nel libro di letteratura delle elementari, e quando per la prima volta sfogliai il libro e capitai sulla pagina che lo proponeva mi spaventai tantissimo, neanche avessi appena letto "IT" di Stephen King o visto un film sugli alieni (che da piccolo erano il mio incubo più grande, mentre ora ne sono totalmente affascinato). 
Presi il libro e lo nascosi: del resto chi ha frequentato le scuole negli ultimi anni sa bene che di 300€ di spesa in testi scolastici più del 70% rimane inutilizzato, ed anche se allora c'era ancora la Lira la questione non era diversa, perciò non mi privai di un elemento fondamentale per le lezioni a scuola o lo studio a casa. Lo nascosi, ma allo stesso tempo sapevo bene dove l'avessi riposto (a differenza dell'unico album di figurine dei calciatori che ho finito e che non ho la minima idea, ancora ora, di dove sia), e per cui periodicamente lo riprendevo in mano, attirato dalla visione di quel quadro. Ne avevo paura, ma non potevo farne a meno; sapevo che l'avrei nascosto ancora, ed ancora, ed ancora, ma dovevo vederlo, dovevo guardarlo. Probabilmente era un po' come la malsana necessità di alcune persone di dover guardare i film del terrore sapendo benissimo che poi se li sogneranno per tutta la notte: non puoi assolutamente esimerti, è più forte di te. Ogni volta era la stessa tiritera, ogni volta trovavo un nuovo nascondiglio, ogni volta mi spaventavo terribilmente e giuravo a me stesso che non l'avrei mai e poi mai tirato fuori. Ma i miei erano giuramenti vani, erano promesse puntualmente non mantenute, ero l'ultima persona di cui potevo fidarmi. 

Un giorno però, dopo l'ennesima tentazione, cambiai strategia, decisi che questa cosa doveva finire, decisi che dovevo combattere quel mostro sotto il letto. Presi il libro, lo aprii, cercai quella dannata pagina. La fissai per un po', poi presi il libro, ancora aperto, e lo misi sul davanzale, con il castello in aria ben in vista. Rimase lì per diverse ore, gli passai davanti innumerevoli volte, ed ogni volta lo spavento diminuiva, le palpitazioni si facevano meno frequenti, la paura scemava lasciando spazio alla curiosità, a ciò che ogni volta faceva sì che io mi ricordassi il nuovo nascondiglio, a ciò che era l'attrazione che fino ad allora aveva ceduto alla repulsione.
Da allora quel quadro mi ha sempre affascinato, tanto da scrivere in inglese, un paio di anni fa, un breve raccolto in esso ambientato; ed ogni volta che mi ritrovo ad aver paura di qualcosa che mi affascina cerco di ripercorrere mentalmente il mio difficile rapporto tra quel castello in aria sotto il mio letto ed il mio terrore, facendo in modo che ogni volta il processo di avvicinamento sia meno lungo, meno difficile, meno doloroso.

Ci va sempre un po' di tempo a smontare certi schemi ed ad abbracciarne di nuovi, più ampi, più ricchi, con sbocchi su ogni nuovo mare del sapere, ma a costo di qualche spavento, di qualche pianto, di qualche emozione negativa, è sempre meglio tenerli sul davanzale ed osservarli piuttosto che rigettarli sotto il letto. 
Perché tanto, prima o poi, la voglia di mettere la testa sotto le doghe viene, e quindi tanto vale non aver paura, tanto vale provarci, tanto vale vivere ogni emozione subito. Perché poi il resto (e spesso il resto equivale al meglio) vien da sé.

Parlando di sogni, incubi e mostri questa canzone viene subito alla mente. Una ninnananna differente, un nuovo ruolo per gli orchi e per le streghe.




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